di Claudia RENZI
DA CARAVAGGIO A BERNINI: RITRATTO DI SCIPIONE CAFFARELLI BORGHESE
Era il 2010 quando lo storico dell’arte Massimo Pulini – lo stesso studioso che nel 2021 ritroverà l’Ecce Homo di Caravaggio in Spagna[1] – portò all’attenzione degli studiosi un bel dipinto rimasto fino a quel momento sconosciuto, esposto sin dal lontano 1861 nel Museo Civico di Montepulciano in una posizione piuttosto infelice, all’ultimo livello di una quadreria dai soffitti molto alti, catalogato genericamente come Ritratto di gentiluomo di anonimo pittore di ambito caravaggesco.
Il sospetto che si trattasse invece di un probabile autografo del giovane Michelangelo Merisi era sorto al professore in verità già qualche anno prima, tanto che ad un certo punto aveva chiesto e ottenuto che il dipinto fosse recuperato, pulito e restaurato per avere conferma definitiva.
La scoperta fu annunciata da un articolo apparso su La Stampa [2] e da una pubblicazione autonoma [3] fino alla presentazione ufficiale dibattuta nella giornata di studi dedicata al tema Caravaggio ritrattista e una proposta dal Museo Civico di Montepulciano svoltasi nello stesso Museo Civico in data 3 dicembre 2011, alla quale parteciparono eminenti studiosi quali Maurizio Calvesi, Mina Gregori, Gianni Papi, Francesco Petrucci, nonché lo stesso Pulini il quale, nel corso dell’intervento dal titolo Una scoperta tra i ritratti della collezione Crociani, poté confermare la convinzione circa la paternità caravaggesca del dipinto in esame e l’identificazione dell’effigiato nientemeno che nel giovane Scipione Caffarelli poi Borghese, com’è noto futuro personaggio chiave della vita di Caravaggio (Fig. 1).
La tesi di Pulini fu subito accolta favorevolmente da Calvesi, Gregori e Petrucci, mentre Papi inizialmente preferì non pronunciarsi, per poi dichiararsi scettico non soltanto sull’autografia ma soprattutto sull’identificazione del ritrattato [4].
La storia del dipinto presenta effettivamente dei lati oscuri, quali ad esempio la totale mancanza di documenti d’appoggio, per cui è necessario se non indispensabile partire proprio dall’identificazione dell’effigiato: nessuno meglio di lui può, in questo caso, “parlare”.
Il soggetto appare essere un giovane di circa 25 anni, moro, robusto e tuttavia con un che di delicato che mal si sarebbe conciliato con il lavoro di avvocato; la pulitura del dipinto ha permesso infatti di capire qualcosa di fondamentale circa l’abbigliamento del ragazzo: ad avvolgerlo non un ferraiolo qualsiasi, ma una toga avvocatizia. È possibile che il giovane fosse fresco di laurea e, per l’occasione, abbia commissionato un dipinto a perpetua memoria del traguardo raggiunto?
Sappiamo che Scipione Caffarelli, nato a Roma nel 1576, studiò legge a Perugia, sebbene la sua tesi non sia stata rinvenuta [5] e dunque non abbiamo un termine temporale granitico attorno al quale discutere la realizzazione del ritratto di Montepulciano, stimabile comunque per caratteristiche stilistiche attorno al 1598-1599.
Il dipinto ha un che di ieratico, l’abito nero castiga quello che personalmente ritengo essere Scipione Caffarelli rendendolo serioso, eppure la posa composta pare colta nell’attimo in cui un interlocutore fuori campo distrae l’attenzione del modello inducendolo a voltarsi di tre quarti. Viso e corporatura sono floridi, la pelle levigata; la bocca è serrata in una piega compunta eppure sul punto di schiudersi per parlare come quando si è sul punto di obiettare qualcosa: l’avvocato sta forse per lanciarsi in un’arringa?
I baffi impomatati all’insù e la mosca sono forse l’unica concessione alla moda del momento fatta dal ragazzo mantenuto agli studi di legge dallo zio Camillo, fratello di sua madre. Gli occhi quasi a mandorla, bellissimi e leggermente strabici (effetto dovuto a più sovrapposizioni pittoriche, forse esito di una correzione), anticipano quelli del ritratto, sempre di Caravaggio, effigiante lo zio appena divenuto papa col nome di Paolo V (post maggio 1605, Roma, coll. priv. Borghese), commissionato all’indomani dell’elezione (Fig. 2): accostando i volti dei due la somiglianza risulta palese.
La tavolozza ancora relativamente chiara consente di collocare l’esecuzione del dipinto di Montepulciano tra 1598 e 1599, coerentemente con altre opere cronologicamente vicine del maestro. Nonostante si siano fatti, dubitativamente, altri nomi quali ad esempio quello di Orazio Gentileschi [6], non c’è infatti da dubitare dell’autografia caravaggesca: la vicinanza stilistica e cromatica del Ritratto con entrambe le versioni della Buona ventura (1595 ca., Roma, Musei Capitolini e 1596-7, Parigi, Musée du Louvre), in particolare quella al Louvre (Fig. 3), permette di riconoscere senza troppa fatica la stessa mano operante sia nei ciuffi di capelli sfumati che nel minio del colletto della zingara, merlettismi che si ritrovano anche nel bordo dello scudo delle due versioni della Medusa (1598, Medusa Murtola, coll. privata; Medusa, Firenze, Gallerie degli Uffizi) o ancora nell’abito di Maria nel SS. Marta e Maddalena (1597, Detroit, Institute of Arts).
La stoccata di biacca che profila il naso dell’effigiato e si raggruma sulla punta ha tangenze con altri dipinti di Caravaggio, es. Giuditta e Oloferne (1599, Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica Corsini Barberini – Palazzo Barberini), mentre l’impostazione generale e il taglio della luce si ritrovano sia nel Ritratto di prelato con caraffa di fiori (dalla scrivente proposto quale Ritratto di Mons. Francesco Barberini senior, 1595 ca., coll. priv. Corsini, cfr. C. Renzi, https://www.aboutartonline.com/da-caravaggio-a-bernini-sarebbe-di-mons-francesco-barberini-senior-il-noto-ritratto-di-prelato-di-coll-corsini/), che nel ritratto di Maffeo Barberini (1598, coll. priv. Firenze), quest’ultimo dalla resa sfumata, quasi rarefatta della superficie pittorica estremamente vicina al dipinto in esame, di cui sarebbe perciò strettamente contemporaneo, col quale ha in comune anche l’attitudine a rivolgersi a un interlocutore fuori campo, “componente innovativa, propria della ritrattistica caravaggesca” [7].
Sul petto dell’effigiato si snocciola infine una teoria di bottoni, resa con quell’attenzione al dettaglio che si ritrova nei corpetti della Maddalena penitente (1595 ca., Roma, Gall. Doria Pamphili), della Santa Caterina d’Alessandria (1597, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza) e, più tardi, del Ritratto di Fillide Melandroni (1604, già Berlino; per il quale cfr. C. Renzi, https://www.aboutartonline.com/caravaggio-e-il-ritratto-femminile-fillide-melandroni-una-storia-di-modelle-e-di-riconoscimenti/); sulla sinistra pende come si è detto la toga avvocatizia mentre sulla spalla dx quella che sulle prime può sembrare una scucitura è una nappina, elemento ancor oggi tipico dell’abito della professione.
C’è ancora un retrogusto di maniera, dunque, nel Ritratto di Scipione Caffarelli, ma già si percepisce la virata verso l’impostazione teatrale che diventerà di lì a poco (con la cappella Contarelli) il marchio del pittore: la pulitura dello sfondo ha dato conferme in tal senso, permettendo di superare quella titubanza che aveva indotto nel 2000 la curatrice del catalogo del Museo a classificare la tela come di “pittore romano […] tra terzo e quarto decennio del Seicento”[8]; né è possibile confondere l’effigiato: confrontando i diversi ritratti che si sarebbe fatto fare una volta divenuto cardinale con il dipinto in esame, e considerando che Scipione era figlio unico, emerge l’evidenza si tratti di Scipione Caffarelli poi Borghese.
Il Ritratto di Montepulciano, oggi esposto in una sala dedicata e valorizzato come merita, se si accetta l’identificazione con Scipione Caffarelli, oltre a retrodatare la conoscenza tra Scipione e Caravaggio, sarebbe anche l’unico attualmente noto ritraente Scipione prima della porpora.
Nell’immaginario collettivo Scipione è il cardinal nipote, quel “cardinal Borghese” dalla sagoma robusta e imponente, dai vezzi bizzarri, spregiudicato e avido collezionista che fa incetta di capolavori nella splendida villa al Pincio, in barba a regole e buon senso, e il cui ritratto più noto è certamente quello lasciato da Gian Lorenzo Bernini che non solo fu il più grande ritrattista del suo tempo, ma conosceva Scipione sin dall’infanzia, poco dopo il suo arrivo a Roma. Quando lo zio materno Camillo diventerà Sua Santità Paolo V, ecco che il (quasi) timido ragazzone amante dell’arte e dall’occhio già fino verrà catapultato nel centro del potere e, saltando tutte le tappe della normale carriera ecclesiastica, si ritroverà il cappello cardinalizio in testa, scoprendo che il rosso ponsò gli si addiceva molto di più che non il paludato nero dell’avvocatura: sarà proprio dalla Perugia dove aveva studiato che avrebbe preteso, nel 1608, gli si mandasse per la sua collezione personale nientemeno che la Deposizione Baglioni di Raffaello, e pazienza se la si doveva sottrarre da una chiesa, basterà farne una copia per contentare (si fa per dire) i legittimi proprietari.
Solo l’anno prima aveva disposto il sequestro di tutte le opere nella bottega di Giuseppe Cesari, Cavalier d’Arpino, e più tardi ordinerà la consegna, con tanto di carcerazione di Domenichino, della Caccia di Diana già pagata dall’originario committente. Nel frattempo, assieme all’amico Maffeo Barberini, seguirà la crescita del bambino prodigio arrivato da Napoli, quel piccolo Lorenzo figlio dello scultore toscano Pietro Bernini chiamato a Roma da Paolo V, che prometteva già tanto bene.
Il primo documento noto nel quale Scipione compare in relazione a Caravaggio è datato 27 agosto 1605 [9]: il notaio Pasqualone ritira la denuncia per aggressione a carico di “ignoti” – che per lui invece avevano almeno un nome e cognome, Michelangelo Merisi – e tratta per una rappacificazione al Quirinale. Scipione, nelle vesti di plenipotenziario di Giustizia, fa firmare ai due convocati la pace, eppure il già menzionato Ritratto dello zio Paolo V nonché questo di Montepulciano sono precedenti: segno che molti documenti non sono ancora riemersi.
C’è da domandarsi perché questo fantastico dipinto non fosse noto a Roma, perché cioè Sua Eminenza Borghese non l’abbia tenuto con sé ed esibito ad ogni piè sospinto, e sia invece finto in Toscana, quesito che si è giustamente posto per primo Pulini stesso[10] e poi anche Papi [11].
La ricostruzione proposta da Pulini risulta del tutto convincente: allo stato attuale degli studi il quadro è documentato soltanto dal lascito del 1861 di Francesco Crociani, che lo donò alla municipalità di Montepulciano in quell’anno, senza peraltro chiarire dove fosse stato tenuto fino a quel momento o un’eventuale provenienza precedente. Vero è che i Borghese erano di origini senesi, ma è possibile anche che il dipinto si trovasse in una delle tenute dei Caffarelli, ad esempio in casa dei genitori di Scipione, che risiedevano a Nepi (il che spiegherebbe anche perché non sia menzionato nell’inventario del cardinale). Ad ogni modo è logico supporre che la scelta di non esibire questo ritratto giovanile nella sua celebre collezione sia stata dettata dalla prudenza e, un poco, dalla decenza: questo particolare ritratto di Caravaggio avrebbe infatti ricordato fin troppo bene a tutti che l’effigiato aveva saltato ogni gradino della scala sociale ed ecclesiastica e intrapreso tanto splendida carriera all’improvviso, per pura grazia, se non divina, quantomeno parental-papale!
Basandosi sui dati oggettivi, un confronto sistematico tra i lineamenti del soggetto del dipinto di Montepulciano con quelli di Scipione Borghese come li conosciamo dai ritratti licenziati da vari artisti quando era cardinale può risultare dirimente.
Papi mise in dubbio che il dipinto di Montepulciano ritraesse Scipione [12] proponendo di confrontarlo con tre opere: un disegno di Ottavio Leoni conservato a Berlino (Staatliche Museen) recante in calce una scritta (autografa?) che si può sciogliere in “Card. Borg[…]”; un dipinto dello stesso Leoni (Ajaccio, Museo Fesch) e il notevole busto licenziato nel 1632 da Giuliano Finelli (1632, New York, Metropolitan Museum of Art – Fig. 4).
Nel disegno di Berlino Leoni presenta un soggetto dal volto sfinato, naso dritto, occhi grandi, espressione mite, attaccatura dei capelli a punta; nel dipinto di Ajaccio – che si tratti del cardinale Borghese lo si apprende dalla scritta sulla lettera che il modello tiene nella mano dx – bocca e occhi sono molto vicini a quelli del disegno di Berlino, ma pizzo sul mento, attaccatura dei capelli (decisamente para) e soprattutto naso sono diversi: il naso in particolare presenta una piccola, quasi impercettibile ma significativa, come si vedrà, gobba.
Il busto di Finelli ritraente Scipione Borghese restituisce la figura di un omone dall’aria mansueta, forse affaticata; il volto è ampio, la fronte alta; gli occhi hanno una bella forma allungata; la bocca incorniciata da baffi e mosca è schiusa a mostrare in tal modo la reale carnosità delle labbra; l’attaccatura dei capelli è para; il naso ha una piccola gobba; le spalle sono larghe; la sagoma è decisamente imponente.
Poco dopo Finelli sarà infine Gian Lorenzo Bernini a licenziare quello che è il più celebre e riuscito ritratto del cardinale Borghese: il bambino prodigio adocchiato al suo arrivo a Roma è ormai cresciuto, non ha deluso le aspettative e, anzi, le ha superate divenendo il più grande scultore del suo tempo. Anche lui dal carattere fumantino come il compianto Caravaggio, che pure terrà di esempio, nell’estate 1632, col consenso di Maffeo Barberini ormai Urbano VIII, poté iniziare un busto ritratto – che Papi non cita – per il suo “padrino” Scipione, che non sta tanto bene (morirà ancora giovane nell’ottobre del 1633) e lui ci tiene a fargli un regalo che sa di gratitudine e, nei limiti del consentito, d’affetto (Fig. 5).
Il cardinale non se l’aspettava, tanto che aveva ripiegato chiedendo un busto al diligente Giuliano Finelli, ex collaboratore di Gian Lorenzo, e la concessione di Urbano VIII deve dunque essere stata motivo di grande letizia. Bernini era celebre per i suoi straordinari ritratti: un busto di sua mano significava rimanere, in qualche modo, vivo per sempre.
Il progetto del busto per Scipione fu curato con particolare attenzione (ne rimane tuttavia solo un disegno di profilo oggi New York, Pierpont Morgan Library -Fig. 6- e nessun bozzetto in terracotta) ma, proprio quella volta, qualcosa andò storto: il busto finito, pronto per la consegna, si ruppe all’altezza della fronte in fase di lucidatura.
Bernini cercò di recuperare quella prima versione impiegando polvere di marmo e piantando un perno metallico in alto, ma il danno risultò da subito irrimediabile: in quelle condizioni non poteva essere esibito in una galleria né tantomeno, come forse Scipione aveva pure accarezzato l’idea, nel contesto di un monumento funebre da inserirsi in quello dello zio in Santa Maria Maggiore. Tutte le geniali innovazioni apportate al ritratto scolpito – la bocca schiusa, l’impressione di aver appena alzato gli occhi e un braccio verso un invisibile interlocutore, la biretta vezzosamente posta sulle ventitré – erano state vanificate.
Lo scultore risolse allora di eseguire tempestivamente un’altra versione: procuratosi un nuovo blocco di marmo, scolpì il secondo busto in appena tre giorni secondo il figlio Domenico [13]; nell’arco di quindici notti di lavoro forsennato secondo Filippo Baldinucci [14].
Per nessun altro, a esclusione forse di Maffeo Barberini, Bernini avrebbe fatto tanto: quel busto, che nell’impostazione ricorda tanto il dipinto di Montepulciano, doveva venire bene.
Il secondo busto (Fig. 7) presenta delle innovazioni perfino rispetto al suo stesso precedente:
appena appena un poco più di compostezza; la biretta sistemata più dritta; replicato il dettaglio straordinariamente realistico del terzultimo bottone (partendo dal basso) che scivola via dall’asola nella foga del movimento repentino; è accentuato invece il movimento delle braccia sotto la mozzetta la cui resa quasi pittorica, qui come nella prima versione, è parente stretta dell’attitudine al naturale insegnata da Caravaggio.
Nella transitorietà dell’attimo fissato da Bernini la bocca è schiusa, gli occhi ben sgranati: Scipione è, come nel dipinto di Montepulciano, distratto da un interlocutore fuori campo, ma qui il suo movimento è più repentino, quasi un sobbalzo, un’enfasi parlante. Registrate senza sconti le principianti zampe di gallina attorno agli occhi, le guance troppo piene, la lieve gobba sul naso importante; il marmo plasmato come cera con un’apparente facilità che sa di sovrumano rende il busto di Scipione Borghese uno dei vertici della ritrattistica scolpita di tutti i tempi.
Riuscita la seconda versione, allo scultore venne in mente di fare uno scherzo al cardinale: Domenico Bernini e Baldinucci raccontano che il giorno fissato per la consegna Gian Lorenzo fece collocare il busto rotto al centro del proprio studio, coperto da un drappo rosso e, quando il cardinale giunse per vederlo, gli mostrò il busto danneggiato magnificandolo in ogni modo, evitando intenzionalmente di parlare della ben visibile crepa che quasi tagliava in due la sommità della testa. Quando l’imbarazzo di Scipione fu al colmo, Bernini fece scoprire finalmente il secondo busto, quello sano, raccontandogli cos’era capitato e divertendolo oltremodo: il cardinale volle prenderli entrambi, e oggi sono entrambi esposti alla Galleria Borghese l’uno non troppo distante dall’altro.
Di questa sua rapacità collezionistica Bernini scherzò col cardinale facendogli anche, forse mentre attendeva al ritratto, una spiritosa caricatura (Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Chigi, P.VI.4, f. 15r): è l’unico caso del quale possediamo di mano di Bernini, della stessa persona, un ritratto ufficiale, un disegno preparatorio dello stesso e una caricatura (Fig. 8).
Il busto “sano” ebbe un successo clamoroso: “Veramente è vivo e respira.” scrisse Fulvio Testi ad un corrispondente[15], mentre altri dispacci favoleggiavano sul compenso e si sprecavano in lodi.
Il particolare fisiognomico della piccola gobba sul naso sul quale ho insistito ricorre in tutti i ritratti effigianti Scipione Borghese sopra esaminati tranne che nel disegno di Berlino attribuito a Leoni: ovvero la piccola gobba sul naso c’è nel dipinto di Leoni ad Ajaccio; c’è nel busto di Finelli; c’è nel disegno di profilo di Bernini alla Pierpont Morgan Library; c’è nel busto rotto di Bernini; c’è nel busto sano di Bernini e, soprattutto, c’è nel Ritratto di Montepulciano. Tutto ciò porta a concludere che il soggetto sia sempre lo stesso, cioè Scipione Caffarelli poi Borghese.
Altri dettagli somatici ricorrenti sono la forma allungata degli occhi; attaccatura para, non a punta cioè, dei capelli sulla fronte (nei due busti di Bernini l’attaccatura è parzialmente celata dalla biretta, ma nel disegno di NY, preparatorio al busto, invece è visibile); lobi delle orecchie staccati dalla pelle della mandibola.
Osservando in particolare il quadro di Caravaggio e i busti di Bernini e notando che l’impostazione è estremamente simile, dalla posa all’attitudine generale (sguardo verso dx, bocca in procinto di parlare), sorge spontaneo domandarsi piuttosto se Bernini, vista la sua familiarità con il cardinale, possa aver visto il dipinto oggi a Montepulciano o se Scipione glielo abbia quantomeno descritto.
Potrebbe in qualche modo, dunque, lo scultore aver voluto rievocare il Ritratto di Scipione Caffarelli di Caravaggio nei busti ritraenti Sua Eminenza oltre trent’anni dopo?
Certo Scipione Borghese nei due busti berniniani è più vecchio rispetto al dipinto di Montepulciano, si è imbolsito e non gode neanche più di ottima salute, ma rimane riconoscibilissimo anche a distanza di anni, da un genio all’altro. Tuttavia nulla documenta una conoscenza di Bernini, diretta o indiretta, di questo quadro di Caravaggio di cui pure i suoi due busti, abito cardinalizio a parte, sembrano un’allusione in marmo per cui la sua eventuale conoscenza da parte dello scultore resta una mera ipotesi.
Quel che è certo è che il Ritratto di Scipione Caffarelli custodito nel Museo Civico di Montepulciano rappresenta un’eccezionale dimostrazione delle capacità ritrattistiche di Caravaggio: l’auspicato rinvenimento di documenti sarebbe l’elemento decisivo in grado di mettere un sigillo al dibattito.
Parafrasando infine Giambattista Marino, se “E’ dell’arte il fin la meraviglia”[16] sia Caravaggio che Bernini hanno adempiuto egregiamente la loro missione.
Claudia RENZI Roma 27 Agosto 2023
NOTE
[1] Massimo Pulini, È il vero Ecce homo di Caravaggio, su: www.aboutartonline.com del 31.3.2021.
[2] Marco Vallora, Il Caravaggio c’è ma nessuno lo vedeva, «La Stampa», 20.10.2010.
[3] Massimo Pulini, Caravaggio nero fumo, Milano, 2010 (cap. Scipione Borghese non ancora cardinale, pp. 41-56).
[4] Gianni Papi, Spogliando modelli e alzando lumi. Scritti su Caravaggio e l’ambiente caravaggescco, Napoli, 2014, p. 78.
[5] M. Pulini, op. cit., p. 56, n. 12.
[6] G. Papi, op. cit., p. 79, fig. 19.
[7] Francesco Petrucci, Caravaggio: un nuovo ritratto a Montepulciano, in: M. Pulini, op. cit., pp. 57-61, p. 59.
[8] Laura Martini (a cura di), Museo Civico Pinacoteca Crociani, Siena, 2000, Scheda pp. 132-4.
[9] Archivio di Stato di Roma, Tribunale del Governatore, Miscellanea artisti, b. 2, fasc. 92, cc. 1v-2v, in: Stefania Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Documenti, fonti e inventari 1513-1875, Roma, 2010, pp. 189-90, Doc. 652; Antonella Cesarini, I documenti, regesto in: Michele Di Sivo, Orietta Verdi (a cura di), Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, Roma, 2011, pp. 233-275, p. 265.
[10] M. Pulini, op. cit., p. 52.
[11] G. Papi, op. cit., p. 80.
[12] G. Papi, op. cit., p. 80, fig. 20.
[13] Domenico Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernini, Roma, 1713, pp. 10-11.
[14] Filippo Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernini, Firenze, 1682, pp. 7-8.
[15] Maria Luisa Doglio (a cura di), Fulvio Testi. Lettere 1605-1633, Bari, 1967, 3 voll., p. 433.
[16] Giambattista Marino, La Murtoleide: Fischiate, Torino, 1608: “E’ del poeta il fin la meraviglia, parlo dell’eccellente e non del goffo, chi non sa far stupir, vada alla striglia.”
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Laura Martini (a cura di), Museo Civico Pinacoteca Crociani, Siena, 2000
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Gianni Papi, Spogliando modelli e alzando lumi. Scritti su Caravaggio e l’ambiente caravaggescco, Napoli, 2014
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Marco Vallora, Il Caravaggio c’è ma nessuno lo vedeva, «La Stampa», 20.10.2010
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Francesco Petrucci, Caravaggio: un nuovo ritratto a Montepulciano, in: Massimo Pulini, Caravaggio nero fumo, Milano, 2010, pp. 57-61.
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È il vero Ecce homo di Caravaggio, cfr https://www.aboutartonline.com/e-il-vero-ecce-homo-di-caravaggio/ del 31.3.2021.