redazione
PRESENTAZIONE E IMMAGINI DELL’AFFRESCO RIEMERSO
Opere medioevali nel Convento di Villa Verucchio
IL CONVENTO La Chiesa e il Convento di Santa Croce a Villa Verucchio sono il complesso francescano più antico dell’Emilia-Romagna. Benedetti dal passaggio del Santo di Assisi, in un tempo in cui esisteva forse già una più antico luogo di preghiera, gli edifici sacri sono, sia in sé sia per ciò che custodiscono, un privilegiato scrigno di testimonianze storiche e artistiche, disseminate dal XIII al XX secolo. Tuttavia, è soprattutto il periodo medievale a lasciare in loco le tracce più prestigiose e suggestive.
IL CIPRESSO Il plurisecolare cipresso del chiostro, risalente almeno al XIII secolo, si sarebbe miracolosamente originato, secondo la leggenda francescana, da un bordone da pellegrinaggio che l’Assisiate piantò nel luogo in cui si era fermato per riposare e pregare. Oggi alto 25 metri e sopravvissuto a innumerevoli avversità storiche e metereologiche, resta un segno del legame tra la terra e il cielo, Albero della Vita (Lignum Vitae) che si innalza come una preghiera dalle radici del sottosuolo fino alle cime dei rami che sfiorano l’azzurro.
LA CROCE DUECENTESCA La Croce dipinta di foggia duecentesca custodita nell’abside, pur nelle manomissioni e ridipinture che ne impediscono una corretta comprensione e una valutazione dell’autenticità delle singole parti, permette di contemplare la forma antica, precedente la rivoluzione giottesca, con cui i Francescani (e non solo loro) si accostavano all’immagine di Gesù crocifisso, enfatizzando l’iconografia bizantina accolta da Giunta Pisano, da Cimabue ecc. Una scelta che pone il contrasto tra il forte patetismo di Maria e Giovanni dolenti, vere icone di un pianto liturgicamente trattenuto, e la gloria dell’oro che segna, anzi irriga il perizoma del Salvatore sacrificato.
LA CROCIFISSIONE L’affresco con la Crocifissione, opera di un anonimo pittore riminese del XIV secolo (il Maestro di Villa), vicino a Giuliano da Rimini seppure ben distinto dal noto artista, è la testimonianza di una precoce ricezione delle novità narrative e prospettiche di Giotto, soprattutto relative agli affreschi della Basilica Superiore di Assisi e a quelli della Basilica del Santo a Padova. Affascinante la parte superiore del dipinto dove uno sciame di angeli partecipa alla tragedia cosmica con uno slancio emotivo che supera persino quello degli umani, pur celebrando simbolicamente un ufficio eucaristico. Tra i discepoli e gli astanti si affacciano fascinose figure tratte dai Vangeli canonici e apocrifi (il centurione, Stephatos, Longino ecc.).
IL DOSSALE Dal convento di Villa Verucchio proviene, infine, la tavola (un dossale d’altare) con le Storie di Cristo (1330 ca.), attribuita a Giovanni Baronzio. La metà sinistra dell’opera, acquisita dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini nel 2006, è custodita al Museo della Città, e narra in modo lineare il cammino doloroso del Cristo dall’Ultima cena fino alla Salita al Calvario; la parte destra, proprietà della Galleria di Palazzo Barberini a Roma, ordina in modo circolare i misteri pasquali dalla Deposizione della Croce fino alla Pentecoste. Entrambi sono un compendio del simbolismo bizantino e medievale, trapunto di invenzioni narrative giottesche, cui il pittore, tuttavia, non cede, perché fedele al richiamo di linguaggi più squisitamente adriatici, balcanici e orientali.
CRISTO IN PIETA’ Benché non sia possibile né nutrire certezze, né azzardare ipotesi, sulla base di un filmato fortunatissimo ma imperfetto, la nicchia di preghiera con l’Imago pietatis recentemente riscoperta sembra condurci nell’atmosfera pittorica di un Trecento tardo (al massimo agli albori del Quattrocento). L’iconografia segue lo schema tradizionale, sorto in Oriente al passaggio tra XI e XII secolo e più volte reinterpretata da maestri riminesi, bolognesi e veneziani del XIV; tale canone prevede la rappresentazione a mezza figura del Cristo morto con le braccia composte che, segnato dalle ferite del sacrificio, si erge dal sarcofago su uno sfondo monocromo o dorato, di metafisica efficacia, a volte segnato dalla presenza della Croce. Malgrado s’intenda qui il Cristo deposto dal patibolo, compianto e pronto per la sepoltura, l’immagine non ha niente di narrativo, non racconta nulla, ma espone il corpo martoriato del Salvatore agli occhi, alla devozione e all’intelligenza del credente, suscitando sia un sentimento di partecipata pietà, sia evocando significati teologici ed eucaristici. Nella chiesa bizantina l’icona è chiamata Suprema umiliazione (perché designa il Verbo divino nel punto massimo della sua spoliazione), ma anche, per antitesi, Re della gloria (con riferimento alla liturgia pasquale ortodossa), per cui si ricorda che quel corpo piagato e ucciso è quello del Figlio di Dio immortale e salvatore.
Roma 22 Ottobre 2023