di Claudio LISTANTI
Sostenere che il rapporto tra Antonio Pappano e il pubblico di Santa Cecilia fosse, in un certo senso, indissolubile, era senz’altro prevedibile visto il lungo periodo che ha visto il direttore italo-inglese alla guida dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia ottenere successi e trionfi sia qui a Roma che nelle numerose tournées internazionali. La sua partenza, seppur appartenente a quei fatti della vita che si possono considerare nell’ordine delle cose che portano alla fine di un rapporto pur in presenza di una incrollabile stima reciproca, avvenuta dopo circa 18 anni di stretta collaborazione, non ha scalfito minimamente questo rapporto di ammirazione per la sua arte direttoriale.
Tutto ciò è apparso con evidenza nel concerto inserito nel programma della Stagione Sinfonica ed eseguito nei giorni del 2, 3 e 4 novembre scorsi, ai quali ha assistito un pubblico particolarmente numeroso cha ha affollato la Sala Santa Cecilia al limite della capienza, un pubblico che è apparso ‘elettrizzato’ dall’avvenimento musicale che ha salutato con entusiasmo Pappano già al suo ingresso sul palco riservando, poi, al direttore un vero e proprio trionfo al termine del concerto.
Il programma del concerto è parso molto ben costruito nell’insieme grazie anche alla partecipazione del pianista russo-tedesco Igor Levit che ha impreziosito la serata.
La locandina della serata prevedeva due parti, in un certo senso, antitetiche tra loro.
Nella prima erano presenti due composizioni coeve (intorno al 1803) nello specifico l’Ouverture da Anacréon di Luigi Cherubini ed il Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra in do minore, op. 37 di Ludwig van Beethoven. Un accostamento piuttosto felice in quanto è conosciutissima la stima di Beethoven per il compositore fiorentino, esplicitata in una lettera del tedesco del 1823 che Carlo Maria Cella ha riportato nelle note di sala da lui curate per questo concerto, dove Beethoven, tra le altre cose, scrive
“Sono sempre estasiato ogni volata che ascolto una vostra composizione, e ne sono più interessato come se fosse mia…”
Con questa scelta Pappano ha voluto mettere in evidenza una condivisibile ‘attrazione’ tra i due musicisti proponendo l’Ouverture da Anacréon, che oltretutto mancava da Santa Cecilia da più di mezzo secolo (specificatamente dal 1971), che forse ha lo svantaggio di essere inserita in un’opera poco riuscita di Cherubini ma che comunque trova sempre spazio nei concerti dei più grandi direttori. Infatti la qualità della musica è eccellente, soprattutto per l’impronta classicista che indiscutibilmente contiene e per l’atmosfera tragica che la pervade elementi resi da Pappano con particolare eleganza e partecipazione.
Al suo fianco il Beethoven del Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra in do minore op. 37 una composizione emblematica per l’iter compositivo del musicista tedesco che buona parte della critica considera opera chiave per la sua evoluzione compositiva. Innanzi tutto perché con il Terzo Concerto si delinea un nuovo ruolo per il pianoforte in composizioni di questo tipo che si pone in ideale equilibrio con l’orchestra acquisendo il ruolo determinante di pianoforte romantico che sarà, poi, una delle peculiarità beethoveniane. Inoltre il Terzo Concerto, proprio perché collocato ad un bivio dell’arte di Beethoven si presta a due tipi di lettura, quello più spiccatamente classicista grazie agli inequivocabili spunti mozartiani presenti soprattutto nel primo e nel secondo movimento, caratteristiche che però denotano uno stile ormai in esaurimento e quello più orientato verso il nuovo, elemento che dimostrato da una scrittura pianistica di indubbio carattere romantico per evidenziare un’altra caratteristica di Beethoven, soprattutto quella della maturità, vale a dire la costante ricerca del nuovo e dell’innovazione.
L’interpretazione di Pappano è risultata del tutto orientata verso il classicismo, mettendo così in risalto quelle reminiscenze mozartiane delle quali abbiamo già accennato, proponendo una esecuzione curata ed elegante, attenta ai particolari grazie alla professionalità dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia alla quale si è unita la convincente prova del pianista russo-tedesco Igor Levit che ha messo in evidenza la sua indiscutibile classe di pianista proponendo una interpretazione fiorita e raffinata che ha avuto il suo zenit nello strepitoso ‘Largo’ centrale per una interpretazione che ha incantato l’esigente pubblico di Santa Cecilia che al termine della prima parte del concerto ha applaudito a lungo il pianista.
Anche nella seconda parte del concerto c’erano due composizioni della stessa epoca per proporre un raffronto ravvicinato tra loro. Nello specifico c’era En Saga (Una saga), poema sinfonico op. 9 di Jean Sibelius la cui produzione è datata 1892 e Till Eulenspiegels lustige Streiche (I tiri burloni di Till Eulenspiegel), op. 28 di Richard Strauss che ha come data di composizione 1895. I due brani, quindi, anch’essi coevi ma con un altro elemento in comune, quello di essere considerati ‘poemi sinfonici’. Quindi musica descrittiva ma, in questo caso, sono tra loro antitetici. En saga, come ha anche spiegato lo stesso Pappano in un suo intervento dedicato come di consueto al “Caro pubblico”, non fa riferimento ad alcun specifico ‘programma’, o ad un racconto o un libro, che possa aver ispirato la composizione come in molte altre occasioni che hanno generato opere sinfoniche di questo tipo. Difatti En saga non possiede niente di tutto questo e, quindi, non descrive ambienti precisi o fatti accaduti ma trasmette solo sensazioni ed emozioni che ogni ascoltatore può leggere a seconda della propria specifica sensibilità. Personalmente immaginiamo colori e grandi distese della terra natia di Sibelius, la Finlandia, con la sensazione di spazio infinito e di atmosfere naturali che il compositore comunica attraverso la sua felice invenzione melodica e la sapiente orchestrazione. Ma sono percezioni sensitive del tutto personali che possono essere ben lontane da quelle che magari prova l’ascoltatore seduto accanto a noi che possiede probabilmente una sensibilità diversa.
Per contro Richard Strauss con I tiri burloni di Till Eulenspiegel propone un chiarissimo esempio di poema sinfonico basato sul personaggio di Till Eulenspiegel, una estrosa figura di carattere popolare e popolaresco della cultura della tradizione tedesca fin a divenire anche simbolo dell’identità nazionale. Un personaggio fanciullesco inesauribile inventore di burle costretto per il suo comportamento a vagare per città e paesi che finisce per essere condannato a morte. Strauss lo descrive in maniera magistrale grazie alle sue doti di strumentatore e di grande musicista utilizzando ritmi, timbri e colori che riescono ad animare l’ascolto ponendo lo spettatore davanti ad una visione precisa e circoscritta di quanto avviene nella storia narrata.
Per questi due brani, che necessitano entrambe di una grande e corposa orchestra sinfonica, Pappano ci ha regalato una interpretazione del tutto convincete per aver messo in risalto la poetica musicale di ognuno di questi poemi sinfonici curando la parte orchestrale in maniera del tutto ottimale grazie anche alle qualità dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia e dei suoi componenti tutti strumentisti di alta e provata professionalità.
Il successo del concerto è stato travolgente (ci riferiamo alla recita del 4 novembre) con Pappano osannato dal pubblico con il quale non si è ancora interrotto il tenace feling che si è rafforzato progressivamente nel lungo periodo nel quale il direttore italo-inglese è stato direttore musicale dell’Accademia.
Un successo che è senza dubbio un biglietto da visita importante per la tournée alla quale parteciperà l’Orchestra di Santa Cecilia presso gli esigenti pubblici di Austria (Vienna) e Germania (Essen, Baden Baden e Francoforte) con una serie di concerti nei quali saranno proposti programmi di diversa struttura, tra i quali anche quello ascoltato in queste sere all’Auditorium Parco della Musica.
Claudio LISTANTI Roma 5 Novembre 2023