di Claudio LISTANTI
Giulio Cesare in Egitto, il capolavoro di Georg Friedrich Händel è tornato sulle scene del Teatro dell’Opera di Roma con una edizione musicalmente pregevole grazie alla direzione di Rinaldo Alessandrini e ad una validissima compagnia di canto e con una realizzazione scenica per certi aspetti discutibile del regista innovatore Damiano Michieletto.
In questo mese di ottobre si è conclusa la Stagione Lirica 2022-2023 del Teatro dell’Opera di Roma con una rappresentazione di Giulio Cesare di Egitto il capolavoro di Georg Friedrich Händel che è ritornato sulle scene del teatro lirico rimano dopo un’assenza di circa un quarto di secolo che durava dal maggio-giugno 1998.
La scelta è stata molto apprezzata dal pubblico che è accorso in massa presso la sala Costanzi che per l’occasione, pur non avendo fatto registrare il tutto esaurito, ha comunque gremito in maniera importante il teatro a dimostrazione che anche un repertorio ‘desueto’ per i teatri italiani riesce ad appassionare, coinvolgere ed entusiasmare gli spettatori.
Nella cospicua produzione musicale hendeliana formata da grandi capolavori che abbracciano diversi tipi di repertorio nei quali il musicista sassone eccelleva in maniera assoluta, come oratori, musica strumentale e un numero piuttosto sostanzioso di opere liriche, tra le quali diversi capolavori assoluti come Orlando, Rinaldo, Agrippina, Alcina (solo per fare qualche esempio), il Giulio Cesare in Egitto a giudizio di molti può essere considerato il capolavoro dei capolavori.
Qui a Roma, sia al vecchio Teatro Costanzi sia al Teatro dell’Opera, rappresentazioni di opere di Händel sono pressocché assenti tranne Giulio Cesare in Egitto del quale si ricordano tre edizioni prima di quella della quale stiamo riferendo, nel 1955, nel 1985 e nel 1998. Tale situazione è certamente dovuta alla particolarità del repertorio, non molto frequentato anche presso altri teatri italiani, e divenuto con il passare degli anni piuttosto desueto pur recuperando interesse a partire dalla seconda metà del secolo scorso con la progressiva riscoperta del barocco in musica e con i suoi capolavori. Il successo delle repliche di questi giorni, si spera incoraggi gli organizzatori ad ampliare le proposte hendeliane.
Giulio Cesare, non solo a Roma, è tra le più conosciute dal pubblico il cui successo, a nostro avviso, è dovuto in special modo alla straordinaria parte musicale ed anche alla ricchezza delle parti cantate, tutte di estremo virtuosismo, con linee vocali che riescono a centrare in maniera del tutto sorprendente la psicologia e i sentimenti di ogni singolo personaggio, soprattutto per la parte di Giulio Cesare, personaggio storico che tutti conosciamo per le sue gesta, le sue vittorie e le sue conquiste, percepito forse come ‘gelido’ protagonista, personaggio senza personalità. Qui in Händel, invece, troviamo un essere umano con la sua interiorità e i suoi sentimenti, un eroe più ‘umanizzato’, che lo rende persona in carne ed ossa piuttosto che una fredda statua di marmo.
Giulio Cesare in Egitto fu composto intorno al 1723 e rappresentato per la prima volta a Londra,al King’s Theatre nel febbraio del 1724. È suddiviso in tre atti su un libretto scritto da Nicola Francesco Haym, romano di nascita e librettista prediletto da Händel, per il quale scrisse diverse opere come Teseo, Tamerlano, Rodelinda e Radamisto. Per Giulio Cesare si ispirò ad un libretto, dal medesimo titolo, scritto nel 1677 da Giacomo Francesco Bussani che fu musicato da Antonio Sartorio per essere rappresentato a Venezia.
La trama, come in tutte le opere ‘barocche’ è particolarmente intricata. L’azione si svolge nella zona di Alessandria d’Egitto e ha come antefatto la campagna di Giulio Cesare del 48 a.C. quando sconfisse il nemico Pompeo nella battaglia di Farsalo. Poi lo inseguì fino alle sponde del fiume Nilo,
Per sintetizzare l’azione si può dire che nell’opera ci sono due gruppi di personaggi. I Romani con Giulio Cesare, la moglie il figlio del defunto Pompeo, Cornelia e Sesto Pompeo, e il tribuno Curio. Contrapposti ci sono gli Egizi con Cleopatra e Tolomeo co-regnanti, fratelli e tra loro rivali, il generale Achilla e il cortigiano Nireno.
I due fratelli egiziani, sovrani tributari di Roma, cercano di ottenere i favori di Cesare. Tolomeo fa assassinare Pompeo e ne invia a Cesare la testa mozzata fatto che provoca l’orrore e il risentimento non solo del generale romano ma anche di Cornelia e Sesto Pompeo che giurano vendetta. Cleopatra esibisce la sua ‘ars amatoria’ per conquistare Cesare ma finisce per essere a sua volta conquistata. Tolomeo e Achilla diventano rivali in amore per conquistare la romana Cornelia che resta però indignata da queste ‘avances’.
Tutto poi andrà a posto perché i ‘buoni’ saranno i vincitori e condurranno l’azione all’inevitabile lieto fine.
Per riferire di questo spettacolo che, ripetiamo, ha entusiasmato il pubblico convenuto al Teatro dell’Opera, iniziamo dalla realizzazione musicale, l’aspetto che è più complesso ed intrigante per una rappresentazione come questa. A guidare l’esecuzione è stato scelto Rinaldo Alessandrini, oggi uno dei più quotati interpreti per il repertorio barocco ed in particolare per Händel.
L’aspetto fondamentale per una proposta musicale come questa è quella di rendere l’esecuzione in linea con i tempi e i gusti del pubblico di oggi ed individuare una prassi esecutiva che ne consenta una certa attualizzazione dovuta anche alle diverse caratteristiche che contraddistinguono strumentisti e interpreti vocali di oggi.
Una recita di Giulio Cesare di Händel giunge a noi dopo 300 anni dalla nascita. È un tempo siderale visti i cambiamenti e l’evoluzione che ha caratterizzato il mondo dell’opera lirica in questi tre secoli. Una esecuzione del terzo millennio deve, quindi, prendere in considerazione questo sviluppo dettato dal trascorrere del tempo.
Rinaldo Alessandrini ha predisposto una esecuzione del tutto corrispondente a questi fattori. La parte prettamente strumentale, oggi, non da particolari problemi. Come egli stesso ha messo in risalto il recupero, ad ogni livello, del repertorio barocco ha formato senza dubbio una classe di strumentisti del tutto preparati ad affrontarla anche con l’acquisizione della necessaria tecnica esecutiva per l’utilizzo degli strumenti d’epoca. Condizione questa verificatasi anche per Giulio Cesare grazie al contributo dell’Orchestra del Teatro dell’Opera che Alessandrini ha saputo plasmare per offrici una parte strumentale curata e incisiva, attenta alle sfumature ed alla caratterizzazione dei personaggi mettendone in risalto le personalità e i sentimenti.
Per quanto riguarda gli interpreti vocali la scelta è, purtroppo, molto problematica. Giulio Cesare in Egitto, come molte altre opere ‘barocche’ fu scritto da Händel ‘su misura’ per le voci a sua disposizione al momento. Per Giulio Cesare la compagnia di canto era formata da cantanti allora stelle di prima grandezza.
Nei due ruoli principali, Cesare e Cleopatra, c’erano rispettivamente il castrato Francesco Bernardi, noto con il soprannome di Senesino cantante di straordinaria presenza scenica e di altrettanto straordinarie doti canore e Francesca Cuzzoni originaria di Parma, interprete sopraffina che le cronache ci dicono in possesso di una voce straordinariamente omogenea ma duttile nell’interpretazione grazie ad un fraseggio prodigioso che le consentiva di interpretare le sfumature psicologiche e intime di ogni singolo personaggio. Ma la meraviglia canora non finiva qui.
Nella parte di Sesto Pompeo un’altra grande cantante alla quale fu riservato un ruolo in travestì, Margherita Durastanti, conosciuta da Händel nel suo soggiorno a Roma, portentosa voce di soprano ma piuttosto duttile elemento che le consentiva di frequentare anche ruoli di mezzosoprano e contralto. Nel drammatico ruolo di Cornelia la cantante inglese Anastasia Robinson, un soprano che le cronache ci dicono divenuta contralto nel 1719 a causa di una malattia e spesso utilizzata dal compositore sassone e poi un altro castrato, il fiorentino Gaetano Berenstadt un Tolomeo dal timbro di contralto la cui fama è a noi giunta proprio per la collaborazione con Händel.
Nel ruolo secondario di Nireno un altro castrato italiano Giuseppe Bigonzi sempre contralto e due bassi: Giuseppe Maria Boschi uno dei cantanti virtuosi più celebri all’epoca giudicato dagli storici il primo consistente esempio di basso-baritono al quale fu affidato il ruolo di Achilla e, per finire, John Lagarde nella parte di Curio.
Una compagnia di canto di questo genere consentiva all’epoca di realizzare l’esecuzione dell’opera secondo le necessità che imponeva la struttura dell’opera lirica del tempo, composta da una serie di recitativi che sottolineavano l’azione ai quali corrispondevano una serie di arie che avevano il compito di esplicitare gli stati d’animo dei singoli personaggi non dimenticando la rara presenza sia di ‘ariosi’ che di duetti e terzetti. Il tutto era sottoposto all’abilità di ogni singolo cantante che, come i componenti di questa compagnia, erano in possesso di una musicalità sopraffina che consentiva loro la possibilità di improvvisare abbellimenti e variazioni che arricchivano i ‘da capo’ inseriti dagli autori nelle arie che si susseguivano con il procedere dell’esecuzione.
Realizzare oggi le parti scritte per castrato basate sull’agilità e la potenza della voce è ovviamente impossibile. Se si vuole godere della bellezza di un’opera come Giulio Cesare in Egitto, però, è necessario porre in atto misure di ripiego. Nel tempo si sono affidate le parti a voci maschili, tenori bassi o baritoni a secondo del tipo di timbro necessario e, più spesso, a voci femminili. Se nel primo caso le voci maschili non garantivano una adeguata agilità, nelle voci femminili, invece, l’agilità è, anche se in misura inferiore, garantita assieme allo spessore delle voci, come accade spesso nelle voci di contralto elementi che rendono credibile l’esecuzione e la rappresentazione.
Poi c’è la terza via, quella percorsa da Rinaldo Alessandrini, di affidare le parti ai controtenori. La scelta garantisce un recupero molto soddisfacente dell’agilità trascurando però la potenza di voci che, anche per quelle di contralto, tendenti un po’ al color bianco. C’è da dire però che l’arte e la tecnica di canto dei controtenori oggi è notevolmente progredita, come dimostra anche la compagnia di canto scelta da Alessandrini della quale più avanti riferiremo, soprattutto per il lavoro fatto per ottenere uno spessore vocale più intenso. È una scelta d’emergenza alla quale si può essere favorevoli oppure no (come siamo anche noi che preferiamo le voci femminili di contralto), che comunque non può essere censurata in assoluto.
Alessandrini ha contribuito a realizzare in maniera soddisfacente la parte vocale curando i recitativi che sono il fulcro dell’azione parallelamente ai virtuosismi necessari per i ‘da capo’ donando così quel necessario senso di varietà che rende accattivante l’esecuzione dell’opera barocca. Nello stesso tempo ha operato, però, anche un cospicuo numero di tagli alla partitura, operazione che nella prassi odierna di rappresentazione del barocco è utilizzata spesso per rendere la percezione dell’insieme più intelligibile e partecipata. Sono stati tagliati i cori tranne quello finale come una buona parte dei recitativi ed alcune arie lasciando ovviamente quelle più celebri e significative.
Una esecuzione musicale nel complesso molto omogenea e godibile ottenuta grazie allo spessore dell’Orchestra del Teatro dell’Opera e della compagnia canto.
Per quanto riguarda questa componente dello spettacolo sono stati scelti cantanti apprezzati per il repertorio barocco. La parte di Giulio Cesare è stata affidata al controtenore Raffaele Pe, cantante molto raffinato e appassionato studioso per questo genere di repertorio. Ha un impianto vocale certamente apprezzabile che gli permette di esibire suoni corposi tendenti allo scuro che rendendo la sua interpretazione più credibile dal punto di vista teatrale anche perché riesce a mostrare una certa facilità nelle emissioni che consentono una fluida interpretazione.
Nella parte di Cleopatra c’era il soprano inglese Mary Bevan dotata di buona presenza scenica e di un apprezzabile impianto vocale anche se non di gran volume. Pur con qualche difficoltà ha comunque realizzato bene l’impegnativa linea vocale create per la grande Francesca Cuzzoni mentre la sua interpretazione mancava un po’ di sentimento e cantabilità. La parte di Sesto Pompeo è stata affidata al contraltista statunitense Aryeh Nussbaum Cohen, decisione piuttosto inaspettata visto l’originale scritto per soprano, seppur un soprano come la Durastanti dalla tessitura piuttosto estesa. Un tipo di cantante reperibile oggi, a nostro giudizio, avrebbe dato un maggiore spessore al personaggio nonostante la bravura mostrata da Cohen durante tutta l’esecuzione.
La parte di Cornelia è stata affidata a Sara Mingardo, contralto dalla garantita esperienza nelle numerose esecuzioni di stampo barocco alle quali ha partecipato nella sua importante carriera. La cantante veneziana ha saputo dare al personaggio il necessario spessore interpretativo sia dal punto di vista della recitazione sia dal punto di vista vocale grazie al suo accattivante timbro di contralto. La sua interpretazione è stata molto apprezzata del pubblico che al termine le ha dedicato l’ovazione più sonora. Lo schieramento dei controtenori si concludeva con Rémy Brès-Feuillet soddisfacente e intenso Tolomeo.
Nelle rimanenti parti c’erano il quarto controtenore della serata Angelo Giordano Nireno poi il basso Rocco Cavalluzzi Achilla, e il baritono Patrizio La Placa Curio.
L’opera è stata rappresentata con un allestimento realizzato in coproduzione con il Théâtre des Champs-Élysées di Parigi presso il quale è stato rappresentato in prima assoluta l’11 maggio 2022 e con Oper Leipzig, Opéra Orchestre National de Montpellier – Occitanie, Capitole de Toulouse.
La direzione della parte visiva è stata affidata al regista Damiano Michieletto, molto stimato dai dirigenti del Teatro dell’Opera che nel corso degli anni hanno affidato alla sua mano diversi spettacoli fino a nominarlo ‘dominus’ assoluto per le produzioni della stagione estiva 2025 presso le Terme di Caracalla manifestazione che si terrà in concomitanza con il previsto Giubileo.
Michieletto è uomo di teatro molto controverso per il continuo dibattito che stimolano le sue realizzazioni, contrapponendo le opinioni di critici e appassionati d’opera e che produce schieramenti compatti tra chi è favorevole e chi no. Per quanto ci riguarda troviamo piuttosto discutibile le sue letture dell’opera dell’800, del periodo romantico e del primo ‘900 soprattutto per il mancato rispetto del testo e delle drammaturgie rappresentate che sono spesso, per brevità senza fare i nomi, il frutto delle creazioni teatrali di grandi artisti.
Per Giulio Cesare il discorso può essere del tutto diverso. L’opera barocca era una sorta di ‘kolossal’ per il teatro dell’epoca, non solo per i grandi interpreti impegnati nella realizzazione ma, anche, per la cornice sfarzosa che ne conteneva l’azione spesso integrata da macchinari scenici che ne esaltavano la visione. Inoltre si tratta di opere piuttosto statiche soprattutto nella cospicua parte dedicata all’evidenziazione dello stato interiore dei personaggi. Michieletto si è venuto a trovare così nelle condizioni ideali per estrinsecare una delle sue caratteristiche artistiche che è quella di utilizzare simbolismi anche quando non esiste una vera e propria necessità.
Ne è nato uno spettacolo nell’insieme molto semplice, contenuto in uno spazio piuttosto limitato che riduceva notevolmente le misure dell’ampio boccascena che caratterizza il teatro romano, necessità, immaginiamo, derivata anche dalle dimensioni del palco dei teatri con i quali lo spettacolo è stato coprodotto.
Nella realizzazione ha cercato anche di dare una dimensione umana a Cesare che come anticipato poco prima Händel rende il personaggio meno freddo e statuario. Così fin dall’apertura ha immaginato un Giulio Cesare irretito da una serie di fili rossi che ricorrevano spesso durante lo spettacolo nella cui prosecuzione si capiva che erano i fili tessuti dalla Parche per influenzarne il destino, il tremendo destino a cui andò incontro il dittatore in questa realizzazione citato in maniera incisiva anche se un po’ sopra le righe.
I personaggi vestivano abiti moderni a sottolinearne così l’attualizzazione con la Cleopatra rappresentata come una ‘vamp’ dal travolgente fascino erotico, con Sesto Pompeo dall’abbigliamento giovanile che ne evidenziava anche gli ardori di adolescente desideroso di vendicare la morte del padre, sentimento che si affianca a quelli della madre Cornelia continuamente scossa dalla morte del marito Pompeo ed alla ricerca della giusta vendetta. Se escludiamo i soliti elementi disturbanti caratteristica delle messe in scena di oggi, come la presenza continua di nudità femminili e alcuni momenti poco comprensibili e di cattivo gusto, come la copiosa caduta dall’alto delle ceneri di Pompeo, lo spettacolo procede sui binari della semplicità e dell’essenzialità anche se spesso Michieletto ricorre all’inflazionato bianco/grigio con accanto, però, diverse scene risultate piuttosto eleganti e colorate che ne hanno valorizzato l’insieme.
Per la realizzazione dello spettacolo e delle sue peculiarità rappresentative determinante è stato il contributo di Paolo Fantin per le scene, di Agostino Cavalca per i costumi, di Alessandro Carletti per le luci e di Thomas Wilhelm per gli ormai consueti movimenti coreografici che completano gli allestimenti lirici anche quando non strettamente necessari.
La recita alla quale abbiamo assistito è quella del 17 ottobre terminata con un buon successo di pubblico che ha seguito con concentrazione ed interesse la rappresentazione sottolineando il proprio gradimento con diversi applausi a scena aperta soprattutto dopo le impegnative arie che propone la partitura ed un caloroso successo finale chiamando al proscenio tutti gli interpreti che hanno riscosso, ognuno, un ben evidente successo personale.
Claudio LISTANTI Roma 22 Ottobre 2023