di Claudia RENZI
UN ANGELO A QUATTRO MANI: IL CASO DELL’ANGELO DI BERNATE TICINO
Nella chiesa di San Giorgio a Bernate Ticino (Mi) è custodito un dipinto di Simone Peterzano raffigurante la Deposizione di Cristo, datato 1584-5 ca [1] (Fig. 1), commissionato da don Desiderio Tirone, canonico di San Giorgio, nel 1584, stesso anno in cui il dodicenne Michelangelo Merisi entrò nella bottega del maestro in Milano [2], sua città natale[3].
Il dipinto raffigura la Deposizione di Cristo alla presenza di tre sole figure: la Vergine affranta, invecchiata, quasi pietrificata dal dolore, avvolta nel caratteristico manto azzurro; un angelo biondo e riccioluto che sorregge il corpo del Salvatore, e il committente, in scala leggermente inferiore e dal colorito più vivido rispetto agli altri tre personaggi, ritratto nel privilegio di reggere un lembo del Santo Sudario. Il sepolcro è una scenografia di rocce e arbusti, dal cui ingresso si intravede un paesaggio: le figure possono essere ascritte in una struttura piramidale il cui apice coincide con il frutice carico di foglie, chiara allusione alla Resurrezione. I toni sono prevalentemente freddi, spicca tuttavia il rosa vivace della veste dell’angelo, rimando a quella della Madonna.
Proprio attorno alla figura dell’angelo, da qualche tempo, è ripresa la discussione circa la già ventilata ipotesi di una partecipazione attiva del giovanissimo allievo di Peterzano alla sua realizzazione. Tra i più accesi sostenitori della presunta autografia caravaggesca, il professore e restauratore Carmelo Lo Sardo, che ha lavorato sul dipinto nel 2012 [4], e che lo scorso anno ha riproposto la questione durante una giornata di studi dedicata svoltasi in loco [5].
In tale occasione Lo Sardo ha rilevato:
“Nell’opera […] non c’è solo la mano del Peterzano, che ha dipinto con certezza il Cristo morto e il ritratto di don Desiderio Tirone: l’angelo che sorregge pietosamente la figura del Cristo è stilisticamente differente dagli altri personaggi”.
È realmente possibile che il dodicenne Michelangelo abbia eseguito in piena autonomia la figura dell’angelo nella Deposizione di Bernate? Innanzi tutto, cosa faceva un apprendista nella bottega di un magister pittore nel Cinquecento?
Dovendo formare un futuro professionista, il giovane pagante allievo veniva istruito, nell’arco dei quattro anni minimi di apprendistato, su tutte le tecniche che avrebbero fatto di lui un maestro rifinito a sua volta: affresco, pittura a tempera e/o a olio, modellazione della creta, oreficeria, ecc., a cominciare dalla regola di base imprescindibile per tutte queste discipline: il disegno.
In genere gli allievi iniziavano il loro iter formativo copiando i disegni del maestro già di repertorio in bottega, riuniti spesso in album definiti “libri di modelli”[6]; contemporaneamente (specialmente gli ultimi arrivati) erano messi ad assistere il maestro negli aspetti più pratici del lavoro, quali macinare i colori, preparare le mestiche, pulire i pennelli, ecc. Soltanto ad un certo punto, che poteva variare a seconda delle capacità dell’allievo, il maestro si sarebbe fidato abbastanza da permettergli di partecipare alla realizzazione di un’opera commissionata, partendo comprensibilmente da dettagli minori per affidargli via via, in caso, porzioni più ampie e significative. Insomma, la prudenza di un maestro, che aveva tutto sommato una reputazione da difendere, è più che comprensibile in questa fase: come non ricordare che lo stesso Caravaggio una volta approdato nella bottega di Giuseppe Cesari a Roma, pur essendo ormai adulto e formato, ha dovuto comunque rifare la gavetta sfornando dapprima soltanto fiori e frutti?[8]
Secondo Lo Sardo l’angelo di Bernate (Fig. 2) avrebbe le
“caratteristiche tipiche di una mano esordiente ma geniale nella resa aggraziata del movimento e sensibile al colore. Costituisce il germe di un modello stilistico e cromatico che si perfezionerà nelle luminose opere giovanili del Merisi”.
La commessa a un maestro, un angelo dipinto da un geniale allievo… Il presupposto richiama subito alla memoria l’arcinoto l’episodio del contributo leonardesco al Battesimo di Cristo del maestro Verrocchio (1475-8 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi – Fig. 3)
secondo cui Leonardo, eseguendo su ordine di Andrea uno dei due angeli presenti (quello all’estrema sx – Fig. 4) avrebbe addirittura, stando a Vasari, indotto il maestro a mollare per sempre i pennelli:
“Et in quest’opera aiutandogli Lionardo da Vinci allora giovanetto e suo discepolo, vi colorì un angelo di sua mano il quale era molto meglio che l’altre cose; il che fu cagione che Andrea si risolvette a non volere toccare più pennelli, poiché Lionardo così giovanetto in quell’arte si era portato molto meglio di lui”[9].
L’autografia leonardesca dell’angelo nel Battesimo di Cristo verrocchiesco è palesata dalla diversa resa del soggetto rispetto alla linea un po’ rigida di Verrocchio, e c’è anche un disegno a darne conferma[10], ma va tenuto conto, se si vuol fare un confronto con l’angelo di Bernate presunto caravaggesco, che Leonardo all’epoca del suo contributo nel dipinto del maestro aveva vent’anni suonati, non era un (seppur dotato) ragazzino di 12; aveva cioè avuto tutto il tempo di coltivare quell’inclinazione naturale al disegno che lo aveva contraddistinto sin dall’infanzia a Vinci.
Che un allievo mettesse mano, a un dato momento, a un’opera del proprio maestro è dunque del tutto in linea con la pratica di bottega, ma si può davvero ritenere che Peterzano abbia affidato al dodicenne Michelangelo l’intera un’intera figura dell’angelo presente nella Deposizione di Cristo in San Giorgio a Bernate Ticino?
In realtà non si può essere categorici: Michelangelo può avervi contribuito colorando la sagoma tracciata dal maestro, com’era nella prassi dell’apprendistato, ma sotto la supervisione di quest’ultimo e comunque, vista l’età e l’oggettiva inesperienza della pratica pittorica, insieme a lui, a quattro mani: nel caso in esame è più probabile in conclusione che Peterzano abbia impostato l’opera, riportando il cartone sulla mestica e abbia, soltanto a quel punto, forse, concesso all’allievo di collaborare.
Sarebbe stato d’altro canto quantomeno insolito che Peterzano affidasse a un ragazzino, per di più principiante, un’intera figura: quando avrebbe appreso Michelangelo a dosare colori, a gestire anatomia e panneggi, ecc., se era arrivato da pochi mesi (aprile 1584) e gli era stato dato compito, com’era uso, di iniziare a impratichirsi con i dettagli secondari nei quali, insomma, se avesse combinato disastri, il maestro avrebbe potuto tranquillamente ovviare (in caso di errori, come si sa, l’olio permette correzioni)?
È piuttosto possibile, invece, riconoscere la mano di Peterzano nella figura angelica della Deposizione di Bernate Ticino?
Peterzano ha un modo peculiare di raffigurare i volti; uomini o donne, angeli o plebei, i suoi visi hanno tutti un’“impronta” comune; presentano insomma quel ductus individuale che costituisce il marchio caratteristico di ogni pittore. Accostando in un rudimentale collage fotografico i volti dell’angelo e di Gesù della Deposizione di Bernate Ticino, per verificare se il disegno di partenza dei volti sia di mano di Simone o di altri, emerge una pressoché totale coincidenza dei tratti somatici caratteristici dei volti, o meglio del modo dell’autore di tracciarne i contorni: ad esempio le orbite oculari sono tanto fondamentalmente simili che pare comporsi un unico volto (Fig. 5); per cui se “Peterzano […] ha dipinto con certezza il Cristo morto” se ne conclude che i volti di Cristo e dell’angelo della Deposizione di Cristo in San Giorgio a Bernate Ticino li ha disegnati la stessa persona, e quella persona è Simone Peterzano.
Ciò non esclude che Peterzano abbia fatto partecipare Michelangelo alla coloritura generale del dipinto, o anche della sola figura dell’angelo[11]; né si può negare che Simone abbia avuto un’influenza profonda sull’allievo, riscontrabile in molti dei futuri dipinti autonomi del genio lombardo: nel Fondo Peterzano [12], che custodisce i disegni attribuibili a Simone e alla sua bottega, ve ne è uno che da sempre suscita dibattito tra i caravaggisti ovvero lo Studio per figura di angelo (Simone Peterzano, Milano, Civico Gabinetto dei disegni, Castello Sforzesco, Inv. 4875/362B – Fig. 6) nel quale sono state infatti ravvisate innegabili tangenze con opere certe di Caravaggio quali I musici (1594, New York, Metropolitan Museum of Art), San Francesco riceve le stimmate (1594-5, Hartford, Connecticut, Wadsworth Atheneum) e Cristo nell’orto del Getsemani (1603, già Berlino)[13].
Tuttavia, anche nel peterzanesco Medoro e Angelica (1575-85, Parigi, coll. priv. – Fig. 7) si può riscontrare un’analogia tra la posizione dell’angelo della Deposizione di Bernate (e anche del summenzionato disegno) e quella di Angelica che sorregge Medoro:
la sagoma è ribaltata, speculare rispetto all’angelo di Bernate Ticino (ribaltata sarà anche la posa dell’angelo di Caravaggio nel S. Francesco riceve le stimmate – Fig. 8)
ma, dato che il Medoro e Angelica è precedente alla Deposizione di Bernate, si può supporre che nella bottega di Peterzano girasse – e fosse quindi a disposizione degli allievi – un cartone con tale sagoma di base, cartone evidentemente riciclato più volte. Anche nella Pietà (1584 ca., Milano, San Fedele, già Santa Maria della Scala – Fig. 9) la figura di Giuseppe d’Arimatea o Nicodemo rimanda alla posa dell’angelo di Bernate (stavolta nello stesso verso), mentre i volti di Maddalena e di Maria di Cleofa presentano un identico, caratteristico impianto disegnativo anch’esso sovrapponibile, quasi interscambiabile, ai tratti dell’angelo in esame.
Che Caravaggio, una volta messosi in proprio, abbia ricordato quanto appreso negli anni presso la bottega di Simone e ne abbia ereditato la pratica di ribaltare sagome, e quindi riutilizzare all’occorrenza gli stessi cartoni, è pacifico, tant’è vero che alcune sagome presenti in opere dell’ antico maestro tornano, rielaborate, in quelle dell’allievo anche a distanza di diversi anni: il summenzionato disegno del Fondo Peterzano rivela reminiscenze nell’angelo del San Francesco riceve le stimmate, in forma speculare a quello, né si può sorvolare su una frase troppo spesso ignorata dai critici (soprattutto quelli che favoleggiano di un Caravaggio digiuno di disegno) scritta nell’elenco stilato nel 1605 in occasione del noto sequestro: qualche riga dopo la cassa con i “12 libri” si legge di “una carioletta [cartelletta? Altri leggono “tavoletta”] con certe carte de colori”, forse proprio il normalissimo album di repertorio che qualunque pittore di fine Cinquecento teneva con sé[14].
Ancora, dalla Deposizione di Bernate e dalla Pietà in San Fedele a Milano del maestro Peterzano, Caravaggio riprenderà il tema della pietra sporgente del Santo Sepolcro per la sua Deposizione (1602, Pinacoteca Vaticana) così come da I SS. Paolo e Barnaba a Listri (1573-1590, Milano, SS. Paolo e Barnaba, partic. in alto a dx) mutuerà la suggestione del volto di vecchia che compare sia nella Crocifissione di Sant’Andrea (1606 ca., Cleveland, Cleveland Museum of Art) che nella Salomè con la testa di Battista (1607 ca., Madrid, Palazzo Reale); oppure dall’Isacco benedice Giacobbe di Peterzano (1573, Milano, San Maurizio al Monastero Maggiore) Caravaggio rievocherà in qualche modo la figura dell’adorante in basso a dx nella sua Madonna del Rosario (1606, Vienna, Kunsthistorisches Museum) [15], ecc.
Dando un ulteriore sguardo allo sfondo della Deposizione di Bernate si nota un suggestivo tramonto (sebbene, stando alle Scritture, Gesù sia morto alle h. 15.00) di sicura ascendenza veneta – del resto Peterzano faceva un vanto di essere stato “allievo di Tiziano” – dai toni freddi: si potrebbe ravvisare una reminiscenza di questo bel brano nella prima versione della Conversione di Saul (1600, Roma, coll. Odescalchi – Fig. 10) di Caravaggio e porsi piuttosto la domanda se sia eventualmente possibile che una partecipazione del dodicenne Michelangelo alla creazione della Deposizione di Cristo in San Giorgio possa essere ravvisata (anche), semmai, in questa porzione del dipinto.
In conclusione, non si può determinare con certezza quale e quanto sia stato il contributo del giovanissimo Michelangelo nella Deposizione di Cristo del maestro Peterzano conservata a Bernate Ticino, ma il rinnovato interesse attorno a quest’opera ha l’innegabile merito di aver riportato una volta di più all’attenzione l’interessantissimo, e ancora tutto aperto, argomento di Caravaggio (senz’altro) disegnatore.
© Claudia RENZI, Roma, 3 aprile 2024
NOTE
[1] Per la scheda più recente si rimanda a Simone Facchinetti, Francesco Frangi, Paolo Plebani, Maria Cristina Rodeschini (a cura di), Peterzano. Allievo di Tiziano, maestro di Caravaggio, Bergamo, 2020. S. Facchinetti data la Deposizione di Bernate tra 1582 e 1584.
[2] Il contratto è datato 6 aprile 1584, dunque Michelangelo ha 12 anni. Cfr. Mia Cinotti, Gian Alberto Dell’Acqua, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio: tutte le opere, Bergamo, 1983; Giacomo Berra, Il giovane Michelangelo da Caravaggio: la sua famiglia e la scelta dell’”ars pingendi”, in: «Paragone», 53, 2002, pp. 40-128; G. Berra, Il giovane Caravaggio in Lombardia. Ricerche documentarie sui Merisi, gli Aratori e i marchesi di Caravaggio, Firenze, 2005; Stefania Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio: documenti, fonti e inventari 1513-1848, Roma, 2023.
[3] Milano, Archivio Storico Diocesano, Santo Stefano in Brolo. Battesimi dal 1564 al 1587, I, f. 106v. Il documento è stato rinvenuto da Vittorio Pirami e reso noto da Marco Carminati, Caravaggio da Milano, in: «Il Sole 24 ore», 25 febbraio 2007, e recita: “Adì 30 [settembre 1571] fu bap[teza]to Michel Angelo f[igliolo] de d[omino] Fermo Merisio et d[omina] Lucia de Aratoribus, compar d[omino] Francesco Sessa”.
[4] Il Professore Carmelo Lo Sardo mi ha gentilmente chiesto di scrivere sul dipinto; colgo l’occasione per ringraziarlo vivamente. Per l’iter dell’importante e minuzioso restauro si rimanda invece al sito www.losardorestauri.it.
[5] Giornata di Studi sulla Deposizione di Cristo di Simone Peterzano e del suo allievo Caravaggio, Bernate Ticino (Mi), canonica di S. Giorgio, 20 maggio 2023.
[6] Graziano Masperi, C’è un Caravaggio a Bernate Ticino, la scoperta del professore della Sorbona: “Quell’angelo ha la sua luce”, in: «Il Giorno», 12 settembre 2023.
[7] Per la pratica del disegno nelle botteghe cinquecentesche si rimanda a Francesco Negri Arnoldi, Simonetta Prosperi Valenti, Il disegno nella storia dell’arte italiana, Roma, 2006 [1986], p. 55 e segg.
[8] Giovanni Pietro Bellori, Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma, 1672, p. 208: “Sicchè Michelangelo dalla necessità costretto andò a servire il Cavalier Giuseppe d’Arpino, da cui fu applicato à dipinger fiori e frutti”.
[9] Giorgio Vasari, Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Roma, 1997, p. 505 (Vita di Andrea Verrocchio Pittore, Scultore et Architetto).
[10] Lo Studio per la testa dell’angelo nel Battesimo di Cristo di Verrocchio è in Torino, Biblioteca Reale, n. 15635.
[11] Per ulteriori possibili collaborazioni attive del giovane allievo in opere del maestro Peterzano si rimanda anche all’analisi dell’Ebrezza di Noè (1586 ca., coll. priv.) proposta da Maurizio Bernardelli Curuz, Noè e i figli, un quadro di Peterzano e allievi che porta nell’area in cui lavorava il giovane Caravaggio, in: «Stilearte.it» del 15 gennaio 2019.
[12] Minuziosamente scandagliato da Maurizio Bernardelli Curuz, Adriana Conconi Fedrigolli, Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema Merisi, II voll., Brescia, 2012.
[13] Paola Caretta, Alcuni disegni in relazione a Caravaggio, in: Luigi Spezzaferro (a cura di), Caravaggio e l’Europa. L’artista, la storia, la tecnica e la sua eredità, Milano, 2009, pp. 69-76, p. 71.
[14] L’inventario dei beni di Caravaggio nella casa in affitto da Prudenzia Bruni sottoposti a sequestro il 26 agosto 1605 è in: Archivio di Stato di Roma, TNC, Uff. 16, not. Lutius Marchetti, vol. 32, cc. 640rv; c. 655r, in particolare c. 640v. Cfr Stefania Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Documenti, fonti e inventari 1513-1875, Roma, 2010, pp. 188-9, Doc. 651.
[15] M. Bernardelli Curuz, A. Conconi Fedrigolli, op. cit, 2012, II, p. 184.
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- Stefania Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio: Documenti, fonti e inventari 1513-1875, Roma, 2010