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Combattiva, preparata e soprattutto determinata a far valere tesi che sicuramente provocheranno reazioni contrastanti ma che sono il frutto di un lungo lavoro; così Sara Magister nella conversazione che abbiamo avuto per parlare del suo nuovo libro. Sara Magister è storica dell’arte, specializzata in storia dell’arte medioevale e moderna, e dottore di ricerca in antichità classiche in Italia. Da anni si occupa di iconografia sacra rinascimentale e barocca. Ha pubblicato numerosi articoli e monografie nelle più importanti riviste scientifiche italiane e con l’Accademia dei Lincei. Ha collaborato e collabora come ricercatrice con il Ministero dei Beni Culturali, i Musei Vaticani e la Fabbrica di San Pietro, come autore-editore per l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani. Tiene corsi di storia dell’arte presso il Pontifical North American College e l’università Lorenzo de’ Medici e da vent’anni si occupa di alta divulgazione, in vari siti di Roma e per l’ufficio didattico dei Musei Vaticani.
-La prima domanda che vorrei porti riguarda la committenza della Cappella Contarelli, cioè chi ebbe veramente voce nelle scelte iconografiche di Caravaggio, perché, leggendo il tuo libro, ci pare che sia una questione dirimente.
R- Chiariamo subito, sulla base di quello che riportano i documenti, che i suggerimenti iconografici provengono dalla Congregazione di San Luigi dei Francesi e che Caravaggio ebbe a firmare un contratto che prevedeva ruoli molto ben distinti, da un lato lui s’impegna a realizzare le tele entro un certo periodo di tempo, dall’altro loro debbono consigliarlo ed indirizzarlo.
–Il Cardinale del Monte quindi – che si presume ebbe un ruolo primario per far avere la committenza al Merisi- sarebbe dunque un soggetto estraneo alla vicenda iconografica?
R- In realtà, il Cardinale Del Monte non faceva parte della Congregazione, ma si può dire che aleggia sulle acque, ed è del tutto probabile che possa essere intervenuto si, soprattutto però facendo da tramite tra l’artista e la Congregazione; anche se non ho rinvenuto documenti in proposito così però dicono i biografi, senza mai fare direttamente il suo nome, però è chiaro che quando ad esempio Gaspare Celio e il Baglione accennano al “cardinale di Caravaggio”, nell’anno 1599, chi poteva essere il suo cardinale se non il Del Monte? Inoltre, è noto che il cardinale si occupava della promozione di giovani artisti e anche li educava alla correttezza iconografica delle immagini sacre, in continuità con chi lo aveva preceduto come protettore dell’Accademia di San Luca, ossia il Borromeo e Paleotti. Quindi, certamente può aver suggerito qualche idea ma è una cosa che rimane nel non scritto, mentre quello che è scritto nero su bianco è che il compito di consigliare Caravaggio spettava alla Congregazione di San Luigi.
-Emergono in qualche modo a tuo parere motivazioni politiche oltre che religiose nella scelta di affrettare i lavori decorativi nella Cappella, che tardavano da oltre trent’anni?
R- Certamente; siamo a cavallo tra l’Editto di Nantes (1598) e il Giubileo del 1600, ed a mio modo di vedere l’Editto è stato un vero e proprio acceleratore dell’impresa decorativa. Si erano registrate lamentele per il grave ritardo dei lavori da parte di numerosi esponenti della Congregazione –che erano quasi tutti francesi, come francesi erano i due rettori- e anche in previsione del Giubileo indetto proprio da lui, il pontefice, Clemente VIII Aldobrandini, alla fine aveva preso in mano la situazione passando la gestione dell’eredità Contarelli alla Fabbrica di San Pietro. Ed è proprio la Fabbrica a riorganizzare il cantiere scegliendo l’artista, e ad arbitrare i rapporti e i ruoli tra gli eredi del cardinale Contarelli e la Congregazione di San Luigi. Dopo la promulgazione dell’Editto di Nantes da lui osteggiata, dunque, possiamo dire che Clemente VIII colse l’occasione per raggiungere due obiettivi: da un lato avviare la ripresa e la conclusione definitiva della Cappella, dall’altro stringere in modo molto compatto attorno alla chiesa di Roma il cardinalato transalpino al quale si chiedeva una posizione netta a favore delle scelte tridentine in materia di fede.
–Tu credi ci fosse pericolo di un qualche ritardo se non di qualche fraintendimento sotto questo aspetto?
R- Io noto che la funzionalità liturgica della Contarelli si avvia un mese dopo che il papa richiama all’ordine l’alto clero francese. Inoltre il Giubileo stava arrivando, ma la chiesa-madre dei Francesi a Roma era ancora piuttosto spoglia, il che avrebbe avuto un pessimo impatto sui pellegrini e sui devoti. Questi ultimi poi sarebbero giunti da oltralpe, dal Nord, da zone che erano state o ancora erano infettate possiamo dire dall’eresia protestante; a costoro occorreva presentare una omelia per immagini che fosse esemplare e che fosse inequivoca dal punto di vista dottrinario, e certamente quella di Matteo si prestava benissimo come esempio. In tal maniera, la Congregazione poteva oltretutto dimostrare al pontefice –il quale ovviamente vigilava tramite la Fabbrica di san Pietro– che la linea tracciata dalla sua netta presa di posizione era chiaramente seguita.
-Si parlò a quei tempi anche del rischio di un attentato in occasione del Giubileo; pensi che questo possa aver in qualche modo influito sulle scelte iconografiche di Caravaggio?
R- Probabilmente si, in particolare per la realizzazione della tela del Martirio, dato che quella minaccia si era fatta strada proprio nei tempi in cui Caravaggio era alle prese con la Cappella. Proprio il Del Monte aveva riferito al duca Ferdinando de Medici che un eretico (ossia un protestante) aveva fatto voto di uccidere un sacerdote mentre diceva messa. Dunque la paura c’era e non è improbabile che il Merisi rimanesse in qualche misura suggestionato dal clima emotivo che pervadeva Roma in quei frangenti; devo dire però che non è un’associazione che faccio soltanto io, anche Alessandro Zuccari e Maurizio Marini ne parlarono a suo tempo; del resto il Martirio pare voglia riflettere precisamente un evento attuale, basti pensare a come è vestito il sacerdote-Matteo, che indossa una veste moderna, del tempo.
-Parliamo ora di cosa ti ha convinto a riprendere un tema affrontato già diversi anni or sono e che è stato oggetto di vari interventi, molti dei quali, a dire il vero, contrari alle tesi che tu sostieni.
R- Ho voluto approcciare di nuovo questo testo pittorico, parlo in particolare della Chiamata, perché mi sembrava che la tradizione critica andasse contro l’evidenza dell’occhio; ho quindi ripreso l’analisi della questione dall’inizio, con una sequenza di avvicinamento rigorosamente scientifica. Che significa? Ricominciare dai dati concreti e dare il giusto peso alle diverse fonti, cosa su cui la critica aveva fatto non poca confusione. Eppure la fonte più autorevole per giudicare un quadro è il dipinto stesso. Occorre quindi innanzitutto guardarlo attentamente, nel suo luogo di collocazione e secondo l’angolazione prevista dall’artista, perché solo così si capisce davvero il senso che tramanda.
I documenti d’archivio poi sono fonti altrettanto importanti e attendibili, molto più delle biografie o di altre fonti secondarie, Queste ultime invece andrebbero contestualizzate e valutate in maniera critica, senza prendere per oro colato tutto quello che riferiscono, e lo stesso approccio critico dovrebbe essere applicato alla valutazione dei richiami iconografici correlati alle opere di Caravaggio, dei vari caravaggeschi del suo tempo.
-E questo tipo di lavoro cosa ha comportato in termini di novità?
R- Rileggendo tutti i documenti pubblicati già a partire dagli anni Sessanta mi sono resa conto del fatto che nessuno aveva capito che Caravaggio firmò il suo contratto con la Congregazione di san Luigi dei Francesi e non con gli eredi del cardinale Contarelli, i Crescenzi. Il suo committente fu dunque la Congregazione, mentre i Crescenzi dovevano solo fornire alla Congregazione i soldi per pagare l’artista; in più, su quella committenza vigilava il papa tramite la Fabbrica di San Pietro, un po’ perché era tempo che i lavori fossero intrapresi, ma soprattutto per il motivo che quella Chiesa, che era la vetrina della Chiesa di Francia a Roma, dovesse presentarsi assolutamente sulla giusta linea del cattolicesimo agli occhi dei pellegrini oltremontani.
–Anche perché è noto che in Francia i decreti tridentini vennero approvati solo nel 1615
R- Appunto, è verosimile che Clemente VIII percepisse dei pericoli (e in questo senso va letto il suo richiamo all’alto clero) circa l’atteggiamento del re Enrico IV il quale, se è vero che si era convertito, tuttavia sembrava sempre tenere un piede in due staffe; in effetti non ho analizzato molto a fondo le questioni interne alla Francia post Editto di Nantes ma non credo di sbagliare affermando che il sovrano manteneva atteggiamenti ambigui sui rapporti con la Chiesa di Roma.
-Per tornare alla iconografia relativa alla Chiamata il tema dolente, se posso dire, resta quello relativo a chi sia davvero colui che assume il ruolo del pubblicano, cioè il Matteo-Levi rappresentato da Caravaggio, e come sai, la tua tesi – e di altri- che sia il giovane all’estremità del tavolo chino a contare il denaro è condivisa da ben pochi studiosi. Si è discusso molto ad esempio se il dito del vecchio ben vestito (dalla gran parte degli studiosi ritenuto lui il Matteo) indichi se stesso ovvero il giovane alla sua destra. Puoi spiegare il tuo punto di vista?
R- Veramente secondo me la verità è sotto gli occhi di tutti, basterebbe guardare il dipinto bene per rendersi conto che l’indicazione del dito del vecchio barbuto è diretta verso il giovane chinato; leggere il dipinto seguendo un corretto orientamento è fondamentale: nella Chiamata la narrazione procede da destra verso sinistra e termina con il giovane chino sul tavolo; d’altra parte le analisi riflettografiche condotte da Marco Cardinali e Beatrice De Ruggieri (che tra l’altro pubblico nel libro) hanno evidenziato addirittura che il pittore era andato anche oltre con l’indice. Ma soprattutto tutta la linea del braccio e del polso si mantiene continua e tesa. I famosi caravaggeschi soprattutto fiamminghi hanno invece dovuto operare vere e proprie forzature su quel quadro per dimostrare quello che serviva loro raccontare, tant’è che tutti raffigurano il polso come fortemente angolato. Lo stesso Caravaggio in altri suoi dipinti mostra chiaramente il polso angolato e il dito puntato verso il centro del petto, quando vuole mettere in scena il gesto dell’autoindicarsi.
-Ma come spieghi però che il dorso della mano sinistra appare in ombra? Questo non fa credere che il dito indice del vecchio sia arcuato e perciò diretto verso se stesso?
R- Conosco bene questa tesi ma mi viene facile rispondere osservando che proprio perché il vecchio sta indicando non se stesso ma chi gli sta accanto, la sua mano è lievemente angolata e quindi il dorso è parzialmente in ombra. Ci sono anche confronti con altri quadri del Merisi.
–Tra le altre cose tu scrivi che nella scena non c’è nessuno che si sta muovendo, mentre a guardare bene sembra che proprio il vecchio indicato come Matteo dai più stia per alzarsi, rispondendo appunto alla chiamata di Cristo.
R- No a me non pare, si può dire –come ho scritto- che il vecchio assuma invece una posizione che ricorda quella del Torso del Belvedere ….
-Ecco, qui ti interrompo perché, leggendo il tuo libro, questa similitudine mi è apparsa come una forzatura.
R- Eppure, se guardi con attenzione le gambe appaiono molto muscolose e lo spostamento piuttosto repentino –tieni conto del fatto che stava trafficando col denaro e quindi ovviamente gira il busto accortosi di quanto accade alla sua sinistra- mi pare faccia trasparire l’energia come di una torsione che potrebbe avergli ispirato per l’appunto il noto capolavoro scultoreo; insomma secondo me il vecchio si gira arretrando di fronte alla chiamata di Cristo, perché, come i farisei del vangelo, si scandalizza perché viene chiamato alla salvezza chi secondo lui non lo merita; notiamo anche la sua espressione che è altera e scettica, non certo quella di un mero osservatore.
–Allora ammettiamo che sia tutto così come lo vedi tu, resta il fatto che il giovane è chino a contare il denaro; tu dici che “alza gli occhi” e “sarà graziato”; resta da chiarire perché dovremmo credere che li alzerà se ancora non lo ha fatto.
R- Occorre guardare bene ancora una volta. Se fai caso vedi che Gesù sta parlando ancora, ha ancora la bocca aperta, sta ancora pronunciando le sue parole.
-D’accordo ma “sequere me” significa un’adesione immediata …
R- Ed infatti è così; il giovane sta ancora guardando i soldi, li sta contando e li sta pure nascondendo nella sacca (altro preciso attributo di Matteo che molti continuano ad ignorare), per non dire del vestiario che contraddistingue i partecipanti, non tutti sono abbigliati allo stesso modo ed anche su questo Caravaggio era molto attento; si vede bene la differenza tra l’abbigliamento da nobile del vecchio e quello modesto del giovane Matteo, del truffatore. Dunque, per rispondere alla tua domanda: Cristo è appena entrato in scena e sta chiamando Matteo (la sua bocca, come dicevo, è ancora aperta) si capisce che è raffigurato l’attimo brevissimo in cui sta per dire “seguimi !”
mentre compare improvvisamente anche la luce della Grazia, che come un riflettore, s’impunta sui soldi, sulla mano che li sta raccogliendo ed è ora, a questo punto, che Matteo è obbligato a prendere coscienza di quello che sta facendo, un istante prima che operi la sua scelta di salvazione, una scelta che dev’essere fatta da lui. La risposta non è ancora arrivata (ma si prefigura in quella gamba di Matteo illuminata e già rivolta verso l’esterno) perché a quei pellegrini nordici e francesi che sarebbero qui giunti magari già confusi da una serie di immagini sulle stesso tema ma sbagliate, occorreva far capire l’importanza del libero arbitrio e della nostra diretta responsabilità nel guadagnarci la salvezza. I protestanti invece consideravano proprio la vicenda di Matteo un emblema di salvezza per sola Grazia e predestinazione. Tra l’altro Matteo è proprio posto vicino allo spettatore reale che guarda a questa tela da fuori della cappella. Per coinvolgerlo. Non siamo mica di fronte a un quadro da museo! Eppure ancora parecchi studiosi ignorano questo orientamento diagonale e non centralizzato e leggono questi dipinti frontalmente come avessero di fronte una foto, quando poi non li studiano esclusivamente dalle foto.
–Mi sembra interessante il fatto che tu insista sull’idea che il Giubileo e poco prima Nantes giocarono un ruolo determinante nelle scelte iconografiche dei suggeritori del Merisi. E’ così ?
R- Io credo che sia stato fatto questo ragionamento: se il nodo fondamentale è quello relativo alla Grazia, allora per sconfessare le tesi protestanti occorre per forza di cose impiantare tutta la narrazione sul momento in cui il pubblicano –e non solo lui- deve scegliere; non si può rappresentare Matteo che si muove o si agita perché la questione è un’altra e cioè, come arriva alla sua scelta, perché si alza e segue il Signore, come ha ragionato per rispondere alla chiamata; in una parola Matteo si alza perché Cristo lo sta chiamando a sé, diciamo per folgorazione diretta, oppure perché ha scelto lui stesso? Ecco allora che Caravaggio, d’accordo con quelle che debbono essere state le indicazioni della Congregazione, rappresenta il momento clou, quello più drammatico e decisivo allorquando deve stabilire se continuare a contare i soldi oppure seguire Cristo che lo chiama; è il tema del libero arbitrio, come vedi.
–Possiamo però immaginare un’altra storia, e cioè che il libero arbitrio sia espresso attraverso la scelta opposta di due personaggi: da un parte il vecchio che pare alzarsi per scegliere di seguire chi lo chiama, dall’altra proprio il giovane che tu indichi come Matteo, il quale invece resta chino come se avesse ignorato il richiamo divino e abbia scelto il denaro come valore di vita.
R- Non sono d’accordo; qui Caravaggio rappresenta colui che non si ravvede nel vecchio alzato che inforca gli occhiali; è un vecchio ebreo raggiunto anch’egli dalla luce ma che mette gli occhiali perché non vuole mollare la sua presa sui soldi; secondo gli stereotipi del tempo (e non solo di quel tempo purtroppo) gli occhiali e una pelliccia sarebbero alcuni dei tratti che individuano senza dubbio un ebreo: uno stereotipo che è stato studiato a fondo da Massimo Moretti (ed anche da me anche seguendo le sue indicazioni) e nel nostro caso individua la figura negativa che fa da contraltare rispetto al giovane Matteo perché anche lui è stato colpito dalla luce –che non dimentichiamo arriva a tutti, non c’è alcuna predestinazione-; ma mentre il vecchio con gli occhiali fa una scelta e non si vuole ravvedere, il giovane Matteo resta ancora a ragionare sui soldi perché ora sta rendendosi conto del loro non-valore, nel senso che li sta vedendo sotto un’altra luce, non più come aveva fin lì percepito il denaro; insomma, il vecchio con gli occhiali è descritto come il contraltare di Matteo, non altri.
–E come spieghi che l’introduzione di San Pietro nel quadro sia avvenuta in un secondo momento? C’entra qualcosa con il fatto che a suo tempo il committente Contarelli fosse un ugonotto convertito?
R- Credo che considerando il contesto politico religioso che ho sommariamente descritto fosse necessario che comparisse San Pietro quale simbolo della Chiesa di Roma, proprio perché –come dicevo- la cattolicità era attaccata dalle eresie e doveva riproporre il tema della salvezza e della grazia secondo quanto elaborato dai codici tridentini; in altri contesti credo non ce ne sarebbe stato bisogno ma la situazione contingente spingeva senza dubbio a rimarcare nel modo più chiaro possibile le verità conciliari.
-Nelle critiche alle tue tesi su chi sia il ‘vero Matteo’ si fa notare come egli non possa essere il giovane chino sui soldi perché questo contrasterebbe con la immagine più nota ed accettata dell’apostolo, ribadita peraltro dalle fisionomie che compaiono ai lati negli altri episodi del ciclo, dove per l’appunto Matteo è tutt’altro che giovane. Come rispondi?
R- Rispondo semplicemente che tanto per cominciare ho evidenziato come ci siano esempi di quadri e di immagini in cui Matteo appare giovane, e poi che le raffigurazioni ai lati della Chiamata illustrano momenti successivi a quelli della vocazione, accaduti dopo; questo spiega bene perché c’è differenza fisiognomica, sarebbe strano il contrario; si tratta di un ciclo pittorico non di un unico dipinto ed è questo che fa la differenza, nel senso che in un ciclo pittorico si può pensare a rappresentare gli eventi secondo un ordine temporale, tale per cui inizialmente Matteo è giovane e senza barba e successivamente lo ritroviamo mezzo calvo, barbuto e vecchio. Il giovane senza barba è il classico giovinastro baldanzoso, truffatore, tipico nella Roma primo seicentesca, il vecchio barbuto è invece il saggio, il filosofo, cioè colui che il giovinastro ancora non è diventato; è un po’ quello che appare nella cappella Cerasi laddove san Paolo che cade è ancora Saulo, anch’egli sbarbato, con i capelli corti, ancora non dipinto nel modo che conosciamo secondo l’iconografia tradizionale; ed aggiungo che questo accorgimento è quello più rispettoso della realtà storica.
–Passiamo alle fonti che tu hai valutato in una maniera un po’ tranchant; forse perché concordemente trascrivono il dipinto della Chiamata indicando il pubblicano nel vecchio che fa il cenno con il dito, cioè in modo del tutto differente dalle tue tesi?
R- Secondo me tanto Bellori che Sandrart hanno capito molto poco e male, intanto mi pare che non abbiano individuato il significato e l’iconografia del quadro, inoltre affermano cose che non corrispondono alla realtà. Ma cominciamo col dire che le biografie su Caravaggio sono spesso opera di chi, com’è noto, non lo apprezzava affatto e di conseguenza sono abbastanza orientate e quindi non va sottovalutato questo fattore, cioè le finalità di chi scriveva. L’interesse di Bellori, ad esempio, non è affatto di tipo iconografico quanto invece stilistico, cioè non è interessato tanto a capire cosa rappresenti quella storia, quanto piuttosto come lavora l’artista, il fatto della luce e delle ombre, i contrasti di luce e così via, cosa che non comporta poi la percezione del quadro, tanto più se consideriamo che la condizione della Cappella dal punto di vista dell’illuminazione era parecchio peggiorata dopo la costruzione della struttura di Palazzo Madama e quindi si vedeva male; Bellori matura la tesi che l’oscurità delle tele caravaggesche corrisponda a quella della sua persona, cioè –per semplificare- siccome l’artista era un poco di buono allora operava in quel discutibile modo, che, se vuoi, è una sorta di pregiudizio ancora oggi presente in certi ambienti editoriali o cinematografici e che non corrisponde affatto alla realtà. Quindi, considerando che Bellori non è mosso da un vero interesse iconografico e che inoltre la descrizione che fornisce della Chiamata non corrisponde neppure a quello che appare (ad esempio scrive che il vecchio barbuto si mette la mano al petto ma non è affatto così) forse perché, come dicevo, l’illuminazione era molto scarsa, credo di poter dire che egli si aspettava di vedere quello che pensava di dover vedere, senza percepire minimamente l’aspetto rivoluzionario di quel testo; questo è un errore in cui cadono ancora oggi molti critici d’arte.
-Tu hai citato altre fonti oltre a quelle tradizionali dei critici del tempo.
R- Esattamente; bisogna chiedersi perché Milesi e il Silos ad esempio, percepiscano il dipinto in tutt’altra maniera, come ho cercato di dimostrare; loro sono certamente interessati al significato iconografico dell’opera caravaggesca e attraverso il loro linguaggio, che è quello dei poeti –sia pure criptico, che non mi fornisce la prova del nove ma che conferma le mie tesi- appaiono assolutamente interessati alla fruizione dell’arte religiosa, al valore educativo e didattico oltre che spirituale che quei dipinti suggeriscono. Questo fa riflettere su quali siano le fonti che occorre prediligere, su chi sia più credibile.
-In quegli anni, cioè nel 1597-98, a ridosso dei lavori nella Contarelli si sviluppa anche una dura controversia tra domenicani e gesuiti sul tema della Grazia e del Libero arbitrio (De Auxiliis Divinae Gratiae) che ebbe momenti di grande tensione nella Curia e che potrebbe aver richiamato l’attenzione dei ‘suggeritori’ di Caravaggio.
R- Non ho trovato riferimenti che possano farlo pensare, e d’altra parte mi pare che la questione sia molto più semplice, nel senso che dubito molto che una disputa teologica di questo tipo potesse avere come destinatario il grande e generico pubblico dei devoti, in massima parte forestieri, come ad esempio i pellegrini francesi che erano attesi per il Giubileo, per i quali credo di poter dire che i quadri fossero pensati nella logica della rappresentazione della giusta interpretazione della dottrina della chiesa tridentina, ossia la conversione, la salvezza, la sacralità del Vangelo e della Chiesa come istituzione; insomma nella Contarelli siamo di fronte ad un ciclo didattico, una sorta di omelia per immagini rivolta ad un pubblico generico che magari poteva anche essere al corrente dell’esistenza di certi contrasti dottrinari ma non al punto di capirne i contenuti, come in questo caso del contrasto tra domenicani e gesuiti. Queste erano dispute che si svolgevano all’interno dei circoli culturali e religiosi, non adatti ad un pubblico popolare.
–Torniamo alla iconografia della Contarelli e in particolare alla Chiamata, perché mi pare a questo punto di poter dire che la grande novità che proponi nel tuo libro –come si diceva all’inizio- scaturisce dalla risoluzione della questione della committenza.
R- Si, in effetti, stabilire se i dipinti siano stati commissionati dai Crescenzi o dalla Congregazione di San Luigi cambia tutto, perché per Crescenzi bisogna intendere gli eredi del Cardinale Contarelli il quale aveva commissionato quei quadri per se stesso; mi spiego meglio: al di là del fatto che fosse stato un ugonotto, la verità è che venne accusato di lampante simonia da Sisto V; ecco quindi che la Cappella in San Luigi è la carta giocata per salvarsi l’anima, si tratta quindi di un intento legato alle sue faccende, una cosa personale; nel momento in cui invece la committenza passa nelle mani della Congregazione il programma cambia completamente ed assume un rilievo pubblico, del tutto diverso dal precedente, come pure muta il linguaggio, l’ottica della rappresentazione e il senso dell’iconografia.
-Ecco, possiamo dire che il tuo libro si giustifichi a partire da qui, cioè dall’apertura di questa nuova prospettiva di lettura della Chiamata che inizia dalla committenza, e di conseguenza la storia del dito che va dritto o si curva, dei personaggi fermi o in movimento e così via sono elementi complementari.
R-Si la committenza è fondamentale, ed è da questo elemento che occorre partire per interpretare e leggere correttamente il quadro; e tuttavia nel corso della stesura mi sono più di una volta domandata come fosse possibile che sia stata ignorata una verità che era sotto gli occhi di tutti, che è scritta nero su bianco sui documenti, sulle fonti primarie.
–Avviandoci alla conclusione della nostra conversazione, ti chiedo : ed ora cosa ti aspetti ?
R- Mi aspetto che anche gli storici dell’arte più riluttanti si dovranno rassegnare ad affrontare finalmente la lettura di questo ciclo (ma anche dello stesso Caravaggio, mi sento di dire) in una maniera più ordinata, secondo quel processo di avvicinamento scientifico che ho descritto prima; io non mi sento affatto la migliore scienziata sotto questo aspetto, però posso dire che ho cercato quanto meno di essere onesta e di seguire un preciso ordine filologico nell’analisi di quel ciclo pittorico. E sono anche convinta che si dovrebbe applicare lo stesso approccio anche nella valutazione analitica di altre opere del Merisi, perché so già che ci potrebbero essere notevoli sorprese.
–Ed allora anticipane qualcuna per i nostri lettori!
R- In realtà ci sto ragionando su e non mi pare il caso; posso però dirti qualcosa riguardo alle opere di Caravaggio che furono rifiutate.
–Ecco, cosa c’è di nuovo al riguardo?
R- Posso dirti che siamo di fronte in questi casi a quelle che oggi chiamiamo fake news. Se ci muoviamo con il metodo scientifico descritto e cominciamo a rileggere tutti i documenti delle committenze di Merisi, ad esempio per la Cappella Cerasi o per la Madonna dei Palafrenieri, si arriva a ritenere –o almeno per ora questo è solo il mio parere- che dal punto di vista dottrinario e teologico i dipinti “rifiutati” non erano solo corretti, di più! Ci sto lavorando rileggendo i documenti, non secondo quello che altri hanno tramandato ma approcciando ogni elemento nel modo più obiettivo e posso dire che ne usciranno delle belle, anche dal punto di vista iconografico.
–Vedo che non vuoi dire più di tanto, allora l’ultima domanda te la faccio su un tema che sta dividendo la critica caravaggesca dopo che sono stati pubblicati documenti che sposterebbero l’arrivo di Caravaggio a Roma interno alla metà degli anni Novanta del XVI secolo. Tu che idea ti sei fatta?
R- Io mi fido dei documenti e dei fatti e quindi mi schiero sul versante 1595-96. Sono a fianco in particolare di studiosi come Riccardo Gandolfi e Michele Cuppone, giovani ma molto capaci a mio avviso, autori peraltro degli ultimi ritrovamenti documentari.
P d L Roma maggio 2018