di Paolo Erasmo MANGIANTE
In genere gli stucchi fiorentini ricavati da opere marmoree conosciute non suscitano grande interesse critico poiché l’attenzione normalmente si riversa piuttosto sul sottofondo scultoreo dell’opera originale, mentre l’ interesse maggiore degli stucchi eventulmente si sposta sulla loro componente pittorica.
E’ ciò che accade anche per questo pregevole stucco di collezione privata (fig.1), in cui si riconosce la matrice marmorea nella Madonna con Bambino e Angeli ovvero la Madonna del Carmine di Agostino di Duccio, ora collocata all’interno di un altarolo proveniente dalla chiesa fiorentina di Ognissanti, al Museo del Bargello (cm.86 x 68 ) senza dubbio una delle più eleganti e vivaci versioni del motivo rinascimentale della Madonna con Bambino arricchita com’è da un impareggiabile coro festante di Angeli che le fluttuano tutt’attorno in un ritmo concitato degno dei giovanetti danzanti della Cantoria di Donatello.(fig.2)
Questo bassorilievo policromato infatti, per essere di precoce tiratura e di perfetta conservazione così da ripetere integralmente i rilievi del leggiadro ondulare delle capigliature e il leggero panneggio dell’originale in marmo, sorprende e incuriosisce ancor più per la sua straordinaria policromia la cui raffinatissima intonazione cromatica a pastello richiama assai da vicino le opere contemporanee di Piero della Francesca.
La collaborazione fra scultori e pittori anche di fama per ricoprire sculture lignee, di terracotta o di stucco con adeguate policromie era un’usanza assodata e documentata. Desiderio da Settignano e Antonio Rossellino ad esempio non disdegnavano di richiedere l’opera di Neri di Bicci, il quale nella sua bottega fiorentina, oltre alle sue personali opere pittoriche, in verità a volte piuttosto deboli, si dedicava a colorare opere scultoree in legno, in terracotta o in stucco con vera abnegazione tanto da farne quasi una seconda professione di cui teneva conto dettagliato in un suo taccuino “Le Ricordanze”. Dalla lettura di quest’ultimo ci si può rendere conto quanto fosse intimo in questi casi il rapporto fra il pittore e lo scultore, in quanto erano gli scultori, ancor che grandi, come Rossellino, Benedetto da Maiano e Desiderio da Settignano a convogliare i loro manufatti lignei o in altre materie nella bottega di Neri di Bicci perché li colorasse secondo le loro direttive, che però non potevano staccarsi granchè dallo stile personale del pittore così che specie nelle opere a bassorilievo l’intima essenza dei volumi e dei rilievi quasi si perdeva.
Occorre tuttavia rilevare che in certi casi l’intervento pittorico pesava assai sul costo della scultura policromata, tanto che non di rado l’opera del pittore veniva valutata più di quella dello scultore. Criterio questo che oggi forse farebbe arricciare il naso a certi critici “puristi”, ma che allora seguiva un gusto un po’ arcaico, ancora assai radicato, e comunque assai appropriato e pregevole quando a dipingere le statue ad esempio di Benedetto de Maiano il pittore era un Cosimo Rosselli o un Lorenzo di Credi, se non addirittura Filippino Lippi. Spesso poi i migliori fra gli scultori come Brunelleschi, Donatello, il Verrocchio e il Vecchietta le proprie opere le dipingevano loro stessi.
Secondo le prime indicazioni del Museo del Bargello la suddetta Madonna col Bambino e Angeli sarebbe stata eseguita da Agostino di Duccio nel suo periodo fiorentino posteriore al soggiorno a Perugia vale a dire dopo il 1463, ma più giustamente la Brunetti (1964) la colloca nel periodo fiorentino facendo subito seguito all’esperienza riminese del Tempio Malatestiano terminata nel 1454. La datazione della Brunetti,ora accettata anche dal Museo, potrebbe illuminare e giustificare la policromia di questo stucco che risulta identica a quella degli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo (1452-59).
La tangenza fra i due artisti non fu casuale, visto che, come si è accennato, Piero della Francesca, stese il mirabile affresco dell’Adorazione di Sigismondo Pandolfo Malatesta a San Sigismondo nel Tempio malatestiano nel 1451-2 , gli stessi anni in cui anche Agostino di Duccio vi lavorava ad una estesa ornamentazione scultorea.
Ma poiché i due artisti erano di temperamento pressochè opposto, tanto che, ad esaminare bene le loro opere, ci si rende conto che la pittura di Piero della Francesca, esprimendosi in corpi solidi e geometrici, appare sostanzialmente scultorea, mentre al contrario nella scultura e ancor più nei bassorilievi di Agostino di Duccio prevale una linea spesso elegantemente vorticosa, rapita alle menadi di opere ellenisiche da cui forse ha preso il via (figg. 3 e 4 a ,b), così da assumere aspetti pittorici, viene da chiedersi sino a che punto può intendersi e giustificarsi, se non una collaborazione, una tangenza fra Agostino di Duccio e Piero della Francesca. La risposta è che spesso gli opposti si attraggono, specie quando sussiste una stima reciproca.
Lavocazione pittorica di Agostino si manifesta già scopertamente del Tempio Malatestiano, oltre che nella prevalente adozione del bassorilievo e dello stacciato e nei modi lineari delle sue sculture, coll’ aver voluto colorare i fondali degli Angeli musicanti della Cappella di Isotta e i fondi paesaggistici dei segni zodiacali scolpiti nella Capella dello Zodiaco(figg. 5 , 6)
Essi potrebbero essere stati colorati da lui stesso, forse, perché no?, aiutato dalle maestranze al seguito di Piero della Francesca,frutto quindi di un’interazione fra i due artisti, che lavoravano praticamente gomito a gomito.
Fig.6. Agostino di Duccio Diana, Marte , Vergine. Rimini, Tempio Malatestiano, Cappella dello Zodiaco.
Anche perché sulla Cappella dello Zodiaco e sugli altri bassorilievi che Agostino stava approntando per la decorazione del Tempio malatestiano ed in particolare sul tondo in rilievo del profilo di Sigismondo Pandolfo Malatesta, magistralmente eseguito da Agostino sul coperchio dell’arca degli Antenati malatestiani, (fig. 8) Piero della Francesca deve aver data più di una semplice occhiata per acquisire a fondo i lineamenti del giovane condottiero da tracciare nel succitato affresco del Tempio Pandolfo Sigismondo Malatesta adorante San Sigismondo (fig.7)
e sulla tavola del suo profilo ora al Louvre, forse preparatoria dell’affresco stesso. (figg. ,8, 9, 10).
Agostino di Duccio poi tornando a Firenze nel 1454 passò certamente col suo seguito da Arezzo dove Piero lavorava dal 1452 agli affreschi del Miracolo della Vera Croce nella chiesa di San Francesco, un tracciato quasi obbligatorio per aggiornarsi su quanto il suo amico e collega stava elaborando .
La visione di quegli affreschi furono una vera rivelazione per Agostino tanto da trarne spunti particolari per la sua futura opera,come l’allegra esplosione di gioia di un Angelo (figg.11,12) e la severa impostazione del viso della Madonna (figg.13,14). .
Ma soprattutto, l’esperienza del mondo cromatico di Piero lo indusse qualche tempo dopo ad utilizzare quella policromia come la più consona a non deprimere, ma piuttosto ad esaltare i rilievi nella versione a stucco della sua Madonna del Carmine (figg. 14, 15, 16).
Una pellicola pittorica tenue e leggera quindi, come quella che Piero aveva scelto per delineare i volumi delle sue figure, che Agostino scelse per non nascondere il rilievo sottostante e mantenere integro il suo messaggio plastico.
Così,grazie alla felice adozione della delicata policromia a pastello degli affreschi pierfrancescani di Arezzo, i bei rossi, gli azzurri tenui e turchini e gli incredibili rosa violacei delle vesti della Regina di Saba e delle sue ancelle rivivono intatti nelle vesti della Madonna e degli Angeli dello stucco di Agostino di Duccio.
Altri esempi di stucchi derivati dalla Madonna del Carmine di cui si ha notizia eseguiti tardivamente non conservano la spontanea invenzione del primitivo rilievo, appesantito da inutili nimbi devozionali, nè posseggono più la tenera policromia iniziale dell’opera presa in esame, desunta dagli affreschi stesi da Piero della Francesca ad Arezzo nella chiesa di San Francesco (fig.17).
Fig.17 Stucco derivato dalla Madonna del Carmine (1500?) Collezione privata
Ciò vale anche per lo stucco del Museo del Bargello (fig.18) desunto tardivamente da un originale di un’altra bellissima Madonna di Agostino di Duccio,la Madonna d’Auvellers (fig.19) coeva della Madonna del Carmine, il quale non si mantiene affatto fedele all’ impianto plastico del marmo originale di Agostino di Duccio e rimane distante anche alle delicate cromie degli affreschi pierfrancescani.
Tutto ciò conferma che l’esemplare qui esaminato appartenga alle primissime repliche a stucco derivati dalla Madonna del Carmine curate dallo
stesso Agostino, se non la prima in assoluto (fig.1), per la quale,se non si vuole pensare ad un intervento diretto del grande pittore di Borgo Sansepolcro o l’utilizzo dei suoi collaboratori, si può ipotizzare che sia stato Agostino stesso ad averlo dipinto con le tonalità di Piero,il che non sminuisce il valore del risultato ottenuto: una vera e mirabile sintesi di forma e colore, non una semplice Scultura dipinta, ma piuttosto, per usare una terminologia del Gentilini (2012), una strepitosa Pittura in rilievo.
Il gusto per le tenui tinte a pastello che aveva assimilato dagli affreschi aretini di Piero della Francesca perdurerà e accompagnerà Agostino di Duccio anche più tardi a Perugia nelle opere maggiori come nella facciata di San Bernardino dove il fondo colorato, come in certe opere dei Della Robbia, esalta il nitore della scultura in un connubio di rilievi e colore che rimane unico nel Rinascimento italiano (fig.20)
A conclusione di queste divagazioni se si volesse racchiudere in una sintetica formula l’arte di Agostino di Duccio si può dire che egli abbia associato al ritmo donatelliano l’eleganza della linea dei panneggi ellenistici soprapponendo in questa specifica opera la leggera e trasparente tavolozza di Piero.
Paolo Erasmo MANGIANTE Genova 13 Novembre 2023
BIBLIOGRAFIA.