di Rosario DAIDONE
“In ogni polo, in ogni clima e zona / Gran Potenzano si parla di tia”
( F.Potenzano, Rime di diversi eccellenti autori in lingua siciliana, CLXXXIX)
Pittore, poeta e oratore, Francesco Potenzano nacque a Palermo il 5 ottobre 1552; vi morì l’11 agosto del 1601 e venne seppellito nella Chiesa di San Domenico diversi secoli prima che diventasse Sacrario di uomini illustri.
Figlio di una famiglia di calzolai, come Orazio, “libertino patre natu”, si guadagnò fama, onori e gloria anche fuori dalla Sicilia, a Roma, a Napoli, a Malta (Nota 1) ed era conosciuto anche in Spagna dove esiste un dipinto con “Ecce homo” di sua fattura. (Nota 2)
A Palermo nel 1582, secondo quanto riferisce Vincenzo Auria (Palermo, 1625-1710), Potenzano si fece incoronare poeta con grande apparato e alla presenza di un colto pubblico all’ombra dell’enorme cupola della Chiesa, non più esistente, di San Giuliano. Fu in questa occasione che egli fece coniare alcune medaglie di bronzo con la sua immagine e la scritta “Omero” e, ancor peggio, (FOTO N° 1) si premurò, di comporre le “Rime di diversi eccellenti autori con le risposte meravigliose del medesimo nella stessa lingua siciliana “dedicate al viceré Marcantonio Colonna in cui esaltava la sua smisurata grandezza di poeta e pittore riconosciutagli da altrettanti illustrissimi interlocutori.
Si deve ancora al Lauria la descrizione di una seconda incoronazione voluta questa volta dal Viceré Marcantonio Colonna tre anni dopo la prima:
“fiorendovi nella Pittura, e nella Poesia (…) il Vicerè che anco in ciò volle dimostrarsi da Prencipe Romano, volle con pubblica sollennità coronar d’Alloro quel Poeta del quale fra l’altre opere, si vede alle stampe doppo la sua morte impressa la Destrutione di Gerulalemme dall’imperator Tito Vespesiano. (Nota 3)
Vero è che alla cerimonia che si svolse davanti al mare di Porta Felice Potenzano al cospetto del Viceré a cavallo e della sua corte si presentò con strani calzari, a gambe nude, vestito da antico oratore greco suscitando l’ilarità dei presenti, ma, nonostante la stranezza dei comportamenti la critica moderna non può negargli la passione per la poesia e una non spregevole attività di pittore e incisore.
Agata Ausilia Farrugio nel suo accurato lavoro di ricerca durante il triennio accademico 2007-2010 nell’Università di Catania, occupandosi di Potenzano fa notare come certi comportamenti dell’artista non fossero da considerare per così dire ortodossi, e che l’uomo non doveva essere esente da superbia e ipertrofica autostima.
Della sua attività pittorica sono pervenute alcune opere di cui si sono occupati gli storici dell’arte più di quanto si siano interessati i critici alle sue fatiche letterarie zeppe di citazioni classiche a sproposito e di iperbolici paragoni.
Un quadro con la Lavanda dei piedi, firmato «Franciscus Potenzanus inventor et pictor” datato 1580, in cui si ritrae come orante è custodito a Palermo nei depositi del Museo di Palazzo Abatellis (Nota 4 ) (FOTO N° 2, 3, 4)
Una “Santa Caterina” si trova nella Cattedrale di San Giovanni di Malta e un San Giorgio che uccide il drago nel Museo di La Valletta, opera ricca di particolari, dipinta prima del 1581 con l’emblema del Gran Maestro dell’Ordine Jean Levesque de la Cassiere.(FOTO N° 5) accostabile al quadro privo di attribuzione con lo stesso soggetto esistente nella Chiesa palermitana dei Genovesi (FOTO N* 6 )
Ma Potenzano è anche autore di diverse incisioni. L’’Omaggio dei Pastori” del British Museum è tratta da Marco Pino (Siena 1525- Napoli 1587) in controparte (FOTO N° 7) e il “Riposo durante la fuga in Egitto” è inventata da Cherubino Alberti (FOTO N° 8).
Ma in un’acquaforte con l’immagine di San Cristoforo datata 1583 Potenzano facendo sua l’invenzione si dichiara non senza enfasi accademico fiorentino. (FOTO N° 9)
L’opera assume per i biografi un certo valore poiché ratifica la frequentazione del pittore con esponenti della Curia romana essendo essa dedicata a Pietro de Deza Manoel, prelato spagnolo, presbitero di San Ciriaco alle Terme quando da cardinale ebbe la fortuna, e il denaro, per acquistare il celebre palazzo Borghese.
La Predicazione di San Giovanni Battista, eseguita a Roma nel 1591 attesta la permanenza del pittore nella città eterna da cui dovette far ritorno a Palermo non molto tempo dopo come si evince da due atti notarili dell’Archivio di Stato palermitano (Nota 5) nei quali sono documentate le commissioni di due dipinti di grandi dimensioni perduti o non identificati: il primo, su tavola, gli fu ordinato nel 1593 da Francesca Failla, suora nel Convento di Sant’Agostino dopo la morte del marito Geronimo, presidente in vita della Regia Gran Corte.
Nel dipinto, alto circa tre metri e largo più di due, per un compenso non indifferente di 40 onze, Potenzano doveva rappresentare “la gloriosa Virgini Santa Maria di la Gratia, con San Francisco et Santo Antonino”. Il secondo quadro, in tela, alto poco più di due metri e largo un metro e mezzo circa, commissionatogli nel 1595 da un’altra vedova, Paola Rodorico, doveva avere come soggetto San Michele Arcangelo da dipingere
(…) colli balanzi, di bellissimo aspetto proportionato et magistrabilmenti facto di coluri fino, con litteri maiusculi di sotto chi dicano: “Sancte Michaele Arcangele defende nos”
e con
una imagini piccola di una monaca con lo suo manto chi sia in ginuchiunj orando lo Santo et sotto Sancto Michaele ci sia Lucifero sotto li pedi del modo si sole depingiri.
Il quadro era destinato al Monastero del SS. Salvatore e il prezzo pattuito di 10 onze, ma l’aristocratica committente dalle dettagliatissime pretese sembra intendesse riservare poco spazio all’immaginazione dell’artista che il ritrovamento dell’opera potrebbe però rivelare insieme al ritratto della stessa committente in veste di suora. Ma si dà il caso che il tranciante giudizio negativo e il dileggio siano toccati inaspettatamente a Potenzano in una materia estranea alla critica letteraria.
In una maiolica di spezieria palermitana di collezione privata, allestita nell’ultimo quarto del Cinquecento, individuata e pubblicata da Antonino Ragona (Nota 6), è infatti dipinto un profilo caricaturale con la corona di foglie sul capo pelato accompagnato dalla scritta CICALONO. (Nota7) (FOTO 10)
Che la figura sia riferita a Potenzano, tenuto conto anche delle motivazioni avanzate dal Ragona, non sembrano esserci dubbi, come non ci sono misteri su quanto il pittore-poeta, che persino nelle Rime esaltava le doti taumaturgiche del padre, fosse odiato da medici e speziali dal momento che lui e la sua famiglia di calzolai si vantavano, in concorrenza con i rimedi forniti dalla scienza medica, di poter curare ogni malattia con “orazioni, olio e lana”.
L’immagine caricaturale dipinta sull’albarello fatto eseguire, probabilmente tramite il mercante Cesare Candia, a Faenza nell’ultimo quarto del XVI secolo, appartiene al genere dei “ritratti di stato” corredata da chiari addentellati: la corona sul capo non è né d’alloro, né di quercia allo scopo di non considerare il soggetto né come poeta né come uomo di lettere che ha la bocca spalancata in atto di tronfia declamazione. Accanto all’immagine l’autore della maiolica in un primo momento aveva scritto la parola “Omero”, come Potenzano stesso amava senza vergogna definirsi, ma la parola cancellata che ancora si intravede fu sostituita con l’epiteto più esplicito di “Cicalono”.( FOTO N. 11)
Per le evidenti analogie stilistiche tra questo prezioso reperto e quello, anch’esso faentino, in cui è ritratto lo speziale Garillo, scomparso nel 1590, è probabile che la maiolica facesse parte del corredo vascolare della spezieria più famosa di Palermo, quella appunto di Luigi Garillo (FOTO N° 12) al quale il protomedico di Sicilia Gian Filippo Ingrassia, in barba alle leggi che vietavano sin dai tempi di Federico II di stabilire rapporti di parentela tra medici e speziali, aveva dato in moglie la figlia Eleonora e non si peritava nella sua “Informatione sul pestifero e contagioso morbo” del 1575 di affermare che il miglior rimedio contro la peste, la teriaca, si poteva acquistare nella bottega del genero giacché era quella di migliore qualità. Non erano evidentemente tempi di in cui si affermavano i principi morali. I cardinali acquistavano prestigiosi palazzi, gli speziali dileggiavano i poeti, i diaristi si prodigavano in sperticate adulazioni dei potenti, lo stesso Marcantonio Colonna faceva imprigionare il padre e uccidere il marito della sua amante, Eufrosina Corbera.
Dei giudizi poco generosi, delle illazioni e delle invidie correnti sul finire del XVI secolo dovette dunque prendersi la sua parte, non del tutto immeritata, anche Potenzano, sia come poeta che come pittore costretto a vivere in quei tempi difficili, preludio dei moderni. E forse non soltanto per lo spettacolo dell’incoronazione finita in farsa e sparo di mortaretti nella strada Colonna tra le risate degli spettatori, ma soprattutto per le sue “Rime” straripanti di lodi esagerate e inadeguati confronti con i poeti e i pittori del passato come Virgilio e Raffaello.
Il suo profilo caricaturale sul vaso arrivato sino a noi con la scritta “Cicalono” perché l’artista venisse additato come icona di millanteria, circolando negli ambienti delle spezierie forse non bastava al giudizio dei contemporanei che della poesia e della pittura avevano orientamenti assai diversi dalla critica moderna, ma negli ambienti culturali la sua notorietà mista al dileggio era diffusa e destinata a durare nel tempo come attesta un’altra maiolica di fattura palermitana del primo quarto del secolo XVII, (FOTO N° 13) attribuibile al decoratore Filippo Passalacqua, nella quale è dipinta una figura caricaturale vestita alla maniera degli antichi romani che sembra alludere allo stesso nostro personaggio scomparso all’età di 49 anni.
Ma il dissidio tra il mondo della scienza e quello della letteratura che si verifica a Palermo alla fine del XVI secolo sembra anticipare la voragine che si aprirà in Italia dopo non molti anni. Da un lato le osservazioni scientifiche di Galileo e dall’altro le stravaganze della letteratura della “maraviglia”.
Rosario DAIDONE Palermo 14 Aprile 2024
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