di Marco FIORAMANTI
Ilaria Giovinazzo
La religione della bellezza
Giovinazzo, o del dolore alchemico
Ferita è la benda e non la piaga (da C.B.)
Nuvole (l’Alto), Ombre (il Basso) e Luce (il Tao) sono i tre parametri che ripartiscono i versi di questa silloge – ultima in ordine di tempo – della poetessa romana Ilaria Giovinazzo.
Ilaria trasmette una propria visione intimistica della realtà attraverso frammenti di diario che vibrano nel cuore e nel respiro di chi legge. Ilaria è donna che danza in stato di coscienza, è femmina alata in sobria ebrietas barthesiana. Capace di ricreare il visibile, di riprodurre immagini ma, al di sopra di tutto, reclama un’esistenza. Entra nell’abisso a gamba tesa, lasciandosi trascinare via, come uno straccio vecchio, vede spegnersi perfino le stelle e il nero del cielo le impedisce qualunque squarcio a un velo luminoso.
Studiosa di antropologia e religioni comparate, introietta la vita come pratica, resta in ascolto, ogni sfida è una messa alla prova. Muta, la ragazza soffre, s’impone di fare ordine nella fatica del vivere in frammenti, finché scopre l’atto dell’offrirsi, foss’anche un piatto di minestra per i figli, scopre spiragli improvvisi che le permettono di riconoscere il proprio viso nello stagno. È lì che ritrova il senso del bello, identità che le diventa sacro, preghiera, canto. E “fiori di pesco tornano a galleggiare sul torrente”.
Marco FIORAMANTI Roma 19 Novembre 2023