di Claudio LISTANTI
Il Teatro dell’Opera di Roma ha iniziato il 2024 con una rappresentazione dell’opera Die Zauberflöte (Il flauto magico) di Wolfgang Amadeus Mozart ottenendo un notevole successo da un pubblico convenuto numeroso a tutte le recite e riempiendo l’elegante Sala Costanzi al limite della capienza.
Per lo spettacolo è stato utilizzato un allestimento del 2015 di Damiano Michieletto prodotto per il Teatro La Fenice di Venezia e coprodotto con il Teatro del Maggio Fiorentino di Firenze, affidato per la parte musicale al giovane direttore Michele Spotti. Nell’insieme la rappresentazione ha mostrato qualche perplessità sia per la realizzazione scenico-teatrale sia per la parte prettamente musicale.
Die Zauberflöte è un’opera realizzata con la forma del Singspiel, genere nato in contrapposizione con l’opera di carattere ‘italiano’ e rivolto alla ricerca di un teatro in musica che rispettasse i caratteri ‘nazionali’ del paese al quale era destinata adottando prima di tutto un testo nella lingua in esso parlata. A differenza dell’opera italiana non aveva recitativi musicati ma la successione dell’arie e dei pezzi d’insieme erano intercalati da interventi parlati. Questa diversa forma di teatro lirico ebbe particolare sviluppo nei paesi di lingua tedesca e, quindi, adottata anche da Mozart che ne produsse due importanti esempi, nel 1782 con Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) e, nell’ultimo anno di vita, proprio con Die Zauberflöte che andò in scena il 30 settembre 1791 presso il Theater auf der Wieden di Vienna.
Il Singspiel appartiene a quel filone teatrale che si può concisamente definire teatro popolare soprattutto per la semplicità della parte musicale basata su melodie semplici di stampo originariamente liederistico e con soggetti particolarmente attraenti per il grande pubblico e, soprattutto, di genere fantastico e favolistico. Per i paesi di lingua tedesca il Singspiel assume i connotati di una vera e propria opera nazionale che il genio di Mozart porta ai massimi livelli espressivi creando un modello al quale aderirono anche grandi musicisti come Carl Maria von Weber con capolavori come Der Freischütz (Il franco cacciatore) nel 1821 e Ludwig van Beethoven con Fidelio che nelle varie versioni coprì un periodo compreso tra il 1805 e il 1814.
Questo nuovo stile teatrale ebbe anche delle importanti contaminazioni in altri paesi europei come in Inghilterra con la ballad opera, in Francia con l’opéra-comique e in Spagna con la zarzuela.
La composizione di Die Zauberflöte nacque da un’idea di un eccentrico cantante ed impresario dell’epoca, Emanuel Schikaneder, che era alla ricerca di una nuova forma di teatro per musica che potesse competere con i fasti e la grandezza dell’opera italiana. Schikaneder era all’epoca, siamo nel 1791, direttore del Theater auf der Wieden ed aveva intenzione di produrre un’opera di carattere fiabesco sulla base di un libretto che lui stesso scrisse ispirato ad una fiaba di August Jacob Liebeskind, Lulu oder die Zauberflöte, proponendo a Mozart di musicare il soggetto che prevedeva una azione alla quale partecipavano, accanto ai personaggi principali, diversi altri di carattere buffo per un soggetto che la cui riuscita poteva contrastare l’attività dell’altro teatro, quello della Leopoldstadt, fondato e diretto Karl Edler von Marinelli, e tentare così di risollevare le sorti del Singspiel dalla concorrenza della musica italiana.
Mozart si dichiarò disponibile ed iniziò a musicare l’opera. Ma, qualche tempo dopo, il musicista salisburghese fu costretto ad interrompere il lavoro in quanto impegnato per la composizione de La Clemenza di Tito, impegno per lui irrinunciabile in quanto commissionata per l’incoronazione di Leopoldo II e rappresentata a Praga il 6 settembre del 1791.
In concomitanza con questo avvenimento Schikaneder scoprì che il teatro rivale rappresentò l’opera Kaspar der Fagottist, oder die Zauberzither, musicata da Wenzel Muller su un testo di Joachim Perinet. Quest’opera aveva un soggetto del tutto simile a quanto concepito da Schikaneder. L’artista, però, reagì e con l’aiuto di un altro letterato, Karl Ludwig Giesecke, modificò il libretto intervenendo soprattutto ribaltando le peculiarità di alcuni personaggi, come quello della Regina della Notte che divenne un essere malvagio e Sarastro un sacerdote di Iside, operando anche un cambiamento per lo sfondo della vicenda alle quale diede i caratteri ‘simbolici’ dell’iniziazione massonica.
Questa nuova proposta, quindi, colpì favorevolmente il pubblico dell’epoca e l’opera è oggi considerata una delle più rappresentative di Mozart. Con essa il compositore segnò un taglio netto con le eccellenze raggiunte con opere come quelle della trilogia di Da Ponte, Don Giovanni, Nozze di Figaro e Così fan tutte, considerate dalla critica straordinario punto di arrivo per un teatro di tipo realistico con il quale Mozart, usando un termine del musicologo Massimo Mila, raggiunse ‘la piena maturità teatrale’. Con Die Zauberflöte lo spettatore/ascoltatore entra in un mondo completamente all’opposto dei tre capolavori, dove l’elemento magico e favolistico ne costituisce le solide basi.
Mozart procede su due binari separati ma contigui tra loro, per una ‘dicotomia’ che a prima vista sembra disorientare lo spettatore ma che analizzando a fondo è la forza trascinante dell’opera. Sono due elementi ben distinti. La solennità dell’iniziazione massonica utilizzata con i suoi risvolti simbolici e filosofici e l’elemento favolistico e popolare con le caratteristiche della favola a lieto fine. Ci sono personaggi che simboleggiano il potere: la Königin der Nacht (Regina della notte) protetta dalle sue Drei Damen (Tre Damen) e Sarastro ai quali si contrappongono personaggi dallo spirito popolare, non solo la coppia principale Tamino-Pamina ma anche Papageno e Papagena, certamente tutti spiriti semplici.
Die Zauberflöte fu rappresentata con notevole successo il 30 settembre del 1791 con l’ausilio di diversi cantanti all’epoca molto apprezzati come Anna Gottlieb nel ruolo di Pamina, Maria Josepha Weber Hofer in quello della Regina della Notte e l’eccentrico Emanuel Schikaneder che interpretò Papageno.
Sinteticamente si può mettere in evidenza che la trama, nella quale sono ben presenti contenuti esoterici e massonici, si svolge in un antico Egitto immaginario. Elementi principali sono i riferimenti al giorno e alla notte, un vivo contrasto che pone in primo piano le tenebre come essenza dell’inganno e della superstizione che entrano in conflitto con la luce, simbolo della sapienza, che conduce ad una divergenza tra buoni e malvagi in un rapporto che progressivamente si capovolge a favore dei primi. Poli contrapposti che si materializzano con l’evidente contrasto tra la Regina della Notte e Sarastro, la prima simbolo dell’oscurantismo combattuto dal secondo che incarna la luce e il progresso derivante dal pensiero illuministico.
Tutte queste peculiarità fanno di Die Zauberflöte un’opera bivalente la cui essenza la porta ed essere adatta per pubblici diversi. Per la sua semplicità di base per il pubblico dei più piccoli che trovano in essa il divertente e appassionante evolversi di una favola con tutte le meraviglie e i colpi di scena. Per il lato filosofico è adatta al pubblico adulto e, in special modo, intellettualistico.
La realizzazione scenica di Damiano Michieletto, regista e uomo di teatro che oggi è sulla cresta dell’onda, ha optato per una messa in scena di carattere prettamente intellettualistica. Abbandonando completamente l’elemento magico e favolistico ha immaginato tutta l’azione all’interno di un’aula scolastica, anzi più universitaria che scolastica, di metà ‘900. I personaggi agiscono tutti in questa dimensione: Tamino e Pamina sono due scolari modello eleganti e ben abbigliati. Il bidello è Papageno alle cui sembianze si adatterà alla fine anche la sua Papagena. La Regina della Notte assume le caratteristiche di una isterica insegnante intorno alla quale ruotano le Tre Dame vestite da suore religiose. Monostatos ha i caratteri dello scolaro birichino con l’oratore raffigurato come ‘personaggio su sedia a rotelle’ sembianze ormai inflazionate nelle sciagurate realizzazioni sceniche del teatro lirico ai giorni nostri. Sarastro non poteva che essere un insegnante, forse anche il preside di quella scuola, con i tre genietti vestiti in abiti da muratore.
La realizzazione non prevede l’uso del sipario, soluzione ormai stantia nel significato, che deriva dal convincimento che esso sia elemento inutile nelle rappresentazioni teatrali liriche; una scelta che, però, compromette quell’elemento di sorpresa che lo spettatore prova alla sua apertura solitamente preceduta da una introduzione musicale atta a far comprendere allo spettatore le peculiarità dello spettacolo al quale sta per assistere, sensazioni del tutto annullate quando lo spettatore vede la soluzione scenica al suo ingresso in sala.
La realizzazione è immersa nel grigiore di una aula scolastica che nello sfondo ha una grande lavagna sulla quale sono proiettati elementi simbolici e favolistici propri della trama. Una soluzione questa che, seppur discutibile, è stata realizzata, tecnicamente, con maestria ed efficacia dai collaboratori di Michieletto.
La cosa che più colpisce di letture sceniche come questa è la totale distanza con il testo musicale che, in definitiva, è elemento essenziale per la costituzione dell’opera lirica, soprattutto per un musicista come Mozart raffinato compositore e orchestratore la cui partitura contiene grandi pagine descrittive di situazioni ed ambienti volte a dare spessore all’azione, ai personaggi ed all’ambiante che li contiene, annullando del tutto l’elemento magico e favolistico che costituisce attrattiva principale di questo immenso capolavoro musicale. Ciò dispiace perché, come anche in questa occasione, Michieletto dimostra con la sua regia, qui riprodotta, ma con efficacia, da Andrea Bernard, di saper curare i movimenti scenici dei solisti e dell’insieme. La realizzazione scenica è stata costruita con professionalità e del tutto in linea con l’impostazione registica da Paolo Fantin per le scene, da Carla Teti per i costumi, da Alessandro Carletti per le luci e da Rocafilm per la parte video della quale occorre segnalare l’efficace realizzazione della lavagna scolastica poco prima citata.
Per quanto riguarda la parte musicale l’esecuzione è stata affidata a Michele Spotti, direttore giovane ma in possesso di una notevole esperienza per altro molto apprezzato a livello internazionale la cui direzione, però, non ha consentito all’opera di uscire dal quel grigiore generale che ha caratterizzato questo rappresentazione. Pur evidenziando una estrema cura sia nella parte orchestrale che nella parte vocale e, soprattutto nell’interconnessione tra le due, ci è sembrata una direzione poco incline a mettere in luce colori e timbri della meravigliosa partitura adottando a volte tempi un po’ dilatati che non hanno valorizzato al massimo i momenti più accattivanti dello spettacolo anche se va messo in risalto che tutta l’esecuzione è risultata più intensa con il progredire della recita risultando nel finale decisamente godibile.
Per quanto riguarda la compagnia è emersa la prova del tenore Juan Francisco Gatell un Tamino di grande esperienza dalla voce ben calibrata e, per certi versi suadente. Anche il Papageno di Markus Werba è risultato affascinante grazie all’esperienza di questo interprete soprattutto nei ruoli di questo genere giudizio che si può confermare anche per il Sarastro del basso John Relyea che ha confermato la bellezza della sua vocalità e della sua presenza scenica dimostrata come protagonista del Mefistofele che ha inaugurato la presente stagione lirica romana. Il soprano Emőke Baráth è stata una Pamina che, seppur in possesso di una buona vocalità, ha avuto qualche difficoltà espressiva nel primo atto riscattandosi, anche lei nel secondo in “Ach, ich fühl’s” l’aria del tentato suicidio. L’altro soprano, Aleksandra Olczyk Regina della Notte, pur in possesso della vocalità necessaria per la linea vocale di questo personaggio non è riuscita a dare un adeguato spessore soprattutto riguardo allo scintillio e alla violenza intrinseca del personaggio. Corrette le prestazioni di Zachary Altman L’oratore, Marcello Nardis Monostatos e Caterina Di Tonno deliziosa Papagena.
Del tutto efficaci tutti gli altri, numerosi, personaggi di contorno. Arturo Espinosa Primo Sacerdote / Secondo Armigero, Nicola Straniero Secondo Sacerdote / Primo Armigero. Poi le Tre Dame Ania Jeruc, Valentina Gargano e Adriana Di Paola e i Tre Fanciulli Emma Mcaleese, Chiara Mattucci e Laetitia De Paola.
A completare l’esecuzione c’è stata la convincente prova del Coro del Teatro dell’Opera diretto da Ciro Visco al quale si aggiunge quella della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma e, per concludere, quella dell’Orchestra del Teatro dell’Opera.
La recita alla quale abbiamo assistito è quella del 16 gennaio che si è conclusa con un vistoso successo di pubblico convenuto numeroso per ascoltare questo grande capolavoro dimostrando di uscire completamente soddisfatto da quanto visto e ascoltato.
Claudio LISTANTI Roma 21 Gennaio 2024