di Nica FIORI
Il mons Caelius, il cui nome deriva dal mitico Celio Vibenna, uno dei due fratelli di Vulci che avrebbero aiutato Servio Tullio a diventare re di Roma, è uno dei sette colli dell’originario Septimontium ed è legato a ricordi delle età regia, repubblicana e imperiale. Famoso soprattutto per alcune splendide chiese e monasteri e per l’area verde della villa Celimontana (già Mattei), il Celio venne scelto dopo l’Unità d’Italia per accogliere l’Antiquarium, un edificio dove vennero immagazzinati i materiali lapidei venuti alla luce negli sterri e scavi ottocenteschi per la creazione dei nuovi quartieri della capitale (specialmente sull’Esquilino, sul Quirinale, sul Viminale). Inaugurato nel 1894, questo edificio venne trasformato in museo su progetto di Antonio Muñoz nel 1929, ma chiuso già nel 1939 in seguito a dissesti statici legati ai lavori della metropolitana.
Ora finalmente, dopo tanti anni di chiusura, viene aperto al pubblico il Parco archeologico del Celio, che presenta parte di quei materiali dell’Antiquarium (cippi, sarcofagi, epigrafi, colonne e resti architettonici), inseriti in un giardino che fa pensare a un romantico cimitero, compreso tra il Colosseo, la via di San Gregorio, la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo e il Clivo di Scauro, dove è l’ingresso al numero 4.
L’inaugurazione del Parco archeologico e del nuovo Museo della Forma Urbis, ospitato al suo interno, è avvenuta l’11 gennaio 2024 alla presenza del sindaco Roberto Gualtieri, dell’assessore capitolino alla Cultura Miguel Gotor e del sovrintendente capitolino ai Beni culturali Claudio Parisi Presicce. Il parco potrà essere visitato gratuitamente tutti i giorni, mentre il museo è chiuso il lunedì e prevede un biglietto d’ingresso, salvo per i possessori della MIC Card.
“Il colle Celio viene finalmente recuperato alla fruizione – ha dichiarato Parisi Presicce – dopo essere stato a lungo un buco nero nell’ambito della città, pur avendo la funzione essenziale di cerniera, o punto di raccordo, tra l’area monumentale dei Fori e la via Appia antica. … Nel giardino archeologico abbiamo voluto restituire una visione della vita quotidiana antica attraverso materiali epigrafici di tombe private, ma anche raccogliere cippi di confine che testimoniano la vita pubblica, come pure gli elementi di smontaggio della Porta Flaminia”.
Come ha spiegato lo stesso Sovrintendente capitolino nel corso della presentazione, il Parco del Celio ha una storia complessa, che va dalla cinquecentesca Vigna Cornovaglia alla nuova morfologia provocata dagli accumuli di terra provenienti dagli scavi napoleonici dell’area del Colosseo, Palatino e Foro Romano, che di fatto hanno innalzato parte dell’originaria collina. Sul terrapieno artificiale così formato si sviluppò nell’Ottocento un’ampia zona verde presso il Colosseo, sistemata ad alberi e nota come Orto Botanico. Zona che divenne “passeggiata pubblica” nell’ambito di un progetto affidato da papa Gregorio XVI all’architetto Gaspare Salvi (1835).
Il Salvi progettò, a ridosso delle strutture del Tempio del Divo Claudio, un edificio con un’antistante terrazza belvedere, che doveva servire da punto di ristoro, ovvero una coffee-house ispirata a quella del Pincio progettata dal Valadier, e impose un nuovo orientamento dei viali all’interno dell’area. Sia la Casina del Salvi che il Parco circostante sono pervenuti nel patrimonio comunale a seguito del motu proprio di Pio IX del 1847.
L’altro edificio del parco, compreso nella parte più meridionale dell’area, è l’ex Palestra dei Vigili Urbani, già della Gioventù Italiana del Littorio (GIL); ultimata nel 1929, la Palestra andava a sostituire tre capannoni in muratura allineati, dotati di servizi, realizzati nel 1901.
Dopo essere stato restaurato, l’edificio, che conserva la scritta Opera Nazionale Balilla, ospita adesso il Museo della Forma Urbis, di grande importanza per la conoscenza della topografia di Roma antica.
La Forma Urbis è una grande pianta marmorea, realizzata tra il 203 e il 211 d.C. sotto Settimio Severo, i cui frammenti sono ora sistemati in una sala al di sopra della riproduzione della monumentale pianta di Roma di Giovan Battista Nolli del 1748. Poiché il tutto è ricoperto di vetro, possiamo camminarci sopra soffermandoci sui vari settori. Si è scelto questo tipo di allestimento a pavimento per una migliore fruizione dell’opera, anche se purtroppo il vetro riflette la luce proveniente dai finestroni della sala. Non si tratta di una disposizione filologica, perché originariamente la mappa marmorea si trovava in posizione verticale su una parete del Templum Pacis di Vespasiano, in seguito inglobata dal complesso dei Santi Cosma e Damiano nell’area del Foro Romano (la parete su cui la pianta era affissa corrisponde all’odierna facciata della basilica). Il Tempio della Pace doveva già avere una mappa della città di epoca coeva, voluta da Vespasiano, ma a noi è pervenuta quella successiva severiana.
La Forma Urbis era incisa su 150 lastre di marmo applicate alla parete con perni di ferro e occupava una superficie di m 18 x 13 circa. L’incisione è stata eseguita quando le lastre erano già montate sulla parete e raffigurava le planimetrie approssimative degli edifici a una scala media di 1:240. Ricavata da un grande rilevamento catastale della città, riprodotto in modo semplificato, la mappa era orientata, secondo l’uso romano, con il sud-est in alto e non con il nord, come si usa ai giorni nostri.
Considerata la posizione, la difficile leggibilità e la generale assenza di dettagli, è probabile che la pianta marmorea avesse, più che una finalità pratica, una funzione di propaganda e di celebrazione del potere, dando all’osservatore una visione generale della città e dei suoi grandiosi monumenti, le cui sagome erano facilmente individuabili anche grazie all’uso del colore. La pianta marmorea testimonia le capacità tecniche degli antichi cartografi, ma l’orientamento di alcuni edifici presenta diverse anomalie, come nel caso del Tempio del Divo Claudio, il principale monumento del Celio, che risulta sfalsato rispetto al Colosseo e al Circo Massimo.
Dopo la scoperta nel 1562 e la lunga permanenza a Palazzo Farnese (1562-1741), molti frammenti andarono perduti e dispersi, anche perché alcune lastre finirono in parte frantumate e usate come materiale da costruzione per i lavori farnesiani del Giardino sul Tevere. Delle centinaia di frammenti, da piccole schegge a settori di lastra con interi quartieri, solo circa 200 sono stati identificati e idealmente collocati sulla topografia moderna.
Dal 1742 ciò che resta della Forma Urbis (il 10 % della pianta originale) appartiene alle collezioni dei Musei Capitolini. L’ultima esposizione complessiva degli originali è stata realizzata tra il 1903 e il 1924 nel giardino del Palazzo dei Conservatori (sparito per far posto alla sala del Marco Aurelio); poi, fino al 1939 alcuni nuclei significativi sono stati visibili nell’Antiquarium del Celio.
Se la posizione orizzontale è utile dal punto di vista logistico, non ci convince la sistemazione dei pannelli didattici, che sono di fatto quasi illeggibili (per via del vetro sovrapposto che provoca una visione doppia delle scritte). Un’altra cosa che non va bene è l’eccessivo costo del biglietto d’ingresso: ben 9 euro (per i non residenti a Roma) per un museo che si visita in pochi minuti.
Ben più affascinante è la visione dei numerosi reperti che accolgono i visitatori all’ombra dei cipressi che delimitano il giardino archeologico dal lato della basilica dei Santi Giovanni e Paolo, della quale s’intravede la cupola e parte dell’abside ad archetti. Gli oggetti lapidei esposti sono organizzati per nuclei tematici e spingono il visitatore ad approfondire alcuni aspetti della vita quotidiana nell’antichità.
In particolare possiamo renderci conto di come i diversi ceti sociali rappresentassero il proprio status nella sfera funeraria: si va dai numerosi piccoli cippi sepolcrali, esposti nel parco secondo l’ordine alfabetico dei nomi riportati nelle iscrizioni, alle tombe monumentali di ricchi senatori, come quella del console Servio Sulpicio Galba.
Molti cippi sono in travertino e risalgono, quindi, alla prima età imperiale. Sempre di ambito funerario sono alcuni sarcofagi, tra cui quello marmoreo con tiaso marino (Nereidi e Tritoni), come pure il coperchio di un sarcofago con una coppia di sposi. Alcuni ritratti di defunti sono scolpiti a rilievo su alcuni monumenti sepolcrali, che sorgevano al di fuori del pomerio con la fronte rivolta verso i viandanti. L’intento era quello di preservare la loro memoria, concetto espresso anche da Orazio nel celebre verso Non omnis moriar (“Non morirò del tutto”, Odi, III, 30,6).
Nel settore dedicato alla religiosità emerge il senso del sacro nelle modeste are dedicate dai devoti ad alcune divinità del vasto pantheon romano, tra cui Silvano ed Ercole, raffigurato anche in un bel rilievo, e nei più grandi templi pubblici, come il tempio dei Castori nel Foro Romano.
Si possono cogliere le differenze relative a dimensioni e qualità dei materiali, nella contrapposizione fra edifici pubblici e privati, attraverso una selezione di grandi frammenti lavorati, provenienti da diversi edifici pubblici della città, come pure nelle basi di statue onorarie, ma non viene specificata la loro provenienza.
Alcune testimonianze della presenza amministrativa di Roma sul territorio sono fornite dai cippi di delimitazione dell’alveo del Tevere, da quelli degli ampliamenti del pomerio della città antica, fino a quelli che riportano le indicazioni delle aree di pertinenza degli acquedotti.
Anche il gusto architettonico antico e la diffusione dei diversi marmi (da quelli bianchi ai colorati, tra cui anche il pregiatissimo porfido e il serpentino), provenienti da tutte le regioni dell’Impero, sono ampiamente testimoniati da innumerevoli consistenti frammenti, mentre altri manufatti introducono al tema del reimpiego e della rilavorazione, un fenomeno diffuso che riguarda tutta la storia architettonica della città.
L’apertura del Parco archeologico del Celio si inserisce nell’ampio progetto di trasformazione del colle del Celio e dell’intero Centro Archeologico Monumentale. Grazie agli interventi giubilari, si arriverà all’allestimento completo dei reperti e all’apertura al pubblico della Casina del Salvi, che tornerà ad avere la sua funzione originaria e allo stesso tempo ospiterà anche una delle nuove Aule Studio di Roma. Nel terrazzamento antistante questo edificio lo scavo archeologico ha portato alla luce le strutture relative alle sistemazioni esterne e ai giochi d’acqua del Tempio del Divo Claudio, nonché il passaggio dell’acquedotto claudio-neroniano.
Saranno, inoltre, avviati i lavori di consolidamento e recupero dell’ex Antiquarium Comunale, che porranno fine a un abbandono quasi secolare dell’edificio. L’area verde del Celio sarà riqualificata nella vegetazione, nei percorsi, negli affacci verso il Palatino e nelle connessioni con l’area del Colosseo, mediante un progetto a cura del Dipartimento Tutela Ambientale e, infine, la Nuova Passeggiata Archeologica, lungo via di San Gregorio, connetterà il Parco del Celio con il Centro Archeologico Monumentale.
Nica FIORI Roma 14 Gennaio 2024
Parco Archeologico del Celio e Museo della Forma Urbis
Ingressi: Viale del Parco del Celio 20 – Viale del Parco del Celio 22 – Clivo di Scauro 4.
Orari: – il Parco Archeologico del Celio è aperto tutti i giorni dalle 7.00 alle 17.30 (ora solare) e dalle 7.00 alle 20.00 (ora legale);-il Museo della Forma Urbis è aperto dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 16.00 (ultimo ingresso un’ora prima). Chiuso il lunedì.