di Massimo PULINI
Tra tutti i termini che vengono usati a sproposito e che nell’utilizzo corrente hanno distorto l’etimologia che li ha fatti nascere, ve n’è uno molto diffuso e che ha avuto origine abbastanza recente, circa cinque secoli fa, ma che da allora è divenuto una delle parole più usate in Italia.
Pochi sanno che la parola Paesaggio è nata in Pittura e a Venezia, in una delle capitali del Rinascimento delle Arti e vi sono dizionari che riportano il nome di Tiziano come colui che per primo l’avrebbe formulata. Il genio veneziano l’avrebbe coniata estraendola dalla cosiddetta ‘pratica del Bel Paesare’, vale a dire l’abitudine a restituire nella disciplina pittorica una dosata miscela di elementi di natura, di paese e di figura. Un buon Paesaggio doveva contenere una proporzione di questi tre elementi: la visione di un ambiente naturale, con predilezione alle valli boschive e fluviali; uno scorcio di paese, che perlopiù si traduceva nel ritratto di un castello, di un borgo arroccato o di una cittadina sfumata in lontananza; e in tutto questo scenario la presenza umana doveva trovare la propria collocazione armonica, sicché le figure dovevano venire atteggiate ad azioni consone al luogo, come attraversare il fiume con una barca, camminare in un sentiero e via dicendo.
Il termine tizianesco di Paesaggio elevò il Paese a perno di questa triade tematica, ma c’era un motivo preciso, che riguardava la fonte stessa di quella seconda parola. Paese deriva dal termine latino Pagus che significa ‘cippo di confine’, cioè un elemento conficcato nel terreno dall’uomo.
Paesaggio dunque è precisamente un concerto di elementi entro il quale la pura visione naturale si arricchisce di elementi ‘culturali’ incastonati nella sua orografia e infine veniva ritenuta indispensabile, nel Cinquecento veneto, anche la presenza di persone che abitavano e attraversavano quei luoghi.
Dopo questa premessa si comprende da sé che quando nominiamo ‘paesaggio’ la visione di una cascata di torrente, un mare in tempesta o una brughiera desolata, nella lingua italiana compiamo una inesattezza e una svista concettuale, è come se chiamassimo ‘orchestrato’ un brano musicale nel quale un solo strumento sta suonando, o se scambiassimo il bronzo per una materia naturale, mentre è una lega di più elementi minerali.
In altre lingue non si trova un’analoga origine e la nascita pittorica di questo termine a sua volta si fonde con la natura di questa penisola artistica. Tutto questo può tornare utile ad interpretare in modo corretto uno dei passi più belli e lungimiranti della costituzione italiana l’articolo nove:
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.
Quell’unica frase: ‘Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.’ è una cucitura che imbastisce un pensiero profondo, nella quale si può constatare un’accorta e non casuale sottolineatura che le componenti naturali, culturali e artistiche sono fuse in un’unica e inimitabile miscela che ha dato origine all’Italia. Quelle caratteristiche formali e proporzionali che vengono universalmente riconosciute al paese che ha saputo esprimerle, sono una eredità da conservare e proteggere da future azioni che possano deturpare quel paesaggio e quel patrimonio, due parole che poi sono parte di uno stesso corpo vivente.
Non si deve avvertire nessuna sfumatura retorica quando si sente dire che la punteggiatura dei centri storici italiani, che la misura dei borghi disseminati nelle colline, che i castelli arroccati sui monti hanno qualcosa di unico che ci viene stimato e apprezzato da tutti gli altri paesi, come risultanza delle migliori epoche della nostra storia, oltreché delle meravigliose condizioni geologiche e climatiche che hanno contribuito a darne la forma fisica.
A questo punto, proprio sull’idea di corpo vivente, vorrei mettere in campo un secondo concetto che potrebbe sembrare un ossimoro ma non lo è, quello di un Paesaggio storico che è comunque in continuo divenire.
I ‘nostri’ paesaggi sono un dipinto non finito, perennemente incompiuto, che tutti noi abbiamo ricevuto in una determinata forma e che, lo si voglia o meno, continuiamo a dipingere insieme, come una grande opera collettiva, una sorta di cattedrale a cantiere sempre aperto, lunga una penisola e le isole che le stanno attorno.
Essendo un pittore ritengo che questo argomento abbia molto a che fare con lo stile, che è, esso stesso una miscela, di tecniche, maniere ed espressioni con le quali si conduce un’opera.
Quando cambiamo il tetto a un capanno nel giardino di casa o quando si costruisce una veranda in un balcone, compiamo una trasformazione che da semplice cambio stilistico può divenire una piccola o grande ferita del paesaggio.
Da quando esiste la visione satellitare a portata di mano, digitale, abbiamo acquisito, tutti noi, una diversa e più profonda consapevolezza del nostro pianeta, del vestito d’arlecchino che i campi coltivati producono nel territorio, delle geometrie che sanno dialogare o di quelle che invece stridono quando accostate alle espressioni di natura che hanno ben altro stile.
Le materie e le forme svolgono allora un ruolo fondamentale e la comprensione del loro innesto (non amo la parola ‘impatto’), di quale frutto producono, è qualcosa che non si può lasciare al caso e quando lo si è lasciato si sono provocati scempi che restano di ardua o impossibile risoluzione.
La macelleria del territorio, il suo sfruttamento insensibile, sia esso industriale, turistico, di agricoltura o di allevamento intensivo, oltre ad essere richiesta da un sistema impazzito che si autogiustifica, è in molti casi un crimine e diventa anche uno squarcio in quella tela dipinta da migliaia di anni e che altri stanno coscientemente rispettando, compiendo interventi che ne continuano lo stile, con cura e attenzione.
In cima alla valle del Marecchia, in territorio toscano ma ai confini con le province di Rimini e Forlì-Cesena, nelle vette di un Paesaggio appenninico miracolosamente conservato nelle migliori espressioni naturali e nelle armoniche presenze architettoniche, si sta compiendo un vero abominio che rischia di passare inosservato, durante la fase progettuale, e che invece costerà una gravissima ferita aperta, una volta realizzato.
Mi riferisco ai 9 progetti eolici industriali per un totale di 52 aerogeneratori tra loro competitivi e chiamati suggestivamente (ma con poca fantasia): Badia del Vento; Badia Wind; Sestino e Poggio delle Campane, ecc… che dissemineranno gigantesche pale eoliche (alte fino a 180-200 metri!!!), sui crinali dei monti tra Romagna, Marche e Toscana. Mentre altrove fioriscono altre offese al paesaggio da progetti di copertura collinare con pannelli fotovoltaici.
L’iter di valutazione è di competenza in parte della Regione Toscana e in parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e con una resa energetica ipocritamente sostenuta da incentivi (vale a dire totalmente falsata nella sua reale portata), deturperanno per sempre uno dei più belli e misteriosi Paesaggi della penisola italiana.
Siamo ancora in tempo per fermare la mano di chi non ha idea dei valori collettivi stratificati nel tempo e che per cavalcare opportunità redditizie finisce per alterare in pochi mesi quello che la geologia e l’umanità rispettosa ha saputo formare e proteggere nei millenni.
Massimo PULINI Montiano 6 Agosto 2023
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