Paesaggi nascosti; capolavori che riemergono nella mostra “Di natura e d’invenzione” a Palazzo Barberini

di Massimo FRANCUCCI

Paesaggi nascosti

Se la retorica dei capolavori lasciati a impolverarsi nei depositi dei musei, in particolare in quelli italiani, è di certo lontana dalla realtà, è comunque vero che il ruolo di questa componente museale ha acquistato sempre più rilevanza e che tra le opere solitamente non esposte al pubblico si celano alcune chicche e alcuni esemplari degni di maggiore visibilità se non, addirittura, dei piccoli capolavori che possono attirare l’attenzione anche del visitatore meno attrezzato. Tutto ciò andrà visto poi alla luce del mutamento di gusto che a volte ha esaltato opere oggi relegate al ruolo di comprimarie, e ha al contrario celato dipinti oggi riconosciuti come imprescindibili.

È in questa prospettiva che, sempre più spesso, si è cercato in anni recenti di rendere maggiormente fruibile parte di questo patrimonio sterminato facendo ricorso a rotazioni, a varie versioni di ‘museo diffuso’ e a mostre dossier specificatamente dedicate a temi e opere di particolare interesse. Rientra in quest’ultima categoria Di natura e d’invenzione piccola ma preziosa esposizione allestita in questi giorni nella Sala dei Paesaggi del piano nobile di Palazzo Barberini.

Si tratta di una iniziativa voluta da Luigi Gallo, direttore del Palazzo Ducale di Urbino, ma al momento curatore ‘ad interim’ delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, prima di lasciare il testimone a Thomas Clement Salomon, da poco chiamato a succedere a Flaminia Gennari Santori. Essendosi occupato spesso di paesaggi, in particolare francesi e del Settecento, la scelta di Gallo, coadiuvato da Paola Nicita e Yuri Primarosa, è ricaduta proprio su questi temi che presentano nelle raccolte del museo romano alcuni spunti degni di maggiore attenzione.

Non molto tempo fa, ad esempio, ha perduto il suo posto nell’allestimento del museo quella Veduta di Villa Sacchetti a Castelfusano, che rappresenta una fondamentale prova dell’interesse di Pietro da Cortona per il paesaggio reale.

Pietro da Cortona Veduta di Villa Sacchetti a Castelfusano

Qui, prendendo spunto dalla residenza di campagna di uno dei suoi primi mecenati di rilievo, Pietro riusciva a far dialogare con successo reale e ideale secondo termini che permettessero al dipinto di svolgere sia funzioni di valore documentario, sia di carattere encomiastico e celebrativo. L’importanza delle proprietà Sacchetti era poi alimentata dal fatto che lo stesso pittore ne aveva guidato la decorazione ad affresco, vero incunabolo di quel barocco in pittura che, di lì a poco, avrebbe trovato piena consacrazione nel Trionfo della Divina provvidenza e del papato Barberini che si può ammirare a poche stanze dalla mostra, nel salone del palazzo.

Nicolas Poussin

Altri scopi guidano le scelte artistiche di Nicolas Poussin, presente con un commovente Paesaggio con Agar e l’angelo nel quale ricorrono, in un’opera della tarda maturità del pittore, le stesse propensioni idealistiche che si riscontrano nei suoi più celebri dipinti di soggetto storico o di maggior formato.

Il suo testimone sarà raccolto chiaramente dal Maestro della betulla, nome sotto il quale pare ormai certo celarsi la figura di Gaspard Dughet che dell’altro pittore fu seguace e cognato. È qui esposto il suo Paesaggio con Giunone e Argo trasformato in pavone, altro esempio del modo in cui la veduta continuava a coniugarsi con soggetti di carattere comunemente ritenuto più elevato, in questo caso mitologico, sebbene lo spazio relegato alle figure divenga qui, come in Poussin, quasi marginale.

Maestro della Betulla
Andrea Locatelli

I protagonisti della piccola esposizione sono proprio gli artisti stranieri che, chi più chi meno, hanno trascorso del tempo a Roma a volte scegliendo la città dei papi quale loro stabile dimora.

Vi fanno eccezione, oltre al Cortona, il romanissimo Andrea Locatelli e Giovanni Paolo Pannini, che si era portato giovanissimo nell’Urbe dalla natia Piacenza, mettendovi a punto quella sagace commistione di scenografia di vero e di sensibilità antiquaria che lo hanno reso tanto celebre.

Un medesimo interesse caratterizza i ‘capricci’ di Hubert Robert, in cui i frammenti dell’antico vengono ricomposti secondo modalità che sfociano nell’immaginario se non nell’onirico.

Hubert Robert Fontana monumentale con architetture

Molto più concreto è il vedutismo di Jacob Philipp Hackert, la cui Veduta dei Colli Albani dall’Osteria del Fico, realistica e realizzata da un punto di vista ancora oggi identificabile, mostra quel trapasso che dall’epoca dei lumi e delle certezze neoclassiche conduce al sublime romantico i cui bagliori dorati riecheggiano nei riverberi del sole sulla campagna romana. La data che campeggia sul dipinto, 1789, è poi particolarmente rappresentativa di un momento della storia aperto al cambiamento più radicale.

Jacob Philipp Hackert

Forse più attenta ai valori ideali e prettamente pittorici e l’inconfondibile luminosità dei paesaggi di Van Bloemen, non a caso soprannominato L’Orizzonte.

Jan Frans Van Bloemen_Paesaggio con figure (il mattino)

Se le sue tele non sono affatto rare nelle collezioni romane, ma qui ci troviamo di fronte a un paio delle sue creazioni più riuscite, il motivo di maggior interesse della mostra è dato dalla presenza di alcuni rari esempi dei pittori più attivi nella Francia di Luigi XV, guidati dal quel meraviglioso narratore di raffinate e ammiccanti scene di corte che fu François Boucher, – con lui è Fragonard – tanto apprezzato nel contesto aristocratico da divenire, grazie alla preferenza concessagli dalla  marchesa di Pompadour, primo pittore del re.

Sono sue tre tele esposte, firmate e datate, tra le quali si segnala, per eleganza e complicità, La piccola giardiniera, del 1767, la cui sensualissima protagonista eleva il ruolo della fioraia verso raffinatezze mondane e capricciose proprie di un mondo che viveva il suo apice prima di venire stravolto per sempre dalla lacerazione rivoluzionaria che nessuna restaurazione avrebbe ricondotto ai fasti del passato.

FrancoisBoucher, La piccola giardiniera

La presenza di questo e di altri capolavori del Settecento francese si deve al lascito di Dimitri Sursock, libanese di nascita e duca di Cervinara, titolo concessogli grazie ai buoni uffici della sorella Isabelle con i Savoia. Lei era andata in sposa al principe Colonna, portando con sé più di una dote, sia materiale che di gusto e raffinatezza, qualità che le permisero di fare del palazzo di famiglia il fulcro della nobiltà romana in un periodo tanto travagliato come quello segnato dalla guerra mondiale. Alla morte di Dimitri, avvenuta nel 1960, questi destinò ventisei pezzi della sua mirabile collezione a un museo romano che il nipote Aspreno Colonna indicò nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini dove oggi queste vedute tornano a parlarci di un mondo signorile e frivolo le cui eleganze forse non ci si addicono più.

Massimo FRANCUCCI  Roma, 31 dicembre 2023