Il mobile antico tra crisi e storia. Da ‘Status symbol’ a prodotto di nicchia. Una riflessione.

di Matteo BECCARI

Alcune riflessioni sull’antiquariato e sull’arredo domestico in Emilia nel Seicento.  

L’antiquariato sta attraversando da parecchi anni una crisi profonda, legata a motivazioni di carattere sia economico-sociale che culturale, e sembra non essere più uno status symbol, come veniva inteso nel passato, costituendosi invece come un prodotto di nicchia che, in quanto tale, viene apprezzato solo da un’esigua minoranza di intenditori. Se per lo status symbol, infatti, deve esserci necessariamente un’ampia legittimazione e condivisione culturale, questo non vale per il prodotto di nicchia, indirizzato invece ad un ristretto segmento di mercato e quindi non necessariamente conosciuto dalla maggioranza della comunità. Da questa prospettiva la crisi dell’antiquariato può essere letta anche come il passaggio dalla categoria di status symbol a quella di prodotto di nicchia.

Ciò premesso, è opportuno che la letteratura critica presti maggiore attenzione a questo settore, da sempre fortemente legato alla nostra tradizione storico-artistica, e con questo intento il presente contributo ripropone gli studi e le riflessioni svolte da Graziano Manni e da Luisa Bandera in merito agli arredi emiliani dal XVI al XIX secolo, con particolare riferimento a quelli del Seicento. Vengono poi presentati alcuni mobili inediti provenienti da una collezione privata emiliana, che di certo arricchiscono ulteriormente il catalogo di opere individuato nel corso degli anni da Manni. 

Come spiega Luisa Bandera nella sua introduzione a Mille mobili emiliani, lo studio dei mobili antichi parte necessariamente dall’analisi degli esemplari a noi pervenuti che erano destinati alle corti e ai palazzi patrizi. Anche se in molti casi non risulta possibile completare gli studi con dei riscontri documentali, appare comunque evidente la stretta relazione tra artigiani, architetti, e committenti, che condividevano idee e modelli decorativi influenzandosi vicendevolmente. Firenze, in particolar modo durante il Rinascimento, è il centro di produzione principale e più prestigioso di mobili, titolare di una tradizione di falegnameria pluricentenaria rappresentata dall’Arte dei Legnaioli. Questa corporazione sostanzialmente dettava i canoni per la realizzazione degli arredi lignei, i cosiddetti mobili “foggiati“. Nel corso del Cinquecento, tuttavia, ci si allontana sempre di più dalle rigide norme di costruzione degli arredi prescritte dai Legnaioli in favore di arredi più sfarzosi, detti “sfoggiati“, che rispondevano meglio alle richieste dei committenti più abbienti. Il mobile, quindi, da prodotto funzionale di uso quotidiano inizia invece a definirsi come un vero e proprio status symbol, costituendo sempre più un arredo di rappresentanza.

fig 1

Nel corso del Seicento le influenze stilistiche toscane si preservano, in parte, anche in Emilia-Romagna. La posizione geografia di quest’area, infatti, favorisce continui contatti con le civiltà confinanti. L’attuale Emilia-Romagna, inoltre, si caratterizzava per la presenza di situazioni politiche e culturali molto differenti tra loro, che influivano fortemente sul gusto degli arredi. A Parma e Piacenza, ad esempio, i Farnese ricercano arredi caratterizzati da una certa sfarzosità, più vicini ai modelli romani, così come la produzione Ferrarese, arricchita ed impreziosita dagli stilemi della vicina ebanisteria veneta.

Bologna, invece, sembra prediligere caratteri più sobri ed equilibrati, che ben si addicono ad una società con una forte componente borghese, lontana da esigenze fastose e di eccessive ostentazioni di lusso. Le influenze toscane rimangono comunque ben presenti anche nell’area bolognese, ma anche quando si attinge al repertorio della tradizione rinascimentale toscana, tale linguaggio viene mediato in una forma meno aulica. La credenza a doppio corpo mostrata in fig. 1 esprime pienamente quanto sopra scritto. Gli echi rinascimentali, infatti, sono ben visibili in alcuni elementi del mobile: il cappello dentellato, il fronte interamente pannellato e la doppia formella sui fianchi sono chiare derivazioni dai mobili cinquecenteschi.

fig 2

Anche nell’esemplare in fig. 2 ritroviamo il cappello dentellato e i dentelli tra i due corpi della credenza. Inoltre lo schema compositivo è ancora estremamente chiaro ed elegante, privo della bugnatura tipica di area bolognese, ma con cornici sul fronte. Il mobile è poi impreziosito dalle maniglie e dalle serrature dorate. Le caratteristiche costitutive e stilistiche di questo arredo inducono a riferirne la collocazione geografica nell’area romagnolo-marchigiana (Stato Pontificio) agli inizi del Seicento.

L’arredo emiliano coniuga poi eleganza a funzionalità, come si può vedere nella credenza madia in fig. 3.  Lo schema di questo mobile si presenta infatti con delle proporzioni molto equilibrate ed eleganti, e la presenza di un’alzata al posto dei più diffusi tre cassetti superiori consente di ricavare un ampio spazio tradizionalmente destinato ai viveri. Inoltre gli sportelli e le lesene sono pannellati e incorniciati in simmetria con le fiancate, le formelle poste sul fronte sono abbinate a quelle più rettangolari e orizzontali nella fascia superiore che fungono da finti cassetti, e la ricca cornice di base sul piede a mensola impreziosisce ulteriormente l’assetto compositivo dell’arredo.

fig 3

Si deve svolgere una riflessione anche in merito ai materiali impiegati per la realizzazione dei mobili in Emilia durante il XVII secolo. Per gli esemplari di maggior pregio veniva solitamente utilizzato il noce. L’utilizzo della radica di noce, ad esempio, permetteva il raggiungimento di effetti cromatici di grande effetto. In area bolognese, tuttavia, soprattutto nella prima metà del Seicento, la radica veniva utilizzata con parsimonia in quanto, come si è già detto, si preferiva un arredo più semplice e solido. Il cassettone in fig. 4 mostra una felice congiunzione tra i canoni tipici della produzione bolognese e l’utilizzo non eccessivamente invadente di radica di noce sul fronte.

fig 4

Ancora una volta la struttura è sobria, ma estremamente elegante. Le formelle sono tipicamente di gusto bolognese, così come l’impiego di cornici a rilievo marcato tra i cassetti e sulla base. Infine l’esemplare di cassettone in fig. 5, degli inizi del Settecento, mostra un superamento degli schemi Seicenteschi dei mobili emiliani, mostrando una struttura meno squadrata attraverso il movimento del fronte a linee spezzate. Analogamente, l’impiego di radica di noce chiaro, tipico dell’area romagnola, e la sua disposizione che ricerca effetti cromatici di una certa finezza esecutiva, evoca tecniche più attinenti al periodo di transizione da Seicento a Settecento.

fig 5

A conclusione di questo breve percorso emerge come discutere gli elementi stilistici degli arredi, a partire dalla loro struttura fino alla scelta dei materiali e di come vengono impiegati, significa necessariamente confrontarsi con la cultura che li ha prodotti. Ed è anche per questo che l’analisi delle cosiddette arti “minori” non può e non deve estinguersi, in quanto si presenta ancora come un campo di ricerca di forte interesse.

Matteo BECCARI   Bologna maggio 2018

Fonti e bibliografia: 

GRAZIANO MANNI: Mille mobili emiliani. (L’arredo domestico in Emilia-Romagna dal sec. XVI al sec. XIX), Introduzione di Luisa Bandera, Artioli, Modena, 1980;
LUISA BANDERA: Il mobile emiliano, collana “Mobili regionali emiliani”, Görlich; Milano, 1972;
LUISA BANDERA: Il mobile parmigiano, in “Aurea Parma”, LXI, 2, 1977;
GIAMPIERO CUPPINI – ANNA MARIA MATTEUCCI: Ville del Bolognese, 2° ed., Zanichelli, Bologna, 1969;
CHIARA BRIGANTI: Piccola storia degli arredi ducali, in “L’arte a Parma dai Farnese ai Borbone”, catalogo della mostra di Parma, 1979, pp. 227-239;
ROSSELLA CREMASCHI: L’arte della scagliola carpigiana nei sec. XVII, XVIII e XIX, Cassa di Risparmio di Carpi, 1977.