di Michele FRAZZI
Come leggere Caravaggio (VII)
Un intermezzo: I primi dipinti a carattere religioso
Seguendo il Mancini durante la permanenza nella casa di Fantino Petrignani il Caravaggio dipinse tre quadri a carattere religioso: un san Giovanni Evangelista che entrò a far parte della sua collezione, ed ora è disperso, il Pentimento della Maddalena e la Fuga in Egitto che invece ora sono conservati alla Galleria Doria di Roma. Secondo le ricerche di Lothar Sickel ed Andrea de Marchi entrambi furono acquistati da Girolamo Vittrice ( 84 ) per poi passare alla morte di questo nelle proprietà del figlio Alessandro, successivamente furono quindi ceduti ai Doria Pamphilj. Anche il quarto quadro realizzato in casa del Petrignani: la Buona Ventura fu comperato dai Vittrice, che quindi acquistarono la produzione del Caravaggio di questo periodo, che coincide anche con il momento di massimo avvicinamento di Prospero Orsi con il Merisi, è molto probabile quindi che l’intermediario per la vendita sia stato proprio l’Orsi dato che sua sorella Orinzia aveva sposato Girolamo Vittrice.
Sia Girolamo che Alessandro ricoprivano cariche importanti all’interno della curia ed è quindi possibile che i primi suoi dipinti a carattere religioso siano il frutto di una loro commissione, come avvenne anche nel caso della successiva Deposizione Vaticana. Per quanto riguarda la Fuga in Egitto si tratta di un dipinto che può essere compreso all’interno del gruppo di opere a carattere musicale dato che al suo interno troviamo lo spartito della musica suonata dall’angelo, dunque inizieremo la analisi di questo piccolo gruppo da quest’ opera che fa da cerniera con gli altri appena analizzati.
Il riposo durante la fuga in Egitto
Non sappiamo esattamente quale componente della famiglia acquistò la Maddalena e la Fuga in Egitto, ma sappiamo con certezza che Girolamo Vittrice fu il primo proprietario della Buona Ventura e cioè dell’altro quadro realizzato in casa di Fantino Petrignani assieme a questi: considerando poi che fu ancora Girolamo a commissionare al Caravaggio la Deposizione nel sepolcro è davvero molto probabile che anche questi due siano acquistati da lui.
Come ci riferisce il Celio l’opera è stata realizzata dopo l’esperienza nella bottega dell’ Arpino quando il pittore si era trasferito in casa del Petrignani, cioè dopo l’aprile del 1697. In quest’opera ( 135×166 cm.) (Fig.27) traspare con evidenza il fresco ricordo dei modelli visivi che circolavano nella bottega del Cesari, la composizione infatti è particolarmente vicina ad un disegno dell’ Arpino (priva dell’angelo Fig. 28) conservato al British Museum che viene datato da Bolzoni agli anni ’90 (85), lo stesso tema verrà poi sviluppato successivamante anche da Bernardino Cesari in un dipinto databile al 1605 (86 ).
Le analogie compositive sono evidenti, il Caravaggio però aggiunge alla composizione dell’Arpino la figura dell’angelo di spalle che suona il violino, che dal punto di vista della organizzazione del dipinto ha la funzione di dividerlo in due parti uguali e quasi simmetriche, assumendo così un ruolo fondamentale, è il centro dell’opera, svolge la funzione di punto di equilibrio. Sono state fatte diverse ipotesi sul modello di derivazione di questa elegante figura, in particolare è stato preso in considerazione una immagine raffigurante il vento dell’est che fa parte di un affresco del Pomarancio ( 87) o più frequentemente la figura della Voluttà dipinta da Annibale Carracci nell’ Ercole al bivio.
Mi sembra però opportuno invece suggerire come suo modello, l’esempio di un affresco eseguito da Tommaso Laureti ( Fig.29) tra il 1586 e il 1594 nel palazzo dei Conservatori sul Campidoglio.
La figura dell’efebo dai capelli biondi, con il viso rivolto a sinistra e la vesta bianca con una piega che volando nel vento lo copre appena sotto il fondoschiena, dotato di un corpo flessuoso e fluenti capelli biondi mi sembra più simile all’ angelo del Caravaggio rispetto agli esempi appena citati. Il rapporto appena individuato vale anche per quanto riguarda la muscolosa donna dipinta da Annibale nell’Ercole al bivio ( Fig.30) tra la virtù e la felicità che deriva dal vizio, anch’essa è iconograficamente del tutto simile alla figura del Laureti che la precede temporalmente e dunque con tutta probabilità anche Annibale deve aver ripreso il modello di Laureti.
Di fianco alla donna dipinta da Annibale che rappresenta il piacere e la felicità che deriva dal vizio, troviamo alcuni oggetti: degli strumenti musicali, dei fiori, due maschere che potrebbero rappresentare il teatro ma anche l’inganno, ed un mazzo di carte (che incontreremo fra poco) insomma tutti quei simboli che abbiamo già descritto come simboli degli allettamenti del piacere all’interno della pittura del Caravaggio.
La derivazione dell’angelo dalla figura del Laureti ripropone il tema della attività del Caravaggio all’interno della bottega dell’Arpino che dovette situarsi presumibilmente nel ’96-97, cioè negli anni in cui il Cesari lavorava agli affreschi del Campidoglio ed in particolare a quello di Tullo Ostilio contro Veienti e Fidenati ( 88 ). I suoi primi modelli pittorici risalgono al 1596, questi furono subito seguiti dalla realizzazione dell’affresco che fu terminata nel 1601, questo momento potrebbe dunque essere stata anche l’occasione per il giovane Caravaggio di vedere la figura del Laureti. Vale la pena a questo punto fare un inciso per introdurre l’analisi di un ulteriore dipinto realizzato successivamente dal Caravaggio e cioè la prima versione del Martirio di San Matteo (circa 1599) ( Fig.31) infatti quello che si vede nella radiografia ha anch’esso una connessione con l’affresco del Laureti.
Anche qui si può vedere che la figura centrale come nel caso della Fuga in Egitto riprende l’idea dell’affresco, inoltre possiamo ulteriormente notare che lo sgherro di sinistra con l’elmo pare essere stata suggerita da uno dei soldati affrescati da Arpino nella battaglia di Tullio Ostilio ( Fig.32) in Campidoglio, probabilmente ripreso dallo stesso Arpino da un affresco di Polidoro da Caravaggio.
La figura dell’angelo che nella radiografia è disposta sulla destra deriva invece da una immagine classica romana quella della vittoria alata, qui translitterata in un angelo, come tradizionalmente avvenne in molti altri casi. Alla dea romana della vittoria era dedicato un tempio sul Palatino, che venne distrutto nel IV sec. d.c., la sua iconografia sopravvisse comunque in molte riproduzioni e soprattutto nelle numerose monete che riportavano al retro questa immagine che qui vediamo in figura (Fig.33), una di queste probabilmente è servita come esempio per Caravaggio, l’iconografia della vittoria tra l’altro era perfettamente conosciuta e diffusa all’epoca come dimostra questa coeva moneta battuta nelle Fiandre nel 1605 ( Fig.34).
La vittoria alata tiene tradizionalmente in mano una palma come appunto farà anche l’angelo posato sulle nubi nella versione finale del dipinto Contarelli, nel caso della prima versione caravaggesca invece tiene in mano un libro, si tratta probabilmente del Vangelo di san Matteo, mentre con l’altra indica il cielo. L’utilizzo della immagine della vittoria con la palma e la corona per un angelo è scritturale, infatti deriva dalle lettere di San Paolo:
Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione.
(2 Timoteo 4,6-9) alla stessa iconografia si riferiscono anche Filippesi 3,14 e 1 Corinzi 9,24.
Al periodo dell’affresco appartiene anche un disegno dell’Arpino preparatorio per una scena relativa al Tullio Ostilio dove si vede un cavaliere in punto di morte su di un cavallo, il disegno del Cesari invece ritrae un uomo morente su di un letto (Fig.34). Il Cesari lo realizzò prendendo spunto da una incisione che rappresenta Giuditta ed Oloferne ( Fig.35), una stampa ùdi cui il Caravaggio si ricorderà quando dovrà realizzare lo stesso soggetto in un suo dipinto ( 88) .
Sappiamo che il Merisi veniva impiegato dal Cavaliere per dipingere soggetti che allora erano considerati di classe inferiore: i fiori e i frutti, le cornici degli affreschi gli affreschi dell’Arpino in Campidoglio sono molto ricchi di questi dettagli decorativi, assieme ad essi compaiono anche le decorazioni a grottesca a cui probabilmente deve aver lavorato Prospero Orsi, come avanzato da Rottgen nella sua monografia sull’Arpino. Riporto qui solo a titolo d’esempio un campione dei gustosi elementi decorativi che adornano il salone, si tratta di due serpi dalle scaglie vivide ( Fig.36), brillanti e la testa insanguinata, forse memori del disegno del Ligozzi ( Fig.37) che potrebbero essere stati di spunto anche per ispirare la Medusa caravaggesca, si tratta di particolari che fanno parte anch’essi dell’affresco di Tullo Ostilio .
Insomma la permanenza nella bottega dell’Arpino nel preciso periodo in cui il Caravaggio la frequentò lasciò una traccia importante sul Merisi, una traccia che è ancora ben distinguibile attraverso la testimonianza delle sue opere, del resto comunque il lombardo dichiarò sempre pubblicamente la sua ammirazione per l’opera del pittore.
La scena del Riposo durante la fuga in Egitto ha un tono fortemente elegiaco ed è di una dolcezza estrema, come in realtà lo sono tutti i primi dipinti del Caravaggio a Roma, le movenze lievi dell’angelo che suona il violino lo rendono molto più aggraziato dell’ esempio da cui è stato ripreso, così come l’abbandono e la tenerezza dell’abbraccio fra la Madonna ed il bambino restituiscono con con grande chiarezza l’attenzione del pittore ai sentimenti umani e soprattutto la sua capacità unica di tradurli in pittura, in questo particolare possiamo notare tutta la distanza che lo divide dal canonico e quasi stereotipato abbraccio che si trova invece nel disegno dell’Arpino.
Anche nella capacità di esprimere i sentimenti umani Caravaggio è veramente rivoluzionario, questa dote, unita alla forza del suo realismo visivo rende la sua arte inimitabile. Le delicate movenze dell’angelo e la musica soave del brano che sta suonando sciolgono in poesia l’elegiaca atmosfera che pervade il dipinto, fortunatamente si è riusciti anche a decifrare lo spartitito, si tratta di un brano del compositore fiammingo Noel Bauldewijn “Quam pulchra es”, la musica è stata composta sul testo del Cantico dei Cantici.
Quam pulchra es
Quam pulchra es et quam decora carissima in deliciis.
Statura tua adsimilata est palmae et ubera tua botris.
Caput tuum ut Carmelus, collum tuum sicut turris eburnea.
Veni dilecte mi egrediamur in agrum.
vinea si flores fructus parturiunt si floruerunt mala punica
ibi dabo tibi ubera mea”
Quanto sei bella e quanto sei graziosa, o amore, piena di delizie
La tua statura è come quella di una palma e i tuoi seni sembrano grappoli.
Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo, il tuo collo come una torre d’avorio. Vieni, mia amata, entriamo nel campo. Se la vite fiorisce, se i melograni portano frutto là io ti darò i miei seni
Il musicista angelico canta questi versi mentre suona il suo violino a tre corde, dato che una si è rotta, come simbolo della sua eccellenza musicale, inoltre come è indicato nella scheda della Galleria Doria-Pamphilij, e notato da diversi studiosi ( Argan, Cappelletti, Salvemini, Nicosi) le sue ali hanno una foggia particolare, si tratta delle ali di una rondine. Anche in questo caso la spiegazione del significato di questo simbolo viene dagli scritti di Anacreonte nei quali la rondine ricopre un ruolo importante.
Infatti il canto di questo uccello per lui ha una dolcezza simile a quella del miele ( 89 ), ed annuncia la luce del nuovo giorno e la primavera che viene (Pseudo-Anacreonte: Odi). Questo valore simbolico proviene specificamente dalla cultura greca, all’interno della quale la rondine svolge questo ruolo ben preciso, poche persone oggi affermerebbero di amare il dolce canto di una rondine, eppure nella Grecia antica questo era un topos molto solido, la rondine per la bellezza del suo canto era infatti assimilata all’usignolo e come lui era il nunzio dell’alba ed anche della primavera. Esiodo infatti scrive che la rondine “sorge alla luce fra gli uomini, all’inizio della primavera”, cioè svolge la stessa funzione ( nel suo caso spirituale) del Cristo fanciullo che vediamo nel dipinto, che è la luce che viene fra gli uomini ( 90 ). Le ali della rondine di cui è dotato l’angelo sono dunque il simbolo della dolcezza della sua musica ed annunciano anche il terzo simbolo del levarsi della luce che è presente nel dipinto: l’alba del giorno che viene, quella luce chiara di cui è permeata l’opera. L’aver dotato l’angelo delle ali di una rondine è senza dubbio una citazione poetica davvero molto colta ed è decisamente improbabile che derivi da una idea autonoma del Merisi, appare invece molto più verosimile che il suggerimento gli sia pervenutao attraverso un vero esperto di poesia greca come lo era Filippo Alberti. Egli fu uno dei maggiori conoscitori della poesia Anacreontica e conosceva benissimo il tema delle capacità canore della rondine, che egli elogia nella sua poesia Perchè io pianga al tuo canto rondinella importuna, contenuta nelle Piacevoli rime del Caporali del 1582.
Entrando ancora più nello specifico, fra le sue poesie ne esistono due dedicate ad Anacreonte che mettono in evidenza proprio la bellezza del canto della rondine, mostrando così che la conoscenza delle qualità canore della rondine gli provenivano proprio dallo studio del poeta greco. La prima è stata apertamente ed esclusivamente dedicata proprio a questo tema e si intitola La rondinella ad imitazione di Anacreonte, mentre la seconda invece è quella che abbiamo già visto dedicata alla cicala: La cicala ad immitazione di Annacreonte, dove oltre alla figura simbolica della rondine: La garrulletta, e vaga Rondinella /Tu sovra i verdi rami /Empi di gioia il Mondo, si fa riferimento anche alla leggenda relativa alla gara poetica e alla corda rotta e alla cicala:
O te sempre beata,/Cicala mia, che sovra un faggio, e un’orno/A si lieto soggiorno/Canti tua dolce libertade amata… Ben mi sovvien; vola benigna, e pia/ Anco a la çetra mia,/ E’l suo difetto co’l tuo canto adempi…. Grata a Parnaso,e cara/ A Febo fe: s’altri la cetra il dono/ Hebbe da Lui, tu il suono/Di voce havesti si canora, e chiara.
In questa poesia dell’Alberti dunque si ritrovano entrambi gli attributi di cui è dotato l’angelo nel dipinto di Caravaggio, sia la corda rotta che è simbolo dell’eccellenza nella esecuzione musicale, sia le ali della rondine che sono il simbolo della dolcezzza della melodia. Teniamo conto che all’epoca la conoscenza di Anacreonte non era largamente diffusa e che l’Alberti fu davvero uno dei poeti fondamentali per la riscoperta e la divulgazione della sua opera; Asor Rosa ritiene che questo fu il contributo più importante che l’Alberti diede al mondo della poesia ( 91).
Dunque fu probabilmente lui o qualcun altro dell’ambiente degli Insensati che diede al Caravaggio il suggerimento di questo simbolo così raro: le ali di rondine, un simbolo tratto dalla poetica di Anacreonte.
A questo punto appare evidente che l’ utilizzo di forme allegoriche così complesse e rare, sia il più perfetto testimone del legame che esiste tra la pittura giovanile del Caravaggio e l’ambiente degli Insensati. Il simbolismo della rondine che canta al sorgere del sole viene ripreso anche dal Ripa, però solo nella sua edizione dell’ Iconologia del 1603, cioè dopo l’esecuzione del dipinto, nel commento a questa immagine egli riporta proprio i brani poetici creati da Anacreonte e il poema dell’Alberti: Perchè io pianga al tuo canto rondinella importuna. Il Ripa inserisce il tema della rondine, nel Crepuscolo della mattina (l’ Alba) come simbolo dell’uccello che annuncia il levare del sole.
Alla trascrizione dei due passi poetici di Anacreonte e dell’ Alberti, il perugino aggiunge anche una ulteriore terza indicazione molto significativa, si tratta del canto XXIII° del Paradiso di Dante, (anche se poi per errore inserisce alcuni versi relativi al IX° canto del Purgatorio). Ad ogni modo il suo riferimento è corretto dato che il canto XXIII° inizia con la descrizione di un uccello che aspetta il levarsi del sole. Dante in questo passo allude proprio a questo aspetto tipico della rondine. Egli utilizza questa metafora spiegando che la luce di cui le anime stanno aspettando il levarsi è quella del Cristo che proprio come il sole fa crescere un bellissimo giardino sotto i suoi occhi, in esso la Vergine è la rosa più bella, egli la definisce come:”la rosa in che ‘l verbo divino / carne si fece” cioè il grembo che ha accolto l’incarnazione del Verbo. Poi nel racconto dantesco ad un tratto si vede scendere dal cielo una fiammella di luce che girandole attorno cinge Maria come se l’abbracciasse e da questa fiammella comincia ad uscire una melodia di una incomparabile dolcezza, che al confronto la più bella musica terrena risulterebbe rozza come un fulmine che quarcia le nubi:
”Qualunque melodia più dolce suona/qua giù e più a sé l’anima tira,/ parrebbe nube che squarciata tona,comparata al sonar di quella lira”,
e poi iniziò ad intonare un canto:
”«Io sono amore angelico, che giro/l’alta letizia che spira del ventre/che fu albergo del nostro disiro;/e girerommi, donna del ciel, mentre/che seguirai tuo figlio, e farai dia/più la spera suprema perché lì entre».
In altre parole io sono l’amore angelico (tradizionalmente identificato con Gabriele) e giro attorno alla bellissima gioia che emana il ventre in cui si incarnò l’oggetto del nostro desiderio. A quel punto anche le altre anime che erano lì attorno cominciarono ad intonare il :”Regina celi’ cantando sì dolce,/che mai da me non si partì ‘l diletto.”.
Probabilmente dunque non è un caso che l’angelo del dipinto suoni per Maria una musica di Bauldewijn che riporta integralmente un passo del Cantico dei cantici, che nel dipinto diventa una vera e propria dichiarazione d’amore platonico fatta da un angelo nei confronti del ventre di Maria.
L’inclusione nel testo del Ripa sia dei versi di Anacreonte che quelli dell’Alberti dichiarano ora apertamente e senza dubbio la fonte di un simbolo poetico così raffinato e speciale come quello della rondine, che deve per forza provenire dal circolo degli Insensati, l’utilizzo dei versi dell’Alberti sono una testimonianza proprio di questo, dunque a questo punto è molto probabile che il Ripa come anche il Caravaggio abbiamo tratto la conoscenza di questa allegoria così rara dalla stessa fonte e cioè da uno dei componenti della Accademia perugina.
Alla luce di tutti i riferimenti simbolici fin qui elencati il quadro del Caravaggio complessivamente andrebbe così interpretato: l’angelo suona un violino con la corda spezzata ed è dotato delle ali di una rondine che sono i simboli della eccellenza della sua esecuzione musicale e della dolcezza della musica, il simbolo della rondine inoltre ha anche la valenza di annunciare il levare del sole, che nel dipinto si vede sorgere sul lato sinistro, siamo nel momento dell’alba che non è solo fisica ma anche spirituale, infatti sta sorgendo finalmente la Luce del mondo: il Cristo bambino, egli è l’inizio del chiarore che spunta fra le tenebre ed è anche la primavera che segna la rinascita degli uomini dopo l’inverno della oscurità dell’anima.
Maria ed il Bambino, che raramente sono addormentati in scene di questo genere, sono ancora immersi nel sonno ristoratore della notte appena passata. L’angelo sta suonando una dolcissima melodia d’amore rivolta a Maria ed al suo ventre che ha generato il Salvatore che ancora tiene simbolicamente nel grembo col suo abbraccio. Ai piedi di Maria scorgiamo una pianta di cardo che è uno dei simboli principali della Madonna, a ricordo appunto della fuga in Egitto, una leggenda infatti vuole che Maria durante il viaggio si sia fermata in un campo di cardi per allattare il bambino, ed alcune gocce di latte siano cadute sulle foglie della pianta che da allora ha acquisito il suo aspetto maculato di bianco.
Il Marini notava anche delle foglie di alloro che spuntano sopra il violino, che potrebbero quindi anch’esse alludere alla perfezione apollinea della musica. Invece il tasso barbasso che sta un po’ più sotto è il simbolo della luce e quindi del Cristo la cui luce illumina il mondo, questa pianta infatti veniva usata per fare le candele e per questo motivo veniva chiamata candela regia, (92), la ritroviamo con identica funzione in un dipinto che ha lo stesso soggetto: la Fuga in Egitto del Correggio e soprattutto nel dipinto che più di tutti illustra la Luce che splende fra le tenebre e cioè la sua Notte, un incanto poetico conservato a Dresda, dove il tasso si trova in basso a destra. Alla fine il cardo ed il tasso non sono altro che uno specchio della coppia che li sovrasta: la Madonna ed il Bambino.
Nell’arte di Caravaggio il simbolo del tasso barbasso che qui fa la sua prima comparsa si ripeterà molte volte: nei dipinti che raffigurano Giovanni il Battista che è il precursore, cioè colui che come la rondine annuncia la luce che viene, lo troviamo sia nella versione capitolina che in quella Borghese che in quella di Kansas City. Questo simbolo compare poi ancora nella prima versione della Caduta di San Paolo (Odescalchi) proprio sotto il Cristo che in questo dipinto con la sua luce abbaglia Saulo, ed infine anche nella Deposizione, si trova sotto la pietra del sepolcro, dentro il quale la luce si inabisserà nell’attesa del ritorno del Cristo, vera Luce del mondo.
La Maddalena penitente-Allegoria dell’ Umiltà
Riguardo a questo dipinto ( 123×98 cm.) ( Fig.39) mi paiono ancora una volta calzanti i versi di un insensato: Filippo Massini, che furono pubblicati nelle sue Rime del 1609. Anche in questo caso non è possibile datare i componimenti con esattezza dato che il libro è un compendio che raccoglie poesie composte in un arco di tempo di più di 20 anni, Aurelio Orsi nei suoi Carminum del 1589 già allude al libro di poesie che il Massini stava stendendo (93 ).
Conversione di S. Maria Madalena
Colma d’ardir dolente, e di dolore / pietoso, e di pietà fervente, e calda, / con profonda humiltà, fondata e scalda, / nè la fè, ne la speme; e nel amore. / Mentre i piè, ch’inge, e bacia al suo Signore, / bagna co’l pianto, e co i sospiri scalda, / lava la bella Donna, arde, e risalda / e macchie, il gel, le piaghe al proprio core. / Raro di penitenza illustre essempio, / erge la speme, e china a terra il volto, / purga l’immondo, e la durezza spetra. / Del cor profano a Dio fa divin tempio, / e perdono, e pietate, amando molto, / al suo fallir di scusa indegno impetra.
Nel medesimo soggetto
La nobil peccatrice incolta, e vaga / co’l crin negletto e bello a l’aura sciolto / e di liguide perle ornato il volto, /di pietà, di salute ardente, e vaga. / Calda di nuovo ardor, di nuova piaga, / punta d’Amor, ch’ha dentro a l’alma accolta, / ‘aere, e la terra ( il guardo in se raccolto) / sospirando, e piangendo arde e allaga.
E speranza, e piacer, tema e dolore, / il viso, che la chioma aurea circonda, / tingon di vario e viè più bel colore / E mentre CHRISTO i piedi unge e inonda / Cangiando in Santo il suo profano amore, / sana e purga il cor egro, e l’alma immonda.
Trovo particolarmente elegante la maniera in cui il poeta allude alle lacrime velandole sotto l’aspetto di perle liquide, si tratta di un modello poetico che va sotto il nome di concettismo, che mira a suscitare lo stupore attraverso delle allegorie. Questa immagine si ripropone anche nel dipinto del Caravaggio dove la Maddalena ha il volto rigato dalle lacrime appunto le perle liquide ed in terra alla sua destra vi è un filo di perle che passa attraverso il liquido contenuto nella brocca, forse un richiamo allusivo proprio alle lacrime. La forma della brocca è probabilmente ripresa da un disegno del Figino ( Fig.40 ) e si tratta di un modello che il Caravaggio riproporrà molte volte.
Anche l’atteggiamento della Santa è coerente alla descrizione della poesia, i capelli sciolti, lo sguardo fisso a terra e raccolto, così come sono raccolte in sè anche le braccia, le lacrime le rigano il volto e l’atteggiamento è penitente. L’iconografia del dipinto potrebbe aver trovato ispirazione anche da un’ altro componimento sicuramente più antico dedicato sempre alla Conversione della Maddalena che fu creato da un altro insensato: Aurelio Orsi, ed incluso nei suoi Carminum del 1589:
AD D. MARIAM MAGDALEN.
Cur non est solitis decoratur purpura gemmis, / Nec micat in niveo pectore chrysolytus ? / Haec cinis sidercas imitantia lumina flāmas ? / Hec cinis puniceis aemula membra rosis ? / Illa madent fletu : livent hæc tunsa flagello . / Hic cruor, inde humor. manat utrinq ;dolor. / Nae tu docta Sapis: Christo vis pulchra videri. / Hæc poterat Species sola movere Deum
L’Orsi qui descrive una Maddalena affranta dal dolore che ha abbandonato i gioielli ed i profumi di cui era solita adornarsi, ora ha i capelli disciolti ed inzuppati dalle lacrime della conversione, come vediamo appunto nel dipinto.
Ricordiamo che Aurelio Orsi era parente dei collezionisti che acquistarono l’opera: i Vittrice, e dunque è del tutto verosimile che questo brano poetico abbia suggerito al Caravaggio la creazione di questa immagine. La postura abbandonata della donna è molto simile a quella della Madonna che tiene il bambino nella Fuga in Egitto da cui molto probabilmente deriva, ma in questo caso le sue braccia sono vuote, non stringono nulla, non vi è nessun frutto, la vanità alla fine dona solo il vuoto. I gioielli stanno a terra, i capelli sono discinti e spettinati, la bellezza non interessa più, vana è risultata alla fine la ricerca dei piaceri terreni.
Questo è il tema morale di fondo che il pittore riproporrà anche in un’altro suo dipinto avente per soggetto ancora la Maddalena e sua sorella Marta. Se in quel caso Caravaggio ritrae la Conversione proprio nel momento in cui stava avvenendo , qui invece è già avvenuta, la Vanità e la Superbia della cortigiana si è già del tutto trasformata in Umiltà, in attesa del momento in cui romperà anche il prezioso vaso di profumo per donarlo al Cristo, un fatto che fu ben intuito dal Bellori che descrive correttemente il vaso di cristallo presente nell’opera come un:”vasello d’unguenti”, questo atto diverrà anche il simbolo tangibile, il suggello della definitiva rottura e dell’abbandono della vita passata. L’iconografia del dipinto e l’organizzazione della scena è perfettamente congruente anche con l’immagine dell’Umiltà proposta dal Lomazzo nel suo Trattato:
“una donna melanconica che siede sopra uno sgabello è dimostrazione di melancolia e humiltà”( pag. 440).
Anche la seggiola su cui si accomoda non è stata scelta a caso infatti è piuttosto inusuale, la sua particolarità è che ha le gambe molto corte e la santa sembra quasi seduta a terra, si tratta di una caratteristica molto specifica: è una seggiola da penitenza, le gambe corte servono ad utilizzarla come inginocchiatoio. La raffigurazione molto rara di un oggetto così specifico, unito alla congruenza con la descrizione iconografica fatta dal Lomazzo spinge a riconoscere nel dipinto anche il significato della Allegoria dell’Umiltà.
Michele FRAZZI Parma 3 Dicembre 2023