di M. Lucrezia VICINI
Giovanni Battista Crespi (Cerano, 1565-70- Milano, 1633)
San Girolamo in penitenza (olio su tavola, cm. 65X48,8, inv. n. 88)
Un inedito San Girolamo con il simbolo della tromba
Il dipinto apparteneva al Cardinale Bernardino Spada(1594-1661) e doveva essere tra i suoi quadri preferiti per il messaggio che trasmetteva, se lo custodiva nella riservata Stanza dell’Udienza presso i suoi appartamenti nel piano nobile del Palazzo, come risulta nell’inventario dei suoi beni ereditari del 1661, descritto come “ Un San Girolamo sopra la porta con un Crocifisso in mano”
Nell’inventario del 1759 risulta trasferito all’interno della quadreria, nella Stanza à volta, attuale quarta sala del Museo, e così indicato: “Altro San Girolamo con Cristo in mano di mezza testa, con cornice di radica d’olivo, s. 35” (2).
Il Fidecommesso del 1823 lo registra spostato nella seconda sala del Museo con l’attribuzione a Cecchino Salviati, come “S. Girolamo, Cecchino Salviati” (3).
Con lo stesso riferimento e la stessa collocazione, l’opera compare citata nell’Appendice al Fidecommesso del 1862 (4), nella ricognizione inventariale del 1925 di Pietro Poncini (5) e nella coeva stima di Hermanin che valuta lire 10.000 (6). Nel 1951, in occasione del riassetto del Museo per la sua riapertura al pubblico, fu da Zeri esposto in prima sala dove è rimasto fino ad oggi.
L’attribuzione al Salviati, per la quale, oltre ad Hermanin si era espresso favorevolmente anche il Barbier De Montault (7), viene respinta da Porcella (8) che giudica il dipinto di anonimo manierista, forse lombardo, del tardo ‘500. Il Lavagnino (9) si mantiene pure nell’ambito della Scuola Lombarda del sec. XVI.
L’attribuzione al Cerano è operata dal Longhi (10), trovando conferma in Zeri (11) che ritiene condotte certe parti accessorie, come la tromba e il Crocifisso con lo stesso fare minuto e rapido che si riscontra nei disegni. Zeri lo data al penultimo decennio del ‘500 ma che secondo Rosci potrebbe essere spostata alla fine del primo decennio del Seicento(12).
L’ipotesi di Zeri che fa cadere l’esecuzione al penultimo decennio del ‘500, sembra però essere più valida, alla luce degli ultimi dati documentari prodotti da A. Nova (13) che ne anticipano l’anno di nascita, tradizionalmente fissato al 1575, di almeno otto anni. Tali dati consentono di delineare un diverso e più attendibile percorso formativo del pittore, il quale, dopo le prime esperienze in Lombardia a contatto forse con Pellegrino Tibaldi, si reca a Roma intorno al 1585-86 e non nel 1595, come supposto dalla critica precedente (14), dove fonde le sue esperienze lombarde con il manierismo romano.
Dottore della Chiesa e Santo, Girolamo (340-345 a.C.- 420 d. C.), è considerato il più grande biblista della Chiesa Latina. La traduzione in latino del Vecchio e Nuovo Testamento, nota come Vulgata, proclamata dal Concilio di Trento testo canonico ufficiale della Chiesa, fu da lui compiuta nel deserto della Siria, dove si era ritirato per rispondere ad un suo desiderio di ascetismo, sottoponendosi ad una vita fatta di privazioni e di rigorose penitenze (15).
Più che nella veste iconografica di intellettuale, è proprio in quella di eremita penitente che il Santo viene solitamente rappresentato in pittura nel periodo post-tridentino, in cui la sua spiritualità e il suo contatto con Dio meglio contemplavano le esigenze della Chiesa di ribadire il concetto di redenzione, raggiungibile attraverso la penitenza e quindi la confessione, negata dai protestanti, e l’imitazione di Cristo.
Anche nella piccola tavola Spada elementi iconografici rimandano al suo stato di eremita penitente e di imitatore di Cristo. Il Santo seminudo con il volto emaciato, è raffigurato in simbiosi con il Cristo Crocifisso che stringe con forza a sé ricurvo, mentre si percuote il petto con un sasso, come era solito fare nei momenti di estrema penitenza, e recita il rosario, a sostegno dell’etica controriformistica, che considerava la preghiera, nella sua funzione di unire l’uomo a Dio in un rapporto diretto, uno strumento per combattere le Eresie.
Il teschio già simbolo di penitenza e di meditazione, accostato al Crocifisso, ribadisce il concetto della vanità delle cose terrene di fronte alla morte e alla vita contemplativa, e lo stesso impegno dottrinale perseguito dal Santo, non evidenziato nel dipinto dalla presenza dei tomi biblici, altri suoi attributi, rimane privo di importanza di fronte alla morte e alla Resurrezione.
Alla Resurrezione rimanda la tromba in alto a sinistra, i cui squilli, connessi agli squilli delle trombe del giudizio sentiti da Girolamo mentre viveva nel deserto, riecheggeranno, secondo i testi biblici, al momento del Giudizio Universale, quando l’anima, redenta, potrà godere della Grazia Divina. Elemento iconografico nuovo quello della tromba che nel diciassettesimo secolo accompagnerà spesso l’immagine del Santo, intento ad ascoltare gli angeli comparsi in cielo mentre danno fiato ai loro strumenti.
E’ probabile che il pittore nelle vesti dell’eremita abbia voluto raffigurare proprio San Carlo Borromeo, i cui tratti dal mento affilato e dal caratteristico naso, già proposti in immagini di San Francesco, si riscontrano nel Ritratto del Borromeo nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano.
Il dipinto rientra nei canoni delle opere eseguite nel primo periodo del pittore, caratterizzati da un forte plasticismo, evidenziato dalla luce dorata che investe i corpi, assimilato a contatto con i manieristi romani, da intonazioni coloristiche violacee e da una descrizione minuziosa dei
particolari, come la stuoia che copre il Santo, recepita dai fiamminghi attivi a Roma. I particolari del rosario e del Crocifisso tornano anche nel San Francesco in estasi (Novate, Raccolta Testori) e in San Francesco che adora il Crocifisso (Milano, Museo del Castello). Presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, è conservato un disegno a matita e sanguigna del Ghelardini, discepolo del Cerano (mm.250×185), raffigurante San Girolamo inginocchiato adorante un Crocifisso, simile al dipinto del Cerano(16).
M. Lucrezia VICINI Roma 5 Novembre 2023NOTE