di Vitaliano TIBERIA
Addio a Giuliano Vangi
Con la scomparsa di Giuliano Vangi, avvenuta ieri a Pesaro a novantatre anni, si chiude una pagina gloriosa della scultura mondiale.
Vangi, nato a Barberino del Mugello (Firenze) il 13 marzo 1931, ha ricapitolato criticamente l’arte italiana, prendendo le mosse per le sue moderne interpretazioni dalla grande scultura toscana, Nicola e Giovanni Pisano, Donatello, Verrocchio, Michelangelo, per approdare a moderne espressioni figurative di intensa vena drammatica strutturata in potenti forme plastiche sulla soglia del trascendente. Esemplare in tal senso resta il monumentale crocefisso richiestogli dall’architetto Mario Botta, una scultura cui avrebbero fatto corona dei giganteschi pannelli dipinti, per decorare la grande chiesa di Namyand a Seoul, in Corea del sud, che Botta stava costruendo. Vangi accolse con entusiasmo questa idea, che univa idealmente nel segno di Gesù Cristo oriente e occidente; nacque così una scultura di Cristo in forma classica sospesa dall’alto e disposta in una monumentale ed avvolgente struttura figurativa costituita di pannelli di tre metri di altezza per dieci metri di lunghezza, per un totale di quaranta metri, inserita in una spazialità ecclesiastica amplissima. Vangi in quest’occasione non costruì figure esemplari di fantasia, ma volle attualizzare la narrazione ispirata ad episodi del Vangelo, inserendovi i volti di suoi familiari, del parroco della chiesa e di Mario Botta, perfettamente in evidenza per la sua fluente capigliatura bianca.
In un’epoca densa di sperimentalismi estetici e di ricorrenti riprese avanguardistiche aliene dai dati reali e dai referti mitologici ma dotate di intense introspezioni psicologiche e affermazioni ideologiche anche in contrasto con i dati logici e a ridosso di quelle neometafisiche laiche che contrariavano, come patologie linguistiche, Ludwig Wittgenstein, Vangi ha coniugato con chiarezza, sensibilità spirituale e intelligenza formale, come nel caso del Cristo di Namyand, le sue opere di soggetto religioso; queste, infatti, non sono il frutto di spericolate fughe in avanti ma hanno evocato, secondo un’ermeneutica moderna e comprensibile, epifanie religiose intrise di sacralità e di spiritualità laica; caratteristiche che valsero a Vangi la stima di S. Giovanni Paolo II e di un altro grande della scultura contemporanea, Tito Amodei, in arte Tito.
Giuliano Vangi aveva studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze, per poi insegnare a Pesaro, la sua città di elezione per tutta la vita e dove avrebbe lasciato segni imperituri di un’arte che, quando produceva soggetti sacri, lo faceva senza infrangere arbitrariamente la tradizione per fondare le famigerate “nuove grammatiche dell’arte”, incomprensibili ai fedeli e conflittuali con i sacri misteri se inserite in contesti ecclesiastici; le opere di Vangi avvicinavano o, meglio, comunicavano con affetto i misteri della fede cristiana, anche quelli esistenzialmente più drammatici, come è soprattutto, la Crocefissione.
L’arte di Vangi ha avuto prestigiosi riconoscimenti con la sua cooptazione in Istituzioni come l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, l’Accademia di San Luca e la Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon; in quest’ultimo Sodalizio Vangi fu cooptato nel 1986, l’anno in cui vi entrarono illustri suoi colleghi scultori, come Venancio Blanco, Arturo Carmassi, Vincenzo Gaetaniello, Augusto Perez, Ernesto Lamagna, Bruno Liberatore, ma anche pittori come Piero Dorazio, architetti come Gae Aulenti, Oscar Niemeyer, James Stirling, Kenzo Tange, Gino Valle, musicisti come Goffredo Petrassi, Luciano Pavarotti, Renata Tebaldi, Wolfgang Sawallisch: insomma, la stella di Giuliano Vangi entrò a far parte di un firmamento di costellazioni dell’arte, cui la Santa Sede volle apoditticamente tributare un ecumenico riconoscimento estetico.
La fama di Giuliano Vangi, artista intensamente evocativo, creatore di forme belle all’antica e viventi di palpitante umanità contemporanea, gli ha procurato l’ammirazione del mondo laico ed ecclesiastico ad ogni latitudine, culminata nell’ambìto riconoscimento della dedica di un museo personale in Giappone, mentre le sue opere si possono ammirare in vari contesti civili e religiosi: a Roma, a Firenze, a Pisa, a Siena, a San Giovanni Rotondo, dove ha lavorato con Renzo Piano per la chiesa dedicata a San Pio da Pietrelcina; infine a Pesaro, sua amata città d’elezione, in cui ha lasciato la splendida Scultura della memoria, supremo, universale e futuribile anelito di libertà, e dove si è addormentato cullato dal gridìo dei suoi amati gabbiani volteggianti sul mare, gioiose figure alate, le quali, come egli stesso ricordava, ti danno il senso della libertà quando li vedi librarsi in cielo.
Addio, Giuliano Vangi, grande Maestro di scultura, che, sottovoce, con rara sensibilità e coerente magistero estetico, hai auspicato la riconciliazione fra l’uomo e la natura.
Roma Giovedì santo 2024.
Vitaliano TIBERIA, Presidente Emerito, MPontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon