di Claudio LISTANTI
Salome di Richard Strauss è una delle opere più conosciute del grande musicista bavarese, un’opera che ha conquistato la sua popolarità grazie ad un soggetto, per certi versi, spregiudicato per i suoi contenuti erotici e sensuali oltre che estremamente drammatici, elementi che richiamano l’attenzione di un pubblico sempre vasto visibilmente attratto da quanto avviene in scena. Anche per questa riproposta di uno dei capolavori indiscussi del ‘900 che il Teatro dell’Opera di Roma, dopo diciassette anni di assenza, ha inserito nel cartellone della stagione lirica in atto, il pubblico ha risposto numeroso affollando la splendida Sala Costanzi dimostrando di essere interessato dalla proposta.
Nella produzione operistica straussiana Salome giunge nel 1905 dopo che il compositore aveva acquisito una più che cospicua esperienza nel campo della musica sinfonica per la quale aveva già dato al mondo quei capolavori che sono i poemi sinfonici come Morte e Trasfigurazione op. 24 nel 1889, I tiri burloni di Till Eulenspiegel op. 28 nel 1895, Così parlò Zarathustra op. 30 nel 1896) e Don Chisciotte op. 35 nel 1897. Se si aggiunge che prima di Salome, Strauss aveva prodotto una cospicua mole di composizioni di musica cameristica con pagine entusiasmanti come, ma solo per esempio, i due Quartetti per archi op. 2 e op.13, rispettivamente del 1880 e del 1884 e la Sonata per violino op.18 del 1888, si comprende con quale bagaglio musicale di base egli fosse giunto alla composizione di Salome.
Richard Strauss pensò a Salome già nel 1902 quando l’11 novembre a Berlino presso il Kleines Theater di Max Reinhard assisté ad una rappresentazione di Salomè di Oscar Wilde, la tragedia che il drammaturgo irlandese scrisse in lingua francese conseguenza dell’ostracismo riservato al dramma da parte delle autorità inglesi per i contenuti del testo che contrastavano con il puritanesimo di stampo britannico. Dopo varie vicissitudini dovute anche al fatto che l’attrice Sarah Bernhardt, per la quale era stato creato il personaggio, si rifiutò di recitare la prima fu ebbe luogo a Parigi l’11 febbraio 1896 presso il Théâtre de l’Œuvre.
La tragedia è ispirata alla figura di Salomè, figlia di Erodiade, personaggio di origine biblica che, citata (ma non espressamente per nome) nei Vangeli di Marco e Matteo, spinse Erode ad ordinare la decapitazione del profeta San Giovanni Battista (Jochanaan). In Wilde però la figura della protagonista diviene più complessa ed eccentrica ed agisce non per vendicare la madre Erodiade che fu dileggiata e offesa da Jochanaan, ma spinta da un amore viscerale per il profeta in una storia morbosa che si sviluppa tra amore, incesto e sensualità eccessiva ed enfatica. Strauss già conosceva il testo grazie ad una riduzione del poeta Anton Lindner che spinse fortemente il musicista ad assistere a questa recita. Fu proprio questa occasione a convincere Strauss a metterla in musica optando, però, non per il testo originale di Wilde, ma per la traduzione tedesca della scrittrice Hedwig Lachmann che fu alla base di questa recita berlinese.
Con questa operazione Strauss crea uno dei più limpidi casi di opera nata direttamente da un testo letterario, in pratica saltando la consuetudine del libretto evitando così tutti quegli adattamenti, inserimenti e cambiamenti caratteristiche della redazione di ogni libretto per musica.
A Salome Strauss dedicò una partitura veramente brillante, basata su una solida e corposa orchestrazione, utilizzando un canto asciutto ed espressivo volto a realizzare un recitativo concreto ed avvincente che si fonde alla grande con la parte musicale ottenendo così un corpus unico, monolitico, ma di grande efficacia drammatica. In esso si ravvisa con una certa facilità l’insegnamento di Wagner per l’utilizzo capillare del leitmotiv che rende fluida l’azione e che qui viene introdotto anche tramite micro cellule musicali che si insinuano efficacemente nel tessuto connettivo dell’opera. Il tutto arricchito da un sopraffino stile orchestrale che si evidenzia stilisticamente con l’utilizzo dei legni, degli archi e delle percussioni fino a produrre chiare anticipazioni di ciò che sarà l’espressionismo in musica del primo quarto del ‘900 che tramite l’esperienza della Scuola di Vienna permise di giungere più avanti alla dodecafonia.
Salome di Strauss fu rappresentata con successo il 9 dicembre 1905 alla Königliches Opernhaus di Dresda, sotto la direzione di Ernst von Schuch con Marie Wittich nella parte della protagonista. Questa prima assoluta destò grande clamore soprattutto per la particolarità del soggetto ma anche per le soluzioni musicali adottati da Strauss. Fu poi rappresentata in diverse città della Germania ma nella cattolica Vienna trovò un notevole avversione tanto è vero che il capolavoro di Strauss approdò nella città austriaca solamente nel 1918. La prima esecuzione austriaca si tenne, quindi, a Graz e ad essa partecipò il pubblico delle grandi occasioni. Tra gli spettatori infatti ci furono i coniugi Mahler, il nostro Puccini ma anche i musicisti Zemlinsky, Schönberg e Berg come pure la vedova di Johann Strauss figlio.
Per questa serie di recite odierne del Teatro dell’Opera è stato scelto di utilizzare un allestimento del Teatro dell’Opera di Francoforte del regista australiano Barrie Kosky affidando la direzione d’orchestra al tedesco Mark Albrecht con il contributo di una valida compagnia di canto.
Come sempre iniziamo la disamina dalla parte visiva. Kosky ha concepito una realizzazione scenica per una volta lontana dalle astruserie registiche che affliggono oggi il mondo dell’opera. Ha puntato tutto su una realizzazione del tutto essenziale completamente mancante di un vero impianto scenico e quindi di una specifica ambientazione. Nel complesso possiamo senz’altro dire che è stata una soluzione che certamente suggestionava lo spettatore in quanto tutto era immerso nella notte e nell’oscurità mentre un cono di luce, simboleggiante il chiarore dei raggi lunari, illuminava in maniera del tutto efficace gli interpreti al momento impegnati offrendoci momenti, anche se rari, di fascino e bellezza.
I riferimenti biblici, comunque presenti nel testo, sono stati completamente accantonati a favore di una scarna evidenziazione di quanto avviene nello svolgimento teatrale. A volte i personaggi secondari non erano visibili perché inghiotti nel buio cosa che ha reso problematica anche la comprensione dell’insieme. Salome è stata rappresentata come una adolescente capricciosa e disobbediente del tutto priva di quella sensualità e di quella carica erotica che ha contraddistinto, e ancora contraddistingue, questo personaggio, senza dubbio emblematico nella storia del teatro lirico.
Purtroppo queste scelte che, ripetiamo, certamente valide e per certi versi condivisibili, come accade spesso oggigiorno nel teatro d’opera non tengono in considerazione che c’è l’elemento musicale che per questo genere di teatro risulta spietatamente determinante. Come ad esempio nella famosa ‘Danza dei sette veli’ basata sul ritmo vorticoso e colori sgargianti, elemento fondamentale per quest’opera perché pone in evidenza la sensualità e l’erotismo che diviene quasi ‘orgiastico’ per lo splendore dell’orchestrazione e per quel debordante senso della danza che lo caratterizza.
Qui Kosky ha lasciato Salome immobile sulla scena mentre seduta estraeva dalla vagina una lunga e interminabile ciocca di capelli; un omaggio, immaginiamo, al simbolismo dei capelli di Jochanaan che stimolavano le sensazioni erotiche di Salome. Una scena che oltre ad essere di cattivo gusto era di una incomprensibile staticità di fronte alla parallela parte musicale così piena di brio e di movimento sfrenato.
Meglio la scena finale, il monologo di Salome di fronte alla visione della testa mozzata dl profeta che con semplicità e anche con una certa evidente teatralità di base riusciva a descrivere agli spettatori l’essenza del dramma che si è consumato.
Per la parte visiva la realizzazione di Barrie Kosky, la cui regia era qui ripresa da Tamara Heimbrock, ha avuto degli ottimi collaboratori che ne hanno valorizzato l’nterpretazione. Nello specifico Katrin Lea Tag per scene e costumi, soprattutto quelli di Salome per la quale il regista ne ha immaginati di diversi tipi a seconda dei vari stati d’animo del personaggio con le luci di Joachim Klein che integravano con efficacia questa scelta registica del dramma.
Per quanto riguarda la compagnia di canto è risultata felicemente convincente. La parte della protagonista è stata affidata al soprano Lise Lindström cantante molto esperta per i ruoli straussiani in genere ed in particolare per Salome per la quale ha dimostrato di realizzare la difficile e complicata parte vocale con tranquillità, sostenuta dalla indubbia esperienza maturata in carriera pur trovandosi a volte in palese difficoltà per alcune scelte registiche che limitavano la peculiarità del personaggio mentre, nella scena finale, ha mostrato carattere e intensità drammatica. Di grande rilievo lo Jochanaan del basso-baritono Nicholas Brownlee che ha saputo rendere il personaggio credibile ed incisivo per una parte che solo apparentemente può sembrare secondaria mentre, scenicamente e, di conseguenza, vocalmente risulta importantissima. Nella parte di Erode il tenore John Daszak è apparso senza dubbio a suo agio nel rendere il personaggio costruito da Kosky anche se a volte poco incisivo. La Erodiade del mezzosoprano Katarina Dalayman, anch’essa di valida presenza scenica, ha mostrato una voce forse un po’ opaca per il personaggio. Di particolare effetto il Narraboth del tenore Joel Prieto anche dal punto di vista scenico.
Nelle altre parti tutti gli interpreti hanno dato il loro valido contributo alla riuscita della recita ad iniziare dai cinque giudei Michael J. Scott, Christopher Lemmings, Marcello Nardis, Eduardo Niave, proveniente dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program dell’Opera di Roma – ed Edwin Kaye, i due nazareni Nicola Straniero, anche lui di “Fabbrica” Young Artist Program e Zachary Altman, che ha interpretato anche uno dei due soldati insieme ad Edwin Kaye. Poi Karina Kherunts Un paggio di Erodiade, Alessandro Guerzoni Un uomo di Cappadocia e Giuseppe Ruggiero Uno schiavo.
Per quanto riguarda la direzione d’orchestra il tedesco Marc Albrecht ha fornito una prova del tutto convincente. Musicista particolarmente esperto nel repertorio tardo-romantico nel quale Wagner e Strauss ne sono i punti fondamentali. E grazie a questa esperienza e alla preziosa collaborazione dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma è riuscito a regalarci una interpretazione vibrante ed omogenea volta a porre in evidenza la splendida partitura straussiana esaltandone tutti i suoi colori, i suoi timbri e i suoi ritmi per arrivare in maniera efficace, anche grazie al contributo di una più che valida compagnia di canto, all’essenza di questo straordinario dramma in musica emerso anche oggi con forza nonostante alcune discutibili scelte registiche come poco prima evidenziato.
La recita alla quale abbiamo assistito è quella del 12 marzo che si è conclusa con lunghi e convinti applausi da parte del numerosissimo convenuto a teatro visibilmente soddisfatto per quanto ascoltato.
Claudio LISTANTI Roma 17 Marzo 2024