redazione
La mostra getta una luce significativa sulla produzione recente dell’artista romana.
La tecnica tendenzialmente mista dei suoi lavori privilegia senz’altro il collage, caratterizzandosi per la relazione intima con la carta e, soprattutto, con i tessuti – retaggio dei lunghi anni trascorsi in Oriente – non aderendo però a un genere definito, né a un tipo di materiale prevalente.
E’ in questo essere border-line fra le tecniche, sostando volentieri in una terra di confine, che la ricerca formale e spirituale di Livia Liverani trova la sua zona d’elezione.
Precisamente equidistante fra il graphic design dei suoi esordi e la maestria dei dipinti su seta appresa nel corso dei suoi lunghi soggiorni in Asia, il progetto LUMILAR è una raccolta di opere modulari simili per affinità, da intendersi come un fermo immagine di un percorso artistico che parrebbe in continuo, fecondo divenire.
LUMILAR è l’ipnotica partitura composta da un’ipersensibile musicista nell’animo; sarebbe tuttavia troppo facile tirare in ballo la musica solo per sfruttarne l’efficacia evocativa dei termini… Eppure, l’arte di Livia Liverani suona armonica, vibrante, densa di sfumature, profonda di accenti di gong abilmente spostati, mai banalmente centrati, ma risonanti comunque da qui – da un cuore palpitante sotto al cielo romano – sino a orizzonti lontani, quanto altrettanto intimi e familiari.
Echi continui di silenzi crepuscolari, increspati di sete cangianti e di un’assonante sete di luce. Invocazioni improvvise attutite da sordine di stoffa, senza mai “étouffer” un forte anelito di libertà.
Lento ricercare, quello di Livia Liverani: ricercare il filo contemplativo dei pastori erranti dell’Asia.
Livia Mazzanti
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