di Rita RANDOLFI
L’umano oltre la storia di Stefano Piali
Quando sono entrata negli splendidi ambienti, affollatissimi, del secondo piano delle scuderie Aldobrandini di Frascati, dove sabato 3 febbraio si è inaugurata la mostra L’umano oltre la storia sono rimasta incantata dalla forza che le opere comunicano.
Stefano Piali è un artista complesso, come lo definisce Ida Mitrano, che ha curato il catalogo dell’esposizione, ma anche estremamente colto e profondo. I suoi dipinti, su tela su tavola, così come le sculture, in marmo, ceramica, bronzo, oltre a dimostrare la versatilità e la padronanza delle diverse tecniche da parte dell’autore, presuppongono un dialogo con il fruitore, invitato a osservare, riflettere, rispondere. Infatti dopo un piacevole stordimento iniziale, dovuto alla impattante bellezza che le immagini evocano, una lettura più attenta rivela dettagli, sfumature che rinviano ad una dimensione più intima, che oserei definire trascendentale.
É come se l’artista prendesse per mano l’osservatore e lo accompagnasse in un viaggio che non è soltanto un percorso in cui si svela, ma è un itinerario nel quale ciascuno può riconoscersi.
Piali rappresenta la vita, la dimensione umana, che invece di essere considerata unicamente come fragilità, (quante volte ci ripetiamo la frase latina “Errare umanun est”, per giustificare i nostri sbagli?), è al contrario concepita come grandezza. I corpi dei modelli sembrano statue greche, sono perfetti, muscolosi, atletici come quelli di Michelangelo, talvolta citato quasi in maniera letterale, ma la citazione non è mai fine a se stessa. Piali, infatti, ne recupera il significato troppo spesso caduto nell’oblio: il corpo umano è bello perché creato a immagine e somiglianza di Dio.
Ma l’uomo dotato di intelligenza e libertà, spesso si allontana dalle proprie origini, dimentica la sua provenienza, misconosce la propria identità, si piega, rinuncia volontariamente a quella scintilla divina che è dentro di lui e scivola più o meno velocemente verso il baratro.
Ma come dichiara il titolo di un’opera Dopo la caduta …il volo, i personaggi, pur precipitando e talvolta scontrandosi bruscamente con il terreno, sono misteriosamente attratti da una luce, un’energia ascensionale che non solo cerca di frenare il “folle volo” ma tenta di restituire quella scintilla divina perduta.
L’artista rappresenta il combattimento interiore di ogni essere umano, ogni suo personaggio è costituito da un volto definito nei contorni e da uno sfumato, dall’espressione assorta, come se ciascuno di noi avesse due facce, una impulsiva, l’altra riflessiva, una attratta dalle cose mondane, l’altra da quelle spirituali, un dualismo che lacera l’anima. Le linee oblique, gli improvvisi squarci di luce, i colori caldi e freddi accentuano questa volontà di ribellarsi, questo attaccamento ancestrale alla vita. Anche le pose con le gambe atteggiate quasi volessero scavalcare un ostacolo come in Conversione sembrano ricordare il cosiddetto Bacchino malato di Caravaggio, o le Resurrezioni in cui Gesù abbandona il sepolcro proprio ricordando quel gesto.
In Scudo di guerra Piali gioca con il formato tondo della tavola graffiata ed il soggetto raffigurato, un uomo che fugge dalla guerra protendendo la mano per proteggere la sua compagna.
Sullo sfondo cavalli imbizzarriti e statue oppure sagome fluttuanti di coloro che hanno perso la vita? La tavola è graffiata, come l’umanità stessa, ferita dalla violenza e dalla guerra. In Esodo Piali divide la storia in due tavole, la prima un omaggio a Virgilio e iconograficamente parlando a Raffaello delle Stanze o a Bernini della Borghese, dove si vede un uomo maturo, Enea? che fugge portandosi un vecchio sulle spalle, ma il profilo del corpo dell’anziano prosegue nella seconda tavola dove sullo sfondo si individuano persone che, guidate da un angelo, camminano verso un altrove. Esodo è infatti abbandonare una situazione disperata alla ricerca di una migliore. Anche qui, dunque, una sorta di rinascita.
Nelle sculture il linguaggio diviene ancora più immediato. Il riferimento è ancora il Michelangelo dei Prigioni, del non finito, ma è la fatica che la materia compie nel liberarsi da sé stessa il punto di partenza. In Grande ala lo spiraglio di speranza si concretizza in uno sguardo rivolto verso il cielo, in un’ala che si libra nell’aria. Spesso i corpi, come anche nei dipinti, sono avvolti da enormi e ingombranti lenzuoli, e vengono colpiti da chiodi. Lenzuola e chiodi richiamano la Passione di Cristo. Le sofferenze, le malattie, infliggono ferite, ma non la morte. C’è sempre una possibilità. Tutta l’opera del maestro si fonda sul dualismo luce-ombra, morte vita. Persino la statua in marmo bianco con Madonna e bambino, che dovrebbe inneggiare alla maternità, alla nascita presenta il corpo del piccolo Gesù esanime, completamente abbandonato su quello della madre, che diventa contemporaneamente offerta e sepolcro.
I simboli, le pose plastiche delle figure, dai contorni definiti o sfocati, l’impaginato scenografico, la contrapposizione tra la materia scabra e rifinita, le screpolature della terracotta o le incisioni più o meno profonde sulle tavole, i chiodi diventano nelle mani di Piali strumenti preziosi per esprimere un desiderio, che diventa un grido di speranza quanto mai attuale, recuperare la bellezza, salvare l’uomo.
L’arte dunque assume un ruolo importante nella società, provoca delle domande, diventa meditazione, si fa veicolo di salvezza, è il mezzo per eccellenza attraverso il quale l’animo umano si eleva e riconquista una dimensione spirituale, quella che gli permette di attraversare la propria debolezza per far emergere l’amore, la solidarietà, il perdono, perché è questo che ci rende umani, oltre la storia.
La mostra resterà aperta fino al 25 febbraio 2024 dal martedì al giovedì dalle 15 alle 18, dal venerdì alla domenica dalle 10 alle 19.
Rita RANDOLFI Roma 11 Febbraio 2024