di Andrea DONATI
SENATO DELLA REPUBBLICA ITALIANA
BIBLIOTECA DEL SENATO
SALA CAPITOLARE DEL CONVENTO DI S. MARIA SOPRA MINERVA Piazza della Minerva 28
Lunedì 4 dicembre 2023, ore 18.00
Su iniziativa del Sen. Maurizio Gasparri
vengono presentati i volumi:
Andrea Donati
Vittoria Colonna e l’eredità degli ‘spirituali’
Michelangelo e Vittoria Colonna
a cura di Veronica Copello e Andrea Donati
RELATORI
Prof. Vittorio Sgarbi – Sottosegretario di Stato alla Cultura
Prof. Francesco Buranelli – Presidente Commissione Tutela Monumenti Santa Sede
“Un uomo in una donna, anzi uno dio / per la suo bocca parla”
Vittoria Colonna e la sfida di una donna al tempo di Michelangelo
Chi fu realmente Vittoria Colonna, e che ideale di donna rappresentò al suo tempo? La futura marchesa di Pescara nacque a Marino, sui Colli Albani, nella primavera del 1492, da Fabrizio Colonna del ramo di Paliano e Agnese da Montefeltro. Il padre discendeva da una delle più antiche famiglie nobili romane ed era uno dei più valorosi capitani d’Italia. La madre era figlia del duca di Urbino, che era stato capitano generale della Chiesa sotto Sisto IV della Rovere. A pochi mesi dalla nascita di Vittoria Colonna fu eletto al soglio pontificio lo spagnolo Alessandro VI, uno dei papi più discussi del Rinascimento. Sul piano politico papa Borgia accelerò l’ingerenza straniera in Italia provocando una drastica polarizzazione delle repubbliche e dei principati, schierati a favore o contro la Spagna, e sul piano religioso spinse a maturazione la protesta contro gli abusi del clero che sfociò nella Riforma protestante di Martin Lutero e nella Controriforma della Chiesa di Roma. Politica e religione, sono questi i due grandi temi che fanno da sfondo alla vita di Vittoria Colonna, passata alla storia come poetessa amica di Pietro Bembo e come musa di Michelangelo Buonarroti, ma distintasi in realtà soprattutto per il suo attivismo politico e religioso.
Da bambina, “non avendo ancora tre anni”, fu promessa sposa a Ferdinando Francesco d’Avalos, detto Ferrante, che era “quasi d’una medesima età con lei”. Gli Avalos erano originari della Castiglia. Il matrimonio servì a siglare un accordo politico e fece passare il padre di Vittoria Colonna dal partito francese di Luigi XII a quello spagnolo di Ferrante II d’Aragona, che nel 1501 lo creò luogotenente generale del Regno di Napoli. Il marchese di Pescara invece era rimasto orfano da bambino e per questo allevato dalla zia paterna Costanza d’Avalos nel castello dell’isola d’Ischia, uno dei luoghi favoriti della corte di Napoli. Presto però Ferrante d’Avalos passò sotto la tutela del futuro suocero Fabrizio Colonna, che lo avviò alla carriera militare. Così, mentre Vittoria veniva educata come una principessa sotto la vigilanza della madre nel castello di Marino, a Napoli Ferrante imparava a cavalcare, a tirare di spada e a comandare i soldati, preparandosi a diventare uno dei capitani più valorosi del Cinquecento.
Negli anni del matrimonio la marchesa di Pescara rifulgeva per intelligenza e splendore. La “fama delle immortali e divine sue bellezze” (da intendere solo in senso metaforico e letterario) si diffuse precocemente. I poeti cortigiani seguivano le regole convenzionali dell’amor cortese e si rifacevano al mito della bellezza di Laura cantata da Petrarca, inneggiando a virtù e caratteri ideali che non avevano nulla a che fare con la vera personalità e la reale fisionomia di Vittoria Colonna.
Il matrimonio fu infelice. Lo dichiara lei stessa nelle rime: “Sterili i corpi fur, l’alme feconde”. Il 1525 fu l’anno “fatale” di Vittoria. Dovette affrontare una prova durissima che cambiò il destino della sua vita. Il 24 febbraio Ferrante d’Avalos vinse la battaglia di Pavia, la più memorabile del secolo, perché in un solo giorno furono fatti prigionieri il re di Francia e tutti i capitani nemici; ma poi il 3 dicembre morì a Milano, dopo atroci sofferenze, per una setticemia dovuta alla cattiva medicazione delle ferite.
Rimasta vedova, la marchesa di Pescara voleva farsi monaca, ma dovette accontentarsi di vivere ritirata in casa, come in un convento. Dopo dieci anni di vedovanza nel regno di Napoli, avendo ottemperato alle clausole del testamento del marito, poté riscattare la dote e affrontare un nuovo capitolo della sua vita. A 43 anni si ritrovava vedova e ricca. Non aveva più obblighi mondani, non più una corte feudale. Poteva scegliere di vivere liberamente e frequentare chi voleva. Ma nel suo cuore c’era un solo desiderio, quello di salvare la propria anima imitando la vita di Cristo. Nel 1535 tornò a Roma per vivere nel convento di San Silvestro in Capite. In quel tempo si interessò direttamente alle questioni ecclesiastiche. Il nuovo papa, Paolo III Farnese, aveva suscitato grandi speranze nei Romani. I fedeli domandavano un cambio di rotta nella Chiesa. Tutti discutevano della necessità di una riforma. La marchesa di Pescara visse intensamente gli anni che portarono all’apertura del Concilio di Trento che avrebbe cambiato il corso della storia religiosa europea. Negli anni romani Vittoria Colonna divenne amica non solo di Pietro Bembo, ma anche del cardinale Gasparo Contarini, che aveva fama di diventare il futuro papa “Angelico”, e del cardinale Reginald Pole. Da allora la sua vita si legò indissolubilmente a quella del giovane e nobile cardinale d’Inghilterra, da lei amato e protetto come un figlio.
Non si sa quando Vittoria Colonna incontrò per la prima volta Michelangelo, ma è certo che strinse con lui una vera amicizia (“in christiano nodo”, come lei stessa gli scrisse il 20 luglio 1545) solamente dopo che il papa aveva mosso i primi passi nella direzione del Concilio. Una volta ricevuto l’incarico di dipingere il Giudizio universale (1535) Michelangelo aveva un motivo quotidiano per interessarsi al dibattito religioso sulla riforma. La sua coscienza di uomo e di artista non poteva rimanere indifferente alle speranze e alle delusioni suscitate da una serie di avvenimenti che preludono alla prima, nonché fallimentare, convocazione del Concilio nel 1542. È nel preciso momento in cui la Chiesa cattolica sembrava avviata alla riforma e al dialogo con i protestanti, che Michelangelo riconobbe nella marchesa di Pescara la voce di Dio: “Un uomo in una donna, anzi uno dio / per la suo bocca parla” (Michelangelo, Rime: Vat. Lat. 3211, f. LXVIIIr). Per l’avvio della sua amicizia con Michelangelo furono decisivi gli incontri in San Silvestro al Quirinale, che si svolsero nei primi mesi del 1539. In quel chiostro, come racconta un testimone diretto, il portoghese Francisco de Hollanda, il frate domenicano Ambrogio Catarino teneva gli esercizi spirituali in preparazione della Pasqua.
In seguito, trasferitasi a Viterbo, presso la corte del cardinale Pole, nell’estate del 1542 la marchesa di Pescara ebbe tra le mani il Beneficio di Cristo, un opuscolo scritto dal monaco Benedetto Fontanini da Mantova, ma lo lesse nella redazione riveduta e integrata da Marcantonio Flaminio, che era la guida intellettuale del cardinale Pole e della sua cerchia di ‘spirituali’. Subito dopo la morte di Valdés, che più tardi sarebbe stato considerato un eresiarca, l’attività esegetica di Flaminio diede corpo alla cosiddetta “Chiesa di Viterbo” o circolo degli “spirituali”. Durante il soggiorno a Viterbo nel 1542, Flaminio aveva lavorato intensamente a una serie di commenti alla lettera di san Paolo ai Romani, e ai vangeli di Matteo e Giovanni. Vittoria Colonna fu parte attiva di quella febbrile attività esegetica, catechistica, editoriale. Il pensiero di Flaminio prospettava misericordia e perdono a chiunque avesse fede nel sacrificio di Cristo in croce. In quel tempo la marchesa di Pescara maturò l’idea di coinvolgere Michelangelo nella creazione di nuove immagini cristologiche capaci di interpretare lo spirito evangelico predicato da Flaminio. Così dalla primavera del 1543 all’estate del 1545 ispirò a Michelangelo la creazione del Crocifisso, della Pietà, della Samaritana al pozzo e di altri soggetti cristologici. I disegni di Michelangelo furono tradotti in pittura dal giovane Marcello Venusti sotto la diretta sorveglianza del maestro. In seguito quelle immagini diedero origine a una moltitudine di copie e varianti, diffuse per tutta Italia e per tutta Europa.
La dottrina di Flaminio era frutto di un pensiero eclettico e aristocratico, fortemente critico nei confronti di ogni formalismo e dogmatismo. Tuttavia il dissenso religioso di Flaminio, rispetto alle posizioni più rigoriste e ortodosse di altri personaggi del cosiddetto “evangelismo italiano”, non giunse mai alla rottura e all’abbandono del campo cattolico per rispetto della linea politica del cardinale d’Inghilterra, che, come la marchesa di Pescara, rimase fedele a oltranza all’unità dei cristiani in seno alla Chiesa di Roma. Più tardi il destino avrebbe messo tragicamente alla prova Reginald Pole, allorquando fu chiamato da sua cugina, la regina Maria Tudor, a governare con lei l’Inghilterra, le sue idee moderate s’infransero davanti alla Realpolitik che portò alla persecuzione dei protestanti e a un bagno di sangue.
Le poesie spirituali di Vittoria Colonna e le immagini cristologiche di Michelangelo formano insieme uno straordinario discorso di fede, lirico e visivo, condiviso e promosso dal cardinale Pole all’interno della sua cerchia. Tale promozione artistica è un’ulteriore prova dell’attivismo religioso della marchesa di Pescara, che caratterizza in modo saliente e sempre più esclusivo il suo percorso di vita da vedova. La marchesa di Pescara coltivò nella sua vita molte ambizioni nel campo della poesia, dell’arte, della religione, della politica. Negli anni della vedovanza aveva messo a frutto un’ingentissima somma di danaro nella Zecca di Venezia, che allora dava ottimi rendimenti e con quei soldi faceva con assoluta discrezione una quantità incalcolabile di beneficenza, foraggiando preti, frati, suore, giovani orfane e poveri bisognosi. Il suo agente finanziario era Donato Rullo, che lavorava con il banchiere veneziano Antonio Priuli. Quest’ultimo era il fratello maggiore di Alvise Priuli, l’amico più intimo di Reginald Pole. Donato Rullo operava per conto del cardinale d’Inghilterra e di altri esponenti dell’evangelismo italiano, tra cui Pietro Carnesecchi e Giulia Gonzaga che, a differenza di Vittoria Colonna, avevano conosciuto personalmente il futuro eresiarca Juan Valdés.
La marchesa di Pescara ebbe schiere di ammiratori, molti dei quali la conoscevano solo di fama; ma chi aveva gustato la sua compagnia, sempre la ricercava con diletto. Nessuno sfuggì al mito che si era costruita di donna piena di giudizio, rettitudine, devozione, compassione. Nella “divina” marchesa di Pescara a un certo punto si vedevano albergare insieme le virtù cardinali di prudenza, fortezza, temperanza, e quelle teologali di fede, speranza, carità; ma c’era anche chi, come Pietro Aretino, vedeva in lei con ripugnanza, sarcasmo, sospetto, i semi della cospirazione, del fanatismo, dell’eresia.
Vittoria Colonna lottò tutta la vita in nome della famiglia e dell’unità della Chiesa e dell’Impero, due ideali portanti del Rinascimento. La sua eredità materiale e spirituale è tuttora viva e feconda.
Andrea DONATI Roma 26 Novembre 2023