Rossella VODRET
Prime riflessioni sulla Presa di Cristo Bigetti a Palazzo Chigi di Ariccia.
Penso che in tutta questa vicenda abbia ragione Vittorio Sgarbi.
Francesco Petrucci, studioso stimato e caro amico di molti di noi, è stato davvero molto bravo a condurre tutta l’operazione “Caravaggio. La presa di Cristo dalla Collezione Ruffo”, che ha richiamato nel magnifico Palazzo Chigi di Ariccia, in una sola settimana, migliaia di visitatori, gran parte dei quali, probabilmente, non avevano mai messo piede nel grande Palazzo seicentesco, distante da Roma solo una trentina di chilometri. Un’occasione eccezionale di far conoscere e valorizzare la dimora dei Chigi e il Museo del Barocco custodito al suo interno che dirige da anni con grande efficacia e intelligenza.
Il tutto accompagnato da un poderoso e approfondito studio sul quadro[1] che gli ha consentito di proporre una ricostruzione delle vicende storiche e dei passaggi di proprietà del dipinto dai Mattei fino al suo approdo nella collezione Ruffo, dai quali lo ha acquistato nel 2003 l’antiquario Mario Bigetti, attuale proprietario della tela[2].
Ma sulla strada dell’accoglimento della proposta di Francesco Petrucci c’è un macigno: il confronto con la Presa di Cristo della National Gallery di Dublino, un’opera ritenuta originale da quasi tutti gli studiosi di Caravaggio, che per qualità stilistica, ricostruzione documentaria e evidenze tecniche è a mio avviso assolutamente inattaccabile.
Ho osservato a lungo la tela esposta ad Ariccia parlandone con Francesco Petrucci e Carla Mariani, che ringrazio per la loro gentilezza e disponibilità, insieme con le due radiografie esposte nella stessa sala e ho letto attentamente il catalogo della mostra, edito da De Luca.
Mi è sembrata un’opera di buona qualità stilistica, ma con alcune importanti cadute qualitative che non mi consentono di accettare l’idea che la Presa di Cristo Bigetti sia un’opera autografa di Caravaggio. Basta a questo proposito osservare alcuni particolari a confronto con quelli della tela di Dublino per rendersi conto della grande differenza qualitativa tra le due tele. Le immagini parlano da sole e, a mio avviso, non hanno bisogno di alcun commento (fig.: 1 e 2, 3 e 4, 5 e 6).
Per di più, a differenza della tela di Dublino che oltre ad essere di eccezionale qualità stilistica, rispecchia perfettamente tutte le caratteristiche tecniche della prassi di Caravaggio, ormai ben nota, l’opera di Ariccia manca di alcuni elementi esecutivi essenziali tipici del grande genio lombardo.
Mi riferisco in particolare al caratteristico e peculiare uso della preparazione scura a vista, utilizzata praticamente sempre da Caravaggio, tranne rarissime eccezioni, soprattutto dopo la Contarelli, sia per realizzare le ombre e i fondi scuri sia per delimitare i profili delle campiture di colore.
Un accorgimento esecutivo, questo, che gli consentiva di velocizzare al massimo l’esecuzione dei suoi dipinti e che a questa data, siamo nel 1602, era già molto sviluppato. Lo dimostrano chiaramente le altre tele databili in questo stesso giro di anni come la Cena in Emmaus di Londra dipinta sempre per i Mattei (1601), il S. Matteo e l’angelo della Contarelli (1602) o il Sacrificio di Isacco degli Uffizi (1603) oltre, naturalmente, alla Presa di Cristo di Dublino.
Altro elemento finora non evidenziato da tenere nella dovuta considerazione e sicuramente da approfondire, è il fatto che l’armatura tela della tela dell’opera irlandese è identica (9×8 fili al cmq) a quella del San Giovanni della Pinacoteca Capitolina (da ultimo Falcucci in Vodret 2021[3]), dipinto sempre per Ciriaco Mattei e contemporaneo alla Presa di Cristo. I due quadri, che furono dipinti evidentemente utilizzando una stessa pezza di tela, vengono pagati da Ciriaco Mattei a Caravaggio a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro: Il San Giovanni il 5 dicembre 1602 e la Presa il 2 gennaio 1603.
Il particolare non è irrilevante dal momento che, esaminando le caratteristiche delle tele su cui sono dipinte le opere di Caravaggio, solo altre tre coppie di opere risultano essere eseguite su tele con uguali caratteristiche di trama e ordito[4]. Tutte e sei le opere con queste caratteristiche sono state dipinte contemporaneamente o in tempi molto vicini, impiegando una stessa pezza di tela. Si tratta in particolare: dei due laterali della Cappella Contarelli (8×8 fili cmq) e i due della Cappella Cerasi (11×7 fili cmq), ai quali cui si possono aggiungere i Musici del MET e il Suonatore di Liuto dell’Ermitage (7×7 fili cmq).
Completamente diversa è invece la tramatura del quadro Bigetti: dipinto su tre pezze di tela, cuciti tra loro, ad armatura saia con trama diagonale a rilievo (Petrucci 2023, p. 29).
Un altro problema, su cui in questa sede non voglio soffermarmi, sembrano porre le due radiografie esposte ad Ariccia insieme al quadro. Le due radiografie – la prima analogica del 2006 e la seconda digitale del 2023 – dovrebbero documentare le modifiche/pentimenti compositivi, elementi questo su cui, oltre ai documenti, si poggia l’attribuzione a Caravaggio e la proposta di considerare la Presa Bigetti la prima versione del soggetto rispetto al dipinto di Dublino. Le modifiche della struttura compositiva di un dipinto sono di solito indice di originalità di un’opera d’arte, e dovrebbero differenziare la tela in esame dalle altre diciassette copie conosciute elencate da Francesco Petrucci, peraltro tutte derivate dal prototipo di Dublino. Ma sulla effettiva presenza di questi pentimenti ho alcune perplessità, nate proprio confrontando le due radiografie in mostra, che sembrano presentare informazioni diverse che vanno al di là delle differenze dovute alla modalità di esecuzione analogica o digitale. L’argomento tuttavia è estremamente complesso e mi riservo di approfondirlo in altra sede.
Un’ultima considerazione mi viene suggerita da una riflessione di Francesco Petrucci sulle dimensioni della tela in esame (142 x 218) [5], curiosamente molto vicine a quelle delle tele che Asdrubale Mattei aveva commissionato nel 1625 e il 1626 circa per la sua galleria nel Palazzo Mattei di Giove[6]. Dal momento che proprio nel 1626, mentre era impegnato con i quadri della galleria, lo stesso Asdrubale aveva pagato il pittore Giovanni di Attilio per eseguire una copia della Presa di Cristo all’epoca di proprietà del figlio Paolo (Cappelletti –Testa; Petrucci[7]), è possibile pensare che Asdrubale abbia commissionato la copia del capolavoro di Caravaggio, con queste misure così diverse dall’originale, in vista di un suo inserimento ciclo cristologico della Galleria?
NOTE