di Claudio LISTANTI
È partita il 25 agosto scorso la Stagione 2023 del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto con un dittico del musicista Giacomo Manzoni.
Nello spettacolo rappresentate due opere del compositore milanese: La legge e Gli occhi di Ipazia. Lo spettacolo è stato accolto con favore dal pubblico convenuto presso il Teatro Caio Melisso.
Giacomo Manzoni è stato il protagonista dell’inaugurazione della Stagione 2023 del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto. La manifestazione i cui contenuti si sono consolidati negli anni è giunta oggi alle 77^ edizione. È considerata vero banco di prova per i giovani che intendono cimentarsi nel vasto panorama del canto lirico ai quali l’istituzione umbra dedica massima cura fornendo loro quel bagaglio culturale necessario per consolidare la propria esperienza, intervenendo non solo sullo stile e sulla tecnica di canto, ma anche sulla preparazione scenica ed attoriale, ottenendo frequentemente indiscutibili ed apprezzabili frutti in termini di interpretazione nell’ambito del teatro in musica come si è verificato anche questa volta con lo spettacolo del quale stiamo riferendo.
Questa serata ha dimostrato, a nostro giudizio, diversi punti di interesse che ne hanno impreziosito la valenza artistica.
Innanzi tutto la scelta del compositore, Giacomo Manzoni, uno dei musicisti più rappresentativi del mondo musicale italiano, del quale è stato proposto un suo lavoro giovanile, La legge, al quale è stata affiancata la commissione per una nuova opera da rappresentare in prima assoluta nell’ambito di questo festival. L’iniziativa si può considerare una sorta di meritato omaggio all’arte musicale di Manzoni, proponendo la sua prima opera, La legge, composta nel 1955 ma, praticamente mai rappresentata. Infatti l’allora ventitreenne Manzoni, personalità molto attenta alle questioni sociali, scrisse un testo prendendo spunto dai fatti tragici avvenuti nel 1949 nel paesino calabro di Melissa, dove la polizia irruppe per disperdere i contadini che occuparono le terre incolte dei latifondisti per difendere i loro diritti che sarebbero stati sanciti dalla riforma agraria allora in via di approvazione.
Rimasero sul campo 3 ragazzi, di 19, 23 e 29 anni oltre a quindici feriti. La riforma agraria di quell’epoca fu giudicata tra le più efficaci per difendere i diritti dei contadini e per favorire lo sviluppo agricolo di diverse zone, soprattutto quelle del meridione che i potentati locali lasciavano spesso incolte provocando, come si può facilmente evincere, povertà e disagio sociale. Ma noi italiani siamo specialisti nel demolire cose fatte con criterio e lungimiranza come, solo per fare altri esempi, la Costituzione giudicata ‘la più bella del mondo’ ma continuamente sottoposta a tentativi di demolizione da parte di chi al potere, nonostante abbia giurato di rispettarla, ne vuole cambiare i contenuti ma, anche, come il caso dell’Acqua Pubblica suffragata da una risposta referendaria chiara e inequivocabile ma costantemente minacciata dagli interessi privati.
La legge però non fu giudicata, da coloro che negli anni ’50 conducevano il mondo musicale italiano, opera valida per essere rappresentata e restò nel cassetto della scrivania di Manzoni fino al 2007 quando la Biennale di Venezia, grazie all’interessamento di Giorgio Battistelli, ne propose una esecuzione ma in forma praticamente oratoriale per giungere fin qui a Spoleto con una rappresentazione che può essere considerata, anch’essa, una sorta di prima assoluta.
Il contenuto de La legge rimarca l’aspetto poco prima enunciato proponendo in maniera davvero efficace e sintetica una azione del tutto esplicativa delle condizioni sociali di quel lontano 1949 dominati dalla povertà e dalla miseria dei contadini alle quali si contrapponeva la speranza di giustizia e benessere che la riforma agraria poteva concretizzare. Sulla scena tre personaggi, due Donne, una giovane e una vecchia e un Uomo. Tra loro ci sono evidenti contrasti, tra le donne che mettono in evidenza le difficoltà per vivere e la speranza dell’uomo nella soluzione dei problemi dei mezzadri. Tutto sarà vanificato dalla repressione dei manifestanti e sarà La legge a trionfare, non quella della giusta riforma agraria ma quella dell’arroganza del Potere.
Nella scelta del soggetto da utilizzare per l’opera di completamento del dittico, Manzoni ha optato per un contenuto, in un certo senso, analogo avente la medesima finalità, quella dell’arroganza del Potere. Come lo stesso musicista ha dichiarato esponendo nel programma di sala il suo pensiero:
“In anni come i nostri, in cui il mondo ribolle di guerre fratricide, razzismo, oscurantismo antiscientifico e religioso, mi sono ispirato alla figura di Ipazia.”
Scelta molto significativa questa in quanto il personaggio di Ipazia è uno dei più emblematici della storia. È senza dubbio una figura leggendaria: astronoma, fisica, filosofa, insegnante ma anche pagana, vissuta ad Alessandria d’Egitto tra il quarto e il quinto secolo. Il suo essere pagana spinse i cristiani guidati dal fanatismo oscurantista a considerarla un pericolo per la diffusione della fede e per questo fu brutalmente e violentemente uccisa. Su questa figura grazie ad un funzionale testo letterario scritto da Sonia Arienta è scaturita l’opera Gli occhi di Ipazia, titolo dal forte valore simbolico perché con essi la scienziata poteva vedere la luce che è l’antidoto naturale più efficace per combattere l’oscurantismo.
Il testo prevede una azione inerente ai nostri giorni. Sulla scena c’è Vera una studiosa ricercatrice nell’ambito dell’attività farmaceutica che svolge la sua attività nel suo ordinato e ben strutturato laboratorio. Viene continuamente minacciata per la sua attività. Subisce violazioni e danni nel suo laboratorio uniti a minacce di violenza opera del fanatismo religioso che si materializza con il personaggio di G.I. (forse un moderno Grande Inquisitore?) ma comunque un personaggio tragicamente fondamentalista. Nella questione sono coinvolte anche le case farmaceutiche e i loro interessi economici. Chiede aiuto alla Rettrice ma non riesce ad aiutarla perché il Potere politico che si esprime tramite il generico personaggio dell’Onorevole non è interessato a difendere l’attività della scienziata. Vera viene anche paragonata ad Ipazia e la storia della sfortunata donna dell’antichità le fa presagire la tragica fine che avverrà a conclusione dell’opera con la stessa efferatezza e la stessa violenza.
Nel complesso le due opere sono legate dal un sottile ma resistente filo rosso che ci descrive l’arroganza del Potere seppur in epoche diverse ma, come tutti i valori assoluti, sono comunque senza tempo. Proprio su questa base la regista Claudia Sorace ha costruito uno spettacolo del tutto omogeneo, piacevolmente unitario nell’insieme che ha sottolineato con forza la comune ispirazione delle due opere anche se divise tra loro da un lasso di tempo pari a 68 anni. La continuità tra le due opere è stata realizzata tramite la diffusione dell’audio di una testimone dell’epoca, moglie di uno dei tre ragazzi che persero la vita a causa della folle reazione delle forze dell’ordine.
La Sorace, autrice del progetto Muta Imago nato e Roma e rivolto alla ricerca artistica di ricerca grazie alla costituzione di una valida compagnia teatrale i cui contenuti sono stati alla base di questa realizzazione. Sono state rispettate le ambientazioni di ogni singola opera, elemento questo di non poco conto visto il dramma che sta affliggendo il teatro d’opera di tutto il mondo con inutili, pretestuose e fantasiose trasposizioni d’epoca. La messa in scena è risultata semplice ma efficace a dimostrazione che il teatro offre, operando scelte giuste, di riprodurre sensazioni, ambienti e personaggi in maniera del tutto proficuo. Così è stato riprodotto l’ambiente contadino nel quale nasce la triste storia de La legge come l’ambientazione dello studio della ricercatrice Vera, il tutto utilizzando pochi ma significativi elementi scenici che hanno stimolato la percezione di tutto lo spettacolo. Movimenti e recitazione sono apparsi curati nel dettaglio ed interagivano con efficacia con la parte esclusivamente cantata.
A proposito di questo aspetto c’è da porre in evidenza un’altra particolarità dello Sperimentale quello di preparare gli interpreti vocali alla recitazione ed all’interpretazione. Di questo aspetto e soprattutto della preparazione a largo spettro di tutti gli interpreti ne abbiamo parlato direttamente con Claudia Sorace che con le sue dichiarazioni ci ha consentito di approfondirne i contenuti:
“Ho collaborato tanto sulla parte attorale e sull’analisi del testo per una comprensione profonda delle parole che andavano a dire. Penso che sia un elemento fondamentale della presenza scenica perché se non capisci bene in profondità quello che stai dicendo, non lo potrai dire mai in maniera convincente. Questo è anche un lavoro sul movimento e gli ho chiesto proprio di essere attori. Ora c’era chi è più preparato chi meno preparato però credo anche che un lavoro sul gruppo per capire le ragioni profonde su quello che si sta facendo, fa in modo che tutto il gruppo risulti più forte e più convincente”.
Alla realizzazione della parte visiva hanno collaborato anche Clelia De Angelis per i costumi e Maria Elena Fusacchia per luci e direzione tecnica.
Per quanto riguarda la parte musicale l’aspetto più interessante è da ricercare nel fatto che è il frutto di due partiture divise da un lasso di tempo piuttosto cospicuo tra loro. La musica concepita per La legge risente senza dubbio dell’epoca nella quale è stata prodotta. Come lo stesso Manzoni ha dichiarato in essa si percepiscono gli echi di musicisti come Berg e Boulez ma anche una linea di canto rivolta soprattutto al declamato ed al recitativo con una vocalità dove gli elementi melodici non mancano raggiungendo con una certa frequenza il registro acuto utilizzando anche momenti molto efficaci di canto a tre con le voci, ben contrastanti tra loro anche per l’utilizzo di un mezzosoprano (Vecchia), un soprano (Giovane Donna) e tenore (Uomo).
Anche l’orchestrazione risulta particolarmente brillante elemento determinante per una parte musicale felicemente ispirata, omogenea nell’insieme e rivolta comunque alla comprensione dello svolgimento dell’azione. Una partitura sintetica che riesce in circa ventina di minuti a rappresentare il dramma sotto tutti gli aspetti. Per quanto riguarda Gli occhi di Ipazia certamente i 68 anni non sono passati invano. In essa si può riscontrare, forse, una maggiore brillantezza strumentale ed una linea di canto ancor più finalizzata ad una comprensione del testo e dei contenuti ma, in definitiva, Manzoni conferma una certa continuità con il suo lavoro giovanile, sottolineata anche dall’analogia dell’utilizzo del coro che in entrambi i casi interviene su base registrata, a commento dei punti drammatici dei due lavori, la repressione delle manifestazioni dei contadini e la violenta uccisione di Vera.
Musicalmente tutto lo spettacolo a nostro giudizio è risultato particolarmente unitario nell’insieme rendendolo nel complesso godibile ed intelligibile.
Per quanto riguarda gli esecutori la compagnia di canto era interamente composta da artisti provenienti dai concorsi 2022 e 2023 e c’è da dire che hanno tutti ben figurato nei rispettivi ruoli superando agevolmente le indiscutibili difficoltà delle rispettive linee vocali. Ne La legge ci ha colpito la voce brunita del mezzosoprano Veronica Aracri proveniente dal concorso 2022; nelle altre due parti due cantanti provenienti dal concorso 2023, il soprano Mariapaola Di Carlo molto a suo agio nel registro acuto per una efficace Giovane Donna e il tenore Dario Sogos un Uomo dalle inflessioni giovanili.
Per quanto riguarda Gli occhi di Ipazia due cantanti del concorso 2022 nelle parti femminili: Alessia Marepeza è stata una Vera del tutto efficace, un soprano dalla voce chiara e limpida dotata di un buon fraseggio e di una buona dizione che ha centrato scenicamente il difficile personaggio da realizzare e il contralto Antonia Salzano che ci ha offerto una Rettrice del tutto credibile. Parimenti credibile ed incisivo il G.I. del basso Marco Gazzini e il tenore Paolo Mascari un valido, vocalmente e scenicamente, Onorevole; entrambi provengono dal concorso 2023.
In quest’opera sono anche previste due parti recitate affidate anch’esse a cantanti provenienti dai concorsi: Aloisia de Nardis (2023) e Davide Peroni (2022).
Infine la direzione d’orchestra affidata a Marco Angius un musicista che può essere considerato una sorta di assicurazione per la riuscita di una serata di musica contemporanea. Anche questa volta ha diretto l’ensemble strumentale impegnato con chiarezza e lucidità dedicando estrema cura all’esecuzione che è risultata vibrante ed attenta allo sviluppo drammaturgico.
L’esecuzione è stata applaudita a lungo e convintamente da tutto il pubblico convenuto il 25 agosto presso il Teatro Caio Melisso per una bella serata di Musica Contemporanea goduta in un luogo la cui felicissima acustica consente una partecipazione emotiva di particolare valenza.
Claudio LISTANTI Spoleto 27 Agosto 2023