Ai Musei capitolini Goya e Caravaggio, quando l’arte riesce a coniugare anche la diversità di linguaggi.

di Nica FIORI

Il Parasole di Goya, in mostra nei Musei Capitolini accanto alla Buona Ventura di Caravaggio

In un paesaggio campestre un giovane regge con garbo un ombrellino verde per riparare dal sole il volto di una giovane donna dall’abbigliamento elegante, seduta sul prato con un ventaglio chiuso nella mano destra e un cagnolino nero accovacciato su di lei. La freschezza del soggetto, i colori vivaci e i riverberi della luce sulla figura della fanciulla contribuiscono a dare a questa scena di vita popolare madrilena un qualcosa di gioioso e di civettuolo che ricorda il rococò francese e veneziano.

Si tratta di El Quitasol (Il Parasole, 1777, olio su tela, cm 104×152), un dipinto di Francisco Goya (1746-1828), che testimonia una fase della sua vita spensierata e piena di aspettative nel futuro, molto lontana dallo stereotipo di pittore maudit, tenebroso e drammaticamente sinistro, che ha contraddistinto l’ultimo periodo del grande artista spagnolo.

1 Francisco de Goya, Il Parasole, 1777, olio su tela, Madrid, Prado

Dal 12 gennaio al 25 febbraio 2024 questo famoso dipinto, che deriva dai cartoni preparatori per l’arazzeria reale di Santa Barbara, è esposto nella Pinacoteca Capitolina. È sufficiente anche una sola opera di un Maestro come Goya per trasmettere conoscenza e nuovi spunti di riflessione ai visitatori dei Musei Capitolini e ciò è tanto più apprezzabile quando si tratta, come in questo caso, di un’opera che è arrivata a Roma un’unica volta nel 2000 (per un’esposizione a Palazzo Barberini) e che il Museo del Prado ha concesso temporaneamente come contro-prestito del dipinto di Guido Reni L’anima beata, ritornato in sede dopo la mostra madrilena dedicata al Reni. Allo stesso tempo Il Parasole colma il vuoto lasciato dal San Giovanni Battista di Caravaggio, attualmente in prestito in Giappone. Ed è proprio un’altra opera caravaggesca dei Musei Capitolini, la Buona Ventura, che gli viene accostata nel progetto espositivo “Goya e Caravaggio: verità e ribellione”, a cura di Federica Papi e Chiara Smeraldi.

2 Federica Papi e il sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce

Il titolo vuole evidenziare come i due geniali artisti abbiano entrambi riprodotto con realismo la società del loro tempo, introducendo importanti novità iconografiche e stilistiche che hanno rivoluzionato la pittura: se Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) può essere considerato il primo pittore moderno, Goya fu invece il primo dei “romantici” e aprì la strada verso l’arte contemporanea.

Nella Buona Ventura di Caravaggio (1597, olio su tela, cm 115×150) i personaggi raffigurati sono un giovane cavaliere e una seducente zingara, tratti dall’osservazione del vero, e pertanto vestiti con abiti contemporanei all’autore. Eseguito nei primi anni romani dell’artista lombardo, il dipinto costituisce uno dei più importanti esempi delle travolgenti novità da lui introdotte in pittura. Si tratta, in effetti, di una scena di genere che si poteva osservare in un qualunque vicolo romano e che con Caravaggio per la prima volta acquista dignità pittorica; è già evidente, inoltre, l’interesse per la luce, perché è proprio partendo dalla luce naturale che egli costruisce forme e volumi in uno spazio indefinito. Il dipinto, oltre a raffigurare il vero, cela anche un altro significato, un’allegoria morale che rispecchia il clima controriformistico del tempo. La zingara, infatti, con il pretesto di predire il futuro all’ingenuo cavaliere, gli prende la mano e gli sfila abilmente l’anello dall’anulare destro: un chiaro monito a non farsi ingannare dall’apparenza delle cose né a cedere alla seduzione dei falsi profeti.

Appartenuta in origine al cardinale Francesco Maria del Monte, dopo alcuni passaggi di proprietà la tela entrò a far parte della Galleria dei Quadri, fondata sul Campidoglio da papa Benedetto XIV nel 1748.

3 Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona Ventura, olio su tela 1597, Musei Capitolini

In entrambe le opere del progetto espositivo un uomo e una donna riempiono la scena e questo potrebbe essere un primo punto di contatto, pur trattandosi di dipinti cronologicamente e stilisticamente lontani (180 anni di divario). I due capolavori, inoltre, appartengono al periodo giovanile degli artisti, ben diverso dalla drammaticità che avrebbe poi contrassegnato le loro esistenze, ed entrambi descrivono con “verità” una scena di vita quotidiana della società a loro contemporanea. Se nella tela di Caravaggio si coglie un significato morale, nel quadro di Goya una chiave di lettura allegorica potrebbe essere quella della “Vanitas”, in quanto la gioia di vivere giovanile è destinata a sparire, così come le foglie dei rami dell’albero sullo sfondo, che cadono sotto le sferzate del vento. Si vedono già i segni della ribellione di questi eccelsi artisti nei confronti dei condizionamenti imposti dalle regole accademiche del tempo (Caravaggio dipinge direttamente sulla tela, come pure Goya, che nel Parasole lascia in parte a vista la preparazione), preannunciando ognuno con il suo stile il passaggio a una nuova epoca. Inoltre, come ha ricordato Federica Papi nel corso della presentazione, quando Goya venne a Roma, frequentò la Scuola del nudo, che si teneva in Campidoglio in una sala al piano terra sotto la Pinacoteca Capitolina, e con tutta probabilità avrà dato uno sguardo anche al dipinto di Caravaggio, che all’epoca si trovava già nella quadreria.

Ma certamente Il Parasole ricorda molto nei colori e nella luce la pittura di Giambattista Tiepolo, il pittore veneziano che in quegli anni lavorava alla corte reale di Madrid, insieme al boemo Anton Raphael Mengs. A Madrid Goya, nato a Fuendetodos (un villaggio presso Saragozza), si trasferì diciottenne, iniziando a lavorare nello studio di Francisco Bayeu, del quale avrebbe poi sposato la sorella. Dopo aver tentato, senza successo, di accedere alla madrilena Accademia di San Fernando, nel 1770 compì un viaggio d’istruzione in Italia, e proprio qui ebbe il primo successo in un concorso di pittura organizzato dall’Accademia di Parma. Nel 1771 ritornò in Spagna e nel 1775 cominciò a lavorare per la manifattura di arazzi di Santa Barbara, prima sotto la direzione di Mengs e poi del cognato Bayeu. Gli arazzi erano destinati a decorare il Palazzo di San Lorenzo all’Escorial e successivamente il Palazzo reale del Pardo. Quest’attività andò avanti fino al 1792, pertanto i “cartoni” degli arazzi rappresentano un insieme molto importante nella produzione artistica di Goya. Se i primi risentivano dei limiti tracciati dai suoi committenti nell’ambito di un’opera che potremmo definire collettiva, in seguito egli si distinse dagli altri elaborando, sotto l’apparenza frivola dei soggetti raffigurati, un suo stile e una tecnica ineguagliabili. E Il Parasole, insieme a L’altalena, La vendemmia, Il fantoccio, I giocatori di carte e altre scene di vita popolare, rientra in queste deliziose composizioni dove è evidente una caratterizzazione tipologica ed espressiva dei personaggi e un’intensa vibrazione delle macchie di colore dei costumi spagnoli. In virtù della fama acquisita con gli arazzi, nel 1780 divenne membro dell’Accademia di San Fernando e cinque anni dopo vicedirettore di pittura. Nel 1789 divenne uno dei pittori di corte e si dedicò all’esecuzione di ritratti e di composizioni di fantasia, ma nel 1792 una malattia gravissima gli causò una paralisi temporanea e lo rese completamente sordo.

4 Autoritratto di Francisco Goya,1815, Madrid, Prado

Questo terribile periodo diede vita a nuove tematiche dai toni visionari e inquietanti, tra cui scene di stregoneria e la serie dei Capricci (1799), 80 incisioni satiriche che testimoniano le superstizioni, i vizi e gli abusi della società spagnola. L’incisione più nota (frontespizio dei Capricci) è Il sonno della ragione genera mostri (1797-98), nella quale appare evidente la fede illuminista del pittore nel valore della ragione, insidiata dall’oscurantismo e dalla barbarie (ricordiamo, tra le altre vicende della vita di Goya, che egli subì un processo nel 1815 davanti al tribunale dell’Inquisizione per aver dipinto un quadro ritenuto “osceno e immorale” come La Maja desnuda).

In seguito, la rivoluzione francese e gli orrori della guerra, che sconvolsero la Spagna a partire dal 1808, risvegliarono nell’artista echi di indicibile sofferenza. Una seconda grave malattia nel 1819 fu seguita da una crisi mistica e dal ritiro in campagna nella “Quinta del sordo”, dove presero forma le allucinate visioni delle sue “pitture nere”. Nel 1824, nonostante la sordità e la vecchiaia, egli lasciò la Spagna per stabilirsi a Bordeaux, dove morì quattro anni dopo all’età di 82 anni.

Di un artista come Goya, dotato di grande forza creativa (si conoscono circa 500 dipinti, un migliaio di disegni e centinaia di acqueforti e litografie), è impossibile racchiudere in una definizione la sua immensa opera pittorica che riflette le molteplici vicende storiche e personali di un’epoca di grandi sconvolgimenti, ma potremmo forse dire che egli sperimentò una rivoluzione della pittura in sintonia con la complessità storica che si trovò a vivere, senza fermarsi davanti alle tragedie e trovando in esse sempre nuovi sorprendenti stimoli, evidenziando anche il lato più oscuro e violento della natura umana.

Nica FIORI  Roma 21 Gennaio 2024

“Goya e Caravaggio: verità e ribellione”

Musei Capitolini – Palazzo dei Conservatori – Pinacoteca – Sala Santa Petronilla

Piazza del Campidoglio, 1

Orario: tutti i giorni 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima).

L’accesso è consentito ai visitatori dei Musei Capitolini.

Ingresso gratuito con la MIC Card.

Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)

www.museicapitolini.org; www.museiincomuneroma.it