di Sabatina NAPOLITANO
Anche quest’anno ad Asciano si è tenuto il Festival del Suono organizzato da Cesare Picco nella seconda edizione: un volo di sei giorni tra musica e cultura. Una scelta felice dal momento che il festival propone ogni volta incontri in meravigliosi scenari accompagnati da artisti di calibro internazionale. Vediamo di cosa si tratta.
In questo articolo ci interesseremo di alcuni eventi in programma, ad esempio il primo giorno, martedì 11 luglio, nella Chiesa di San Francesco (chiesa sconsacrata, utilizzata per eventi culturali per lo più) si è tenuto il concerto del Coro della Cattedrale di Siena “Guido Chigi Saracini” con la direzione di Lorenzo Donati, in collaborazione con il Chigiana International Festival e il Summer Academy 2023. Per un lettore non senese non pare così incisiva la presenza del coro e cosi identitaria: formatosi nel 2016 e dedicato al fondatore dell’Accademia senese (Guido Ghigi Saracini) il coro alterna alle altezze del sacro il repertorio concertistico internazionale. [1]
Come si può leggere al sito, https://www.corocattedralesiena.com/ il coro ha un ampio repertorio, ad Asciano ha allietato il pubblico con “Jerusalem plantabis, Jubilater Deo, Omnes Gentes, Tristis est anima mea, Venite e videte” di Agostino Agazzari e “Le veglie di Siena (prima parte)” di Orazio Vecchi. In ultimo, un fuori programma, Felix Mendelssohn op 69 n.1 dai “Mottetti 1 Herr, nun lässest di deiner Diener in Frieden fahren, n.3 Mein Herz ergentesi Gott, dee Herrn.
Per la rassegna di concerti e opere dal titolo “Parola” il coro ha scelto opere di Claudio Monteverdi, Luciano Berio, Andrea Molino, Josquin des Prez, Cipriano de Rore, Orlando di Lasso, Tomas Luis de Victoria, Charles Villiers Standford, Sergej Rachmaninov, Gustav Holst, Arvo Pärt, Randall Stroope, Eric Whitacre, Ēriks Ešenvalds. La musica corale, le voci a cappella, le straordinarie partiture regalano voli e incanti spirituali rendendo tutto vivo. Per gli spiriti dotati di sensibilità artistica è indubbio che è impossibile far tacere lo spirito e i pensieri durante e dopo un concerto simile, che inevitabilmente, ti rende protagonista. Nessun senso di estraneità ti attraversa, e ogni tono non è mai simile ad un altro, anche quando si passa per scherzi e smorfie, lontani dalla commozione di Agostino Agazzari, ad esempio.
Il compositore senese ai primi del Seicento, fu maestro di cappella al duomo di Siena, e insegnò a Roma poi, uno stile che tendeva a semplificare il contrappunto. Famoso per le Messe, i Mottetti, la forma del melodramma, i madrigali non può risultare scontato al coro e al direttore, che si distinguono per esecuzioni all’insegna dell’eccezionalità. “Le veglie di Siena, ovvero i vari umori della musica moderna” di Orazio Vecchi rappresentano un esempio riuscitissimo di madrigale dialogico, il rinvio è alla descrizione dei “vari umori della musica moderna. In effetti quando parliamo di “comedia harmonica” (o madrigale dialogico) non possiamo non pensare a Orazio Vecchi. Massimo Privitera in “Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco” definisce l’opera “un arioso e felice affresco musicale”. Senza dubbio Orazio Vecchi ha caratterizzato la scena musicale del secondo Cinquecento con l’arguzia e l’originalità che lo hanno reso celebre in tutta Europa, questa sua ultima opera definisce i principi dell’Amfiparnaso, innovando la scena musicale dei riferimenti al teatro nascente, ponendosi come precursore della commedia dell’arte.
Dal suono del canto, il mercoledì 12 luglio siamo passati al suono delle Americhe con il quartetto Alma Sax quartet in concerto a Piazza del Grano. Tra George Gershwin, Glenn Miller, Frank Zappa si sono esibiti Andrea Leonardi (sassofono baritono), Francesco Desideri (sassofono tenore), Andrea Piccione (sassofono alto), Simone Bellagamba (sassofono soprano). Non c’è da stupirsi di come un quartetto di sassofoni unito dalla passione della musica da camera e della sperimentazione sia capace di farci rimanere vivi con George Gershwin – Selections from Porgy and Bess arrangiamento di B. Holcombe -, Leonard Bernstein – Candide, Ouverture arrangiamento di M. Pontini e West Side Story, Extraits con arrangiamento di P. Marillia-, (per il repertorio orchestrale), con Frank Zappa -Frank Zappa Medley arrangiamento di R. Nebbiosi-, (per il repertorio rock), Armando “Chick” Corea -Tribute to Chick Corea arrangiamento di R. Nebbiosi-, Glenn Miller – Salute to Glenn Miller arrangiamento di B. Holcombe, e in ultimo con Aaron Copland – Danzon Cubano arrangiamento di L. Feliciani. D’altra parte il sax è uno di quegli strumenti che riesce a connetterci alla parte dei sogni che accade davvero. In più dai sax dei nostri quattro talenti sale l’invito a raggiungere dei sogni che non si sono ancora avverati ma ci stanno vicini per sempre. In questo spazio internazionale la musica riporta ad emozioni clamorose riuscendo ad emozionarci, rallegrarci, sollevarci dai pesi, con la strategia che anche il jazz ci fa apprendere. Scelta saggia per il quartetto, quella di dedicarsi a Gershwin, nato a Brooklyn e morto a Los Angeles, anche direttore d’orchestra oltre che compositore e pianista, ha composto le famose “Rapsodia in blu”, “Un americano a Parigi”, “Porgy and Bess” lasciandosi influenzare da Debussy, Stravinskij, Schönberg, Ravel, Joplin ed influenzando a sua volta la scena musicale mondiale dopo di lui (tra i compositori non dimentichiamo Cole Porter, Irving Berlin, Jerome Kern). E se era probabile che il pubblico non fosse attaccato ancora al sogno, scelgono “Candide” di Leonard Bernstein considerato uno dei più grandi direttori d’orchestra della storia, pianista e compositore, scrisse tra le tante opere anche composizioni per il teatro e per orchestra. Commentare poi il medley di Frank Zappa equivale a commettere l’errore di cercare di analizzare le emozioni, mentre la musica insegna a porsi maturamente di fronte alle vibrazioni che ci corrispondono in ogni interpretazione, così come Glenn Miller si fa sentire complice, e ci si sente quasi, come svolgere ogni compito nel migliore dei modi. Un gusto schietto e ottimistico rilascia il Danzon Cubano di Aaron Copland.
Particolarmente emozionante e intenso è stato l’incontro con Ron, per il suo talk-concerto in piazza del Grano, intervistato da Cesare Picco. Il suono dell’incontro è il giusto titolo che Cesare ha dato a questa terza giornata del festival, difatti incontrare Ron è stato riallacciarsi al candore della storia della musica italiana nel mondo.
Tra Baglioni, Venditti, Dalla, Celentano, Ranieri, Battisti, Morandi, Battiato, Zero, Mango sicuramente Ron è uno dei più importanti cantanti e cantautori italiani. Durante lo spettacolo ha intervallato le sue canzoni al racconto della biografia, parlando inevitabilmente anche della sua grande amicizia con Lucio Dalla. Ed è in questo incontro che ci troviamo, -o pensiamo di trovarci- ad un passo dall’afferrare il senso della storia della musica italiana. Se solo sapessimo come conservare questo senso per sempre, una volta afferrato. Le canzoni e l’opera di Ron sono permeate di poesia: si tratta di testi eleganti, che pongono riflessioni di ampio respiro, che partono da una impostazione malinconica ma che poi, -abbandonando le perplessità del sentimento-, finisce per lasciare che ognuno si cerchi e si trovi, con esiti toccanti e talvolta sublimi.
E il racconto delle conquiste, gli spunti, e quella nostalgia che sostiene i temi più importanti dell’esistenza, precisano quasi una posizione da tenere rispetto ai pesi della vita e alle sfide: recuperare sempre lo spirito di iniziativa, portare avanti un gioco grandioso, con la predilezione per quello che è essenziale cioè l’amicizia e la passione, così l’innamoramento e la fantasia. Ron racconta come da giovanissimo ha iniziato a muovere i primi passi nella storia della musica, attraverso gli eventi passati della sua vita si può comprendere che tutto costituisce una condizione della coscienza, un evento evolutivo che getta ponti sugli scenari futuri. La capacità di rievocare, di celebrare le svolte, di considerare i singoli episodi come cosmici è la conferma che i cantautori, proprio come i poeti, costituiscono la principale lente della storia. Certo, nel caso di Ron è chiaro che parliamo di un cantautore vero, sposato alla musica, un uomo di fede, sensibile e ispirato.
Venerdì 14 luglio ho seguito (anche se un po’ in ritardo) il concerto di Anais Drago alla Chiesa di San Francesco ma sono arrivata in tempo per il pezzo in cui Anais rilegge “Gli uccelli” dalla commedia di Aristofane. È lei stessa a spiegare durante l’evento che nella commedia un gruppo di persone, stufe della corruzione e della bruttura in cui vivono, decidono di andarsene e fondare una nuova città su nuovi principi. Per elevarsi guardano al mondo degli uccelli. Anais aveva già associato il suono e la voce del violino alla mitologia e letteratura antica, come nella sua composizione “Il Minotauro” e altre prove unite al jazz e all’improvvisazione. Cosa accade se a parlare è un violino? Sicuramente Anais tramite l’improvvisazione riesce a dar voci nuove ad uno strumento che ogni volta dischiude orizzonti onirici e assoluti, ipotizzati e realistici.
Trovare nuove attitudini, rendere flessibili e preziosi nuovi accordi significa comunque dare prospettive di linguaggio nuove, fondare altre origini, nell’improvvisazione si sfuggono tutti i passaggi obbligati. A questa grande capacità interpretativa di Anais va riconosciuto anche il ritorno a una comprensione degli altri strumenti, unita alle intuizioni, alle percezioni e ai desideri che la violinista riporta ad ogni incisione. “Il suono della libertà” è stato chiamato l’evento del 14 luglio, infatti, nessuno meglio di Anais incarna l’ideale della libertà di pensiero, di espressione e di creazione, proprio lei che pur avendo studiato sin da bambina il violino, e vantando un curriculum accademico è riuscita a sperimentare altri generi come il folk, il country, il rock music, fino ad arrivare al suo repertorio, in cui confluisce un sapere esperienziale ricco di inventiva e grinta.
Al podere Alberese sabato 15 luglio c’è stato il concerto dell’Ofi string quartet, il quartetto dell’Orchestra Filarmonica Italiana. Questa giornata è stata chiamata “Il suono del ricordo”. Come spiegato da Cesare Carretta, primo vioino, tra le note di Ottorino Respighi scritte nel 1932 siamo immersi nell’ideale del Neoclassicismo: le danze del compositore, riprendono le aree del liuto, che riconduce all’ideale di bellezza del Rinascimento. A seguire Béla Bartók, con una composizione per orchestra arrangiata per quartetto ed infine un brano dal film Schindler’s List. Anche in questa serata i suoni fanno in modo di reinventarsi dentro in modo da tesaurizzarsi, il podere si è ben adattato all’essenza delle vibrazioni. Lontani da teatri e orchestre i violini e il violoncello, si vestono di un fascino squisitamente letterario: sembrano impenetrabili fuori dal loro ambiente, eppure grazie alla maestria dei musicisti confessano di pretendere l’abbandono, la confessione, in modo da farci spegnere il cervello, senza distrarci, cercando di dirigere l’attenzione in implicazioni sentimentali e concettuali allo stesso tempo.
Per la giornata di chiusura la storia si è spostata in un anfiteatro naturale costruito nelle Crete di Leonina. Le macchine si sono posate ad una distanza di trenta minuti a piedi, così una volta parcheggiato si è raggiunti il luogo dove è stato allestito il palco. Il titolo dell’evento era appunto “Piano tribute to Ennio Morricone”. Il primo intervento del coro polifonico “Sardos in su coro” diretto da Eugenio Dalla Noce è stato come una comprensione reciproca: ardente, nostalgico, pieno di tradizione e anima. A seguire i brani dell’OFI String Quartet dell’Orchestra Filarmonica Italiana, di cui avevamo già pregustato l’irresistibile linguaggio al Podere Alberese.
Nell’ultima parte del concerto, si sono uniti gli straordinari suoni del sitar in duo con Leo Venturri e Francesco Gherardi e durante, ovviamente, la magia di Gilda Buttà, fiore all’occhiello del Festival. La pianista per decenni ha collaborato con Ennio Morricone, incidendo diverse colonne sonore a film come La leggenda del pianista sull’oceano. Per l’ultima serata anche lo stesso Cesare Picco ci ha regalato delle sue composizioni al piano, del resto il pubblico ha avuto una grande fortuna anche a sentirli suonare insieme, Gilda e Cesare, liberando porte che prima pensavamo impensabili e invece avevano solo bisogno di varchi. È questo il tentativo della storia della musica, Ennio Morricone del resto ha teorizzato trasformazioni epocali, antico e robusto maestro, avventuroso e concreto non può che restare implicito per sempre in ognuno di noi.
Sabatina NAPOLITANO Asciano 6 Agosto 2023