di Tommaso EVANGELISTA
RODOLFO PAPA.
La pittura è sempre un ritorno a casa.
Analizzare l’opera del maestro Rodolfo Papa richiede una lettura complessa e stratificata, che prende in considerazione non solo la produzione pittorica, di per sé multiforme e di difficile collocazione in determinate categorie, ma anche e soprattutto l’attività di studio e di ricerca in quanto l’azione pratica, nell’artista, è sempre legata all’attività speculativa, e il lavoro manuale a quello teorico. Basti leggere tra le righe questa breve dichiarazione di poetica estratta da un catalogo del 1996:
«Io sono un artista. E allora cosa posso dire dell’opera d’arte? Forse, tutto quello che gli storici dell’arte non possono attraverso la carta, gli artisti hanno la facoltà di comprenderlo con il pennello e i colori. Chi sa se l’arte può conoscere sé stessa, meglio di quanto facciano gli altri?»[1].
Ci focalizzeremo, in questo studio, soprattutto sulla prima fase della ricerca del pittore, lasciando da parte il campo dell’arte sacra, per mostrare come l’indagine sull’immagine è sete di conoscenza e viaggio interiore, tra memoria e storia, e ogni segno che scopre nasce sulla tela perché indagato, come un novello Ulisse, tra il sogno e il reale, tra utopia metafisica e forma concreta (Fig. 1-2).
Raramente, nel corso degli ultimi anni, un pittore ha agito legando la prassi ad una profonda conoscenza della storia e ad una complessa, e in parte nuova, teoria dell’azione artistica comprendente anche una nuova rivalutazione dello stato di artista e del ruolo che l’artista deve svolgere all’interno della società. Punto di partenza è lo sguardo analitico sulla Storia dell’Arte, indagata attraverso un’indagine filologica ed iconologica, attenta ad attualizzare e dar concretezza al messaggio dei grandi maestri, Leonardo e Caravaggio su tutti, le cui teorie e prassi sono studiate alla luce del rapporto tra repertori iconografici e “risemantizzazione” dei segni, tra immagine e significato.
Un momento fondamentale è costituito dal rapporto con il cosiddetto San Giovannino di Caravaggio: eseguendone una fedele copia entrò nel suo significato più profondo, corroborato poi da anni di studio, che lo hanno condotto alla rilettura del tema iconografico svelandolo come un Isacco salvato [2]. Caravaggio costituisce l’esempio più illuminante della figura del pittore “armato”, ovvero del pittore capace di indagare la tensione tra la materialità del corpo e la sua dimensione simbolica e spirituale. Caravaggio non solo cattura la fisicità con una straordinaria maestria tecnica, ma la rende anche veicolo di espressione emotiva e immateriale:
«Lo stile di Caravaggio, dunque, matura e cresce alla grande scuola dei maestri con i quali gareggia nella capacità di rappresentare la realtà, istituendo di fatto un proprio linguaggio artistico, che nel metabolismo delle tradizione e nella sintesi di arte e natura, trova la propria personale innovazione»[3].
Alla dialettica del negativo si contrappone una ricerca dei principi, una “scienza della pittura”[4] capace di risanare lo strappo aniconico che l’arte ha accusato nel corso dell’ultimo secolo. Tale approccio, richiamando l’intera storia artistica, analizzata anche nelle sue ricadute antropologico-culturali più ampie, persegue un’attualizzazione che, vedremo più avanti, è di certo l’aspetto più moderno e singolare della sua pittura:
«La visione di fondo che sostiene la teoria artistica di Rodolfo Papa può essere senza dubbio nominata “realismo moderato”. Esplicitamente egli abbraccia la posizione filosofica del realismo moderato e esplicitamente cerca un’arte che eviti l’eccessivo realismo da una parte e l’esagerato simbolismo dall’altra»[5].
L’artista come creatore di bellezza deve possedere un profondo sostrato culturale e un’infinita galleria di immagini per maturare da questa varietas uno stile mediano, che possa essere di equilibrio tra la dimensione storica, tradizionale, e una modernità non già liquida ma profondamente umana. Punto di arrivo è la reazione concreta che l’opera provoca all’interno della società civile:
«Questo è il lato concettuale dell’arte: l’artista che si aggira tra la tela e le cose, come il filosofo medievale tra le res e le voces, ma l’artista poi deve sempre tornare alle res, perché solo quelle può dipingere»[6].
Le sue tele sono tentativi di catturare ed esprimere intensità, sensazioni e virtualità che vanno al di là del visibile e del tangibile. Papa può essere visto come un “pittore-filosofo” che crea immagini, spazi di liberazione, non solo per rappresentare la realtà, ma per esplorare e comunicare concetti complessi attraverso il medium pittorico (Fig. 3).
Giovanni di Salisbury, parlando del maestro Bernardo, riportava questa nota frase che ben si adatta al discorso che vogliamo sviluppare, un discorso fondato sull’idea di continuità e non già di progresso:
«Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti»[7].
Leggere la Storia dell’arte come una storia di progresso, di crescente purificazione e spiritualizzazione della forma, è stata, probabilmente, l’idea più problematica del Novecento storico, non già perché una certa pittura non dovesse attualizzarsi nello stile per dialogare con i complessi cambiamenti della società, ma perché tale cambiamento, visto quale opera di liberazione soggettiva, si è rivelato un affrancamento dalla forma e dal corpo con relativo collasso dell’opzione figurativa:
«Una lettura progressista della storia dell’arte, implicando una visione progressiva delle forme, per cui tutto ciò che segue è evoluzione positiva di ciò che lo precede verso un ideale futuro di perfezione, è falsa perché in realtà non è così che procedono le cose»[8].
Il corpo, che in Leonardo da Vinci è principio cardine,
«Il principio della scienza della pittura è il punto, il secondo è la linea, il terzo è la superficie, il quarto è il corpo che si veste di tal superfice»[9],
e che sorprendentemente svanisce nella fredda e tecnica teorizzazione di Kandinskij e degli astrattisti, in Papa è sempre strumento di verifica delle potenzialità dell’arte e della ricerca personale in bilico tra simbolicità della vita e simbolicità della pittura [10]. Lo si vede, per esempio, nelle ricerche espressive e concettuali delle prime personali che ci permettono di leggere, in trasparenza, anche le successive e più complesse imprese figurative d’arte sacra e così nella mostra Gigantografia. Sedes scelerata del 1994 la forma del corpo tormentato diviene spunto per associazioni letterarie ma è anche, nel suo colto citazionismo, difesa dell’anatomia e della storia pittorica.
Gli esordi di Papa, formatosi sfruttando tutte le possibilità e gli stimoli offerti dal contesto romano, non ultimo l’opportunità di copiare dal vivo i grandi maestri del passato nei musei più importanti, si può collocare, a mio avviso, nel solco della Pittura Colta, movimento ideato dal critico Italo Mussa [11] e proposto in mostra per la prima volta nel 1984 presso la galleria Pio Monti, il quale già da diverso tempo presentava un sistematico panorama del cosiddetto Anacronismo, o Ipermanierismo. Mussa giustificava questo ritorno alla pittura, inaugurato dalla svolta neoclassica di De Chirico, quale un bisogno di ripensare i soggetti:
«In questo declino, l’artista ha ritrovato una nuova individualità, capace di affrontare i frammenti della crisi con gli strumenti tradizionali dell’arte. I soggetti della sua pittura sono ora coltivati nel paesaggio interiore della sua intima visione creativa».
I concetti di origine, illusioni metonimiche, citazionismo, ritorno al significato, simulacro, celebrazione dell’antico e della mimesi, rapporto con il tempo, tutti presenti nelle prime opere di Papa, sono del resto elementi chiave del tipo di pittura che sulla fine degli anni Settanta, alcuni artisti portavano avanti nell’ambito di un rinnovamento dei linguaggi artistici. Scriveva Calvesi:
«La domanda era ed è: esiste un messaggio dell’arte? Il successivo recupero della pittura può essere visto come un momento evolutivo di questa stessa indagine; se è vero, come è vero, che il medium è il messaggio, il medium pittorico è il più adatto ad incarnare il messaggio dell’arte come tale, e di per sé lo identifica»[12].
Papa, nel periodo della sua formazione, pur seguendo suggestioni anacronistiche post-metafisiche, ha vissuto questa restituzione del quadro non solo come una personale ricomposizione di immagini ma come un momento di riflessione sull’intera Storia dell’arte, non vista in chiave postmoderna, come un manichino da smembrare e riorganizzare, bensì letta nella sua organicità, di evoluzione e riflessione sul corpo e sulle forme la cui attualità risiede proprio in questa riproposizione di contenuti della tradizione reimpiegati in chiave “colta” (Fig. 4).
Il titolo programmatico del celebre quadro di Mimmo Paladino del 1977 Silenzioso mi ritiro a dipingere un quadro, che di fatto inaugura il movimento della Transavanguardia, rivela certamente nel contesto italiano ed europeo un interesse per la dimensione pittorica -interesse che oggi sta vivendo una seconda giovinezza- ed evidenzia una rigenerata (e generale) attenzione verso la dimensione intima e concettuale del quadro e del fare pittura, dopo decenni di sperimentazioni con altri linguaggi e materiali entrati prepotentemente nei territori delle arti visive.
Paladino però non risolve il problema del contenuto e quindi della supremazia della Pittura. Se nel caso della Transavanguardia la memoria è quella delle esperienze avanguardistiche di inizio secolo, con particolare predilezione per l’espressionismo arcaico di matrice extra-europea, e nel caso degli artisti della Pittura Colta è quella dell’arte neoclassica o barocca [13], il nostro artista, invece, non ritorna solo silenziosamente alla tela ma rivendica per l’arte, attraverso una profonda riflessione estetica, un orizzonte filosofico che parte dalla tradizione (aristotelica e tomista) per riflettersi sulla contemporaneità. Il post-moderno nelle arti figurative è deposito di memorie, è tutto ciò che è stato detto e definito che ritorna in forma di citazione quale muta archeologia del passato la quale, vestendosi dell’estetica del frammento, permette da una parte di godere della rispettabilità e riconoscibilità di ciò che è stato e dall’altra di guardare alle avanguardie.
Leggiamo nelle prime opere di Papa un profondo interesse per il linguaggio e per fondamentali problemi di semiotica dell’immagine: quali sono i confini del quadro e i limiti della pittura? Qual è il ruolo dell’artista? Cosa deve comunicare l’immagine? Quanto è fondamentale la riflessione sulla bellezza? A queste domande l’artista risponde attraverso piccole personali le quali, analizzate in parallelo con i rispettivi cataloghi, si rivelano programmatiche nel definire una precisa linea di azione e di raffigurazione. Emergono così diversi punti di studio.
Semiotica e iconografia agiscono insieme nell’analisi degli elementi strutturali della composizione pittorica e nella scrittura visiva. Il ritorno alla pittura è ricerca dell’essenza e può essere visto come un modo per tornare a occuparsi del reale e studiarlo nelle sue dinamiche, adoperando la bellezza come principio di conoscenza e comunicazione nel contesto contemporaneo. La ricerca di un “realismo moderato” è il tentativo di bilanciare tra l’eccessivo realismo e l’esagerato simbolismo. Questa sfida concettuale si traduce in tele che si svelano come vere e proprie ricerche dei principi, dove la pittura diventa una “scienza” capace di risanare lo strappo aniconico dell’arte moderna. Papa ha riferito più volte che il filosofo Lluis Clavell gli suggerì opportunamente di chiamare il suo stile pittorico “realismo antropologico” mentre Vitaliano Tiberia ha preferito parlare di “umanesimo senza tempo”[14], forse per sottolineare quello stretto rapporto tra parola e immagine.
La prima attività espositiva dell’artista è registrata dal 1983. Nel 1992 partecipa a numerose collettive mentre nel 1993 tiene le mostre personali Ex libris presso lo spazio Ambush di Trastevere e Codex Naturae presso la Galleria della Tartaruga, entrambe a Roma. Interessante l’attività della Galleria della Tartaruga, spazio che opera nel campo della cultura e dell’arte dal 1975, nella sede storica di Via Sistina, e che da sempre si è dimostrata vicina alla pittura e alla ricerca figurativa. Le prime investigazioni si caratterizzano per la creazione di nature morte fortemente caratterizzate dalla logica dei simboli, non già metafisiche visioni -anche se dalla metafisica e dall’incongruo accostamento di oggetti sono influenzate- quanto allusioni di senso, calembour, enigmi o rebus che celano ontologie:
«Gli oggetti scelti in primo piano e sottolineati dal rigore pittorico, non creano una sensazione di estraneità in relazione alla fuga paesaggistica sullo sfondo, anzi Papa cerca di evocare attraverso queste forme così chiare il mistero dei rapporti fra gli oggetti. Se in De Chirico o in Carrà oggetti inanimati e illogici affollavano spazi angusti deprimendo il senso dell’immagine, Papa sfrutta oggetti che animano con la loro presenza le sue aperture»[15].
Si tratta, come ebbe a scrivere Luciana Cassanelli, di opere pensate come “microcosmo della pittura”[16].
La personale Dentro la pittura del 1993, presso il comune di Collazzone, in Umbria, dove spesso da giovane l’artista si ritirava a dipingere e studiare, è una prima riflessione sui principi di tale indagine,
«è la sintesi – scrive Papa- di un lungo lavoro di scavo, che mi ha portato al confronto con i temi della filosofia antica e classica … non propongo una ludica visione post-moderna del mondo e neanche una effimera ripresa colta di passate matrici pittoriche, ma una forma mentis più larga che veda nella contaminazione spontanea uno stimolo alla riflessione»[17].
Il catalogo, infatti, si apre con l’emblematica opera che dà il titolo alla mostra, ovvero la Gioconda che si apre a mo’ di finestra svelando un orizzonte infinito, realizzando quello straniamento positivo che permette la scoperta di un paesaggio interiore[18]. I quadri sono caratterizzati da accostamenti simbolici, corpi irreali che dialogano con segni e frammenti, a ricostruire uno spazio di senso nei margini della cornice (Fig. 5).
Un cambiamento di registro si ha nella successiva personale Gigantographia. Sedes scelerata, del 1994, all’interno del Todifestival. Il titolo è preso dalle Metamorfosi di Ovidio, in riferimento al Tartaro, il tema invece riguarda il corpo e le sue tormentate esperienze, sottolineato da un’impronta più oscura e riflessiva, e dai toni caravaggeschi. I protagonisti della mitologia greca come Issione, Tantalo, Sisifo, condannati a eterni tormenti e punizioni, diventano i fulcri di un’indagine artistica che si spinge verso l’abisso della condizione umana.
In questa mostra, Papa sembra immergersi nelle profondità della psiche umana, esplorando il dolore, la sofferenza e la condanna. Issione, legato a una ruota che gira eternamente; Tantalo, condannato alla fame e alla sete nonostante il cibo e l’acqua sempre fuori dalla sua portata; Sisifo, costretto a spingere un masso fino alla cima di una montagna solo per vederlo rotolare giù ogni volta, diventano simboli vividi di una condizione esistenziale intrappolata in un ciclo di tormento e disperazione (Fig. 6).
L’artista trasforma queste figure in potenti immagini che parlano direttamente alla nostra coscienza. I corpi contorti e angosciati evocano una sensazione di disagio e oppressione, mentre i dettagli delle torture aggiungono un elemento di realismo crudo alla narrazione. Papa sembra invitare lo spettatore a interrogarsi sulla natura umana, sulla giustizia divina e sul significato stesso della sofferenza: ciò che emerge è un quadro complesso e coinvolgente in cui il dolore e la lotta sono parte integrante dell’esistenza.
La personale presso il complesso monumentale di San Domenico, a Fabriano, del 1995 dal titolo Bibliographia. Memorie su carta, segna un’altra tappa di riflessione sulla pittura quale strumento di analisi del mondo e di sé stessi. Già la forma del testo critico, un “autoritratto bibliografico”, ci parla di un racconto introspettivo con l’arte che agisce come un ritratto dell’anima, analizzando le profondità interiori e offrendo un mezzo attraverso il quale esplorare il proprio essere. In questo contesto, l’opera diventa un veicolo per l’auto-riflessione e la comprensione dei misteri dell’esistenza umana. Il concetto di “advesperascit“, titolo di un’opera, che significa “verso il tramonto” o “al calar del sole”, può essere interpretato come una metafora del passare del tempo e della caducità della vita umana, ma emergono altri temi quali il tempo, l’enigma, lo specchio. Nella pittura, il tema del tempo assume molteplici sfaccettature: il tempo che scorre, il tempo che segna i cambiamenti del corpo e della psiche, il tempo come misura dell’esistenza (Fig. 7).
L’enigma rappresenta un’altra dimensione della ricerca e invita lo spettatore a interrogarsi sul significato nascosto dietro le immagini, sulle idee che si celano sotto la superficie. In tal senso, la pittura diventa uno strumento per esplorare i recessi della propria mente, e della propria formazione, e per scoprire nuove prospettive sulla realtà. Infine, lo specchio rappresenta un potente simbolo di introspezione. Nel caso della mostra l’opera dal titolo Lo specchio dell’arte è una delle tante prove, da parte dell’artista, di meta riflessione sui mezzi della pittura: il concetto di un’immagine dietro l’immagine mette in discussione la nostra percezione della verità e dell’illusione, invitandoci a considerare che ciò che vediamo potrebbe non essere la totalità della realtà. Questo cortocircuito metafisico ci spinge a riflettere sulle dimensioni nascoste e misteriose della vita e dell’arte, aprendo nuovi orizzonti di comprensione e interpretazione.
Dalle prime esperienze espositive emergono, così, una profonda riflessione filosofica, un’analisi approfondita della condizione umana e un’esplorazione dell’arte come strumento di auto-riflessione e scoperta. L’artista utilizza la pittura non solo come forma di espressione artistica, ma anche come mezzo per indagare e comprendere il mondo e sé stesso, dimostrandosi in questo molto più moderno di tanti contemporanei:
«Parlare della pittura di Rodolfo Papa è richiamare i principi fondamentali della costruzione dell’opera, identificare ciò che, per mezzo di essa, ci permette di riconoscere la sua origine … Papa è più concettuale di ogni artista concettuale ma la sua pittura non osa fermarsi alla concettualità»[19].
Il Tasso Barbasso ed altre storie è il titolo della personale presentata nel 1996 presso l’Accademia di Romania a Roma e che segna un importante momento di riflessione e ricapitolazione per l’artista. Il catalogo, introdotto da un ampio testo di Antonello Tonelli, raccoglie molti altri scritti critici e analizza le sfaccettate narrazioni emerse nella sua produzione pittorica. Una riflessione dello stesso Papa in apertura: «La finestra nella parete è il quadro che non coincide mai con il pensiero», suggerisce che, nonostante l’arte possa cercare di rappresentare la realtà o esprimere pensieri ed emozioni, esiste sempre una distanza tra l’idea originale o il pensiero dell’artista e la sua rappresentazione visiva. La finestra diventa quindi il simbolo di questa distanza tra ciò che l’artista desidera comunicare e ciò che effettivamente viene espresso, suggerendo come l’arte abbia una sua vita propria, uno status autonomo il quale, come direbbe Leonardo, la caratterizza come “scienza”.
Interessante, tra le varie narrazioni, quella sulla Torre di Babele che pone all’artista diversi problemi: la complessità formale e strutturale di un’architettura utopica, la contrapposizione tra ordine e caos, l’esplorazione della dimensione verticale dello spazio e la riflessione sul tema dell’ambizione umana. La Torre, con la sua struttura imponente e intricata, potrebbe essere vista come un’immagine che riflette la stratificazione formale che caratterizza molte opere d’arte contemporanea, quasi un esercizio figurato di cubismo analitico, ed è metafora del punto di vista dell’artista stesso sulla soglia dell’invisibile:
«Nella vita il movimento non è somma puntiforme di istanti immobili, ma nel dipingere ne hai quasi l’illusione, perché puoi contare le singole pennellate che fanno un quadro, e a quel punto, dopo l’ultima pennellata, chiunque può entrarci. (Prima dell’ultima, quasi nessuno può riuscirci)»[20].
La Torre è anche la metafora della lotta dell’uomo con Dio, o dell’artista contemporaneo contro la forma, e diviene per l’artista allegoria delle complesse stratificazioni ideologiche subite dall’arte nell’ultimo secolo[21] (Fig. 8)
Punto successivo di indagine è la scoperta del paesaggio lirico e del cielo rivelatore. La visione del paesaggio in Rodolfo Papa è intrinsecamente legata alla sua concezione dell’arte come strumento di indagine filosofica e di ricerca della verità, e all’idea che il simbolo risieda spontaneamente nel contesto naturale, e che emerga attraverso la bellezza della visione[22] (Fig. 9).
Il paesaggio è innanzitutto un luogo in cui la presenza divina si manifesta attraverso l’incanto e l’armonia della creazione, luogo di rivelazione, dove la bellezza del cosmo riflette la presenza di Dio. Ogni elemento -dall’orizzonte infinito alle sfumature di colore nei cieli e nelle terre- è da interpretare come un segno della divinità che permea il mondo. È riflesso, inoltre, dell’interiorità umana, specchio dello spirito e luogo in cui l’artista può esplorare i propri sentimenti, pensieri ed emozioni.
Attraverso la rappresentazione della natura Papa cerca di trasmettere le sue visioni interiori, le sue riflessioni filosofiche e le sue esperienze personali, creando opere che sono al tempo stesso paesaggi fisici e passaggi dell’anima. Le vedute potrebbero anche essere interpretate come una rappresentazione della dimensione temporale dell’esistenza umana. Attraverso l’uso di elementi chiave come la luce, l’ombra e il cambiamento delle stagioni e dei colori, l’artista cerca di catturare la fugacità del tempo e la transitorietà della vita, suggerendo l’idea di un ciclo continuo di nascita, morte e rinascita. Infine, potrebbe essere visto come un luogo in cui l’uomo e la natura coesistono in armonia, ponendosi quindi in contrapposizione con l’artificiosità delle Torri.
La personale del 2005, L’orizzonte del cielo e della terra, ospitata ad Albano presso il Museo della Seconda Legione Partica, si focalizza proprio su tale aspetto. Come scrive nell’Introduzione Lorella Congiunti:
«Dipingere significa dare un’immagine del cosmo … le tele dedicate ad Albano sembrano alludere a una riflessione sull’origine che alla contemplazione del paesaggio aggiunge la ricerca storica e archeologica delle radici»[23].
Tale ricerca dell’Inizio, infatti, avviene con spiazzanti commistioni tra vedute naturali e reperti archeologici, composizioni che hanno molto di metafisico ma che, nella loro semplicità appaiono quasi anticipatrici della più lontana vaporwave.
Ma cos’è il paesaggio per Papa? È un rinnovare il mondo attraverso un ordine tutto mentale:
«Questo esercizio consiste nella ricostruzione di un luogo realmente visitato, ma lontano, e nella immaginazione in esso di avvenimenti non visti, perché avvenuti in un altro tempo; l’artista capace di tale meditazione sa realizzare una pittura che rende attuale il passato ed il futuro, ed avvertibile il mondo invisibile»[24].
Il paesaggio, quindi, è visto come un luogo di epifanie, dove la presenza divina e la verità più profonda si rivelano attraverso la rappresentazione di elementi naturali e la ricreazione di eventi e atmosfere che vanno oltre la percezione sensoriale immediata. In questo senso, il quadro diventa un mezzo per esplorare la dimensione spirituale e metafisica della realtà, invitando lo spettatore a riflettere sul significato più profondo della vita.
Concludendo questa lunga disamina sulla prima fase pittorica di Rodolfo Papa possiamo trarre la conclusione che il lavoro da parte dell’artista nel campo dell’arte sacra[25] emerge, chiaramente, come una naturale estensione della ricerca filosofica e estetica nel campo della pittura figurativa. Dopo aver esplorato i confini della metafisica e della ricerca concettuale attraverso la pittura paesaggistica e l’indagine sul simbolismo, Papa si rivolge all’arte sacra come ulteriore modo per esplorare le profondità dell’esistenza umana e la sua relazione con il divino.
Il passaggio all’arte sacra rappresenta una sorta di naturale sintesi delle sue ricerche precedenti, poiché unisce la dimensione spirituale e ontologica del paesaggio con il simbolismo e l’allegoria dei primi dipinti, per cercare di trasmettere un messaggio più profondo sulla fede, la spiritualità e la condizione umana:
«La conoscenza della verità e la sua espressione nel linguaggio implicano la formazione dei significati, in quanto l’arte proprio questo esprime: non la realtà in se stessa, ma il suo significato»[26].
Il sacro dipinto dall’artista è caratterizzato da una profonda riflessione teologica e filosofica, oltre che da una complessa conoscenza di tutta la storia e di tutte le teorie dell’arte, che si manifesta attraverso la scelta dei soggetti, la composizione simbolica e l’uso del colore e della luce. I suoi dipinti diventano luoghi di contemplazione e meditazione, dove lo spettatore è invitato a esplorare le dimensioni più profonde e a confrontarsi con le grandi domande dell’esistenza.
L’approccio di Papa all’arte religiosa si distingue per la sua originalità, nell’utilizzo di linguaggi tratti dalla contemporaneità, compresi surrealismo e metafisica, e il suo spessore concettuale. Egli, infatti, non si limita a rappresentare in modo tradizionale, bloccando l’immagine in un engramma immobile, ma cerca di reinterpretare le iconografie e le iconologie classiche attraverso il prisma della visione personale e dell’attualità, integrando elementi della sua ricerca artistica precedente per creare opere che sono allo stesso tempo moderne e prive di connotati temporali.
Inoltre, l’arte sacra di Papa si distingue per la capacità di coinvolgere il fedele in un dialogo profondo e significativo sulla fede, un dialogo che si espande anche allo spazio fisico e tangibile del luogo rendendo le immagini estensioni reali. Sono opere che vivono spesso “fuori cornice”[27], o che mostrano tautologicamente la cornice stessa, che portano con sé la meraviglia di una presenza concreta che manifesta l’insopprimibile desiderio di parlare di Dio e l’incanto di un quadro da sfogliare o sezionare nei suoi elementi costitutivi, mostrandosi molto più moderne di numerose opere d’arte concettuali:
«Mentre la cornice reale ha la funzione di operare una cesura tra “arte” e “realtà”, la cornice dipinta serve a offuscare tale limite»[28].
Ecco perché, e ritorna, «la finestra nella parete è il quadro che non coincide mai con il pensiero», ovvero è la cornice che permette alla forma di “ritornare a casa”, costruire un sentiero di conoscenza e comunicazione: alla dimensione teorica che segue quella manuale corrisponde non solo una rispondenza del pensiero, un allineamento nel solco della storia dell’arte ma, attraverso la riscoperta del corpo negato, della scienza della pittura, dell’iconologia, anche un’azione profonda di verità la quale, prima di essere catechetica, è un nostos, un atto di creazione di bellezza (Fig. 10 – 11).
Esiste un ciclo di opere di Papa, mai edite e mostrate in questo articolo per la prima volta, realizzate negli ultimi quindici anni, dedicato alla “metapittura”: attraverso una serie di dipinti che possono apparire a prima vista astratti, l’artista invita gli spettatori a immergersi in un universo che riflette sull’atto creativo, sulla rappresentazione simbolica, sul potere dell’immagine. In tali quadri, giocati tutti sul colore nero, vengono esplorati i concetti di spazio e tempo, si creano composizioni che sembrano sfidare le leggi della fisica e della prospettiva, si determinano tensioni visive con il pittore che gioca con l’idea di dualità e contrasto, emergono immagini completamente ricoperte di pittura nera o in fase di metaforica copertura. Il riferimento dei titoli alla nigredo alchemica non vuole sviluppare un’idea di creazione esoterica, frutto di speculazioni iniziatiche, bensì rimanda esattamente al principio opposto, essoterico, in quanto l’immagine non si nasconde tre le pieghe di un mistero insondabile bensì emerge e ostenta la propria presenza reale, quasi come fosse sindonica.
Ogni dipinto, per il suo carattere auto-riflessivo che lo fa apparire quasi un esercizio intangibile o informale, sembra essere una meditazione sull’atto stesso della Pittura e sul potere dell’immagine di comunicare concetti al di là dei segni.
Papa, moderno Frenhofer, sfida lo spettatore a interrogarsi sul significato dell’opera d’arte e sulle sue infinite possibilità di interpretazione: la tela, infatti, viene materialmente dipinta e poi da lui cancellata con il nero, ma l’immagine riaffiora come un negativo fotografico, come se fosse insopprimibile la sua esistenza materica e spirituale. L’artista dichiara spesso a proposito: «L’immagine ha subito una sorta di cancellazione nel corso del XX secolo, ma poi è riemersa più potente di prima. Ha percorso un fiume carsico, non è mai sparita ed ora riappare». Quale pensiero più moderno per parlare della forma? La capacità dell’immagine di emergere nonostante la cancellazione materiale potrebbe richiamare l’idea dell’aura come presenza unica e irripetibile, il manifestarsi, secondo il pensiero di Walter Benjamin, di una lontananza, della presenza materiale dell’esemplare originale che pur scomparso riaffiora (Fig. 12-13-14).
Nel suo testo La crisi della pittura da cavalletto Greenberg analizza la pittura della sua epoca, caratterizzandola come “all over”, “decentrata” e “polifonica”, basata su elementi identici che si ripetono per formare una superficie piatta, sostenendo che l’arte moderna, libera da rappresentazioni mimetiche, vinca tramite il segno e il concetto[29].
Papa, da par suo, soprattutto con tali opere sfida l’osservatore a riflettere sul significato dell’opera rompendo l’apparente filtro dell’informe, dimostrando come non si possa prescindere dal significato, dall’origine, e che la pittura, per Leonardo “scienza” teorica e pratica, vince sempre il caos delle sensazioni con la forza della presenza:
«La consapevolezza della frammentazione, della liquidità, della fuga verso l’informe e il deforme, non indeboliscono la ricerca di una nuova figurazione, ma la rendono addirittura necessaria. L’arte figurativa può infatti costruire un’ancora di salvataggio per una estetica alla deriva, così come la bellezza può essere un faro per una cultura in naufragio»[30].
L’autenticità non è sinonimo di originalità o decostruzione, ma di contemplazione dello splendore della forma e del suo nucleo originario di confine e soglia. La pittura, come succede in molte teofanie, è sempre un ritorno a casa.
Tommaso EVANGELISTA Roma 7 Aprile 2024
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