di Mario URSINO
Tiziano a Roma nel 1545-1546, e un’inedita copia ritrovata della Danae
Ma quante repliche, copie e derivazioni esistono del famoso dipinto del Tiziano, Danae, 1544-1545, Napoli, Museo di Capodimonte* [fig. 1], che l’artista ralizzò per il Cardinale Alessandro Farnese (1520-1589) fig 2
Solo nel catalogo di Federico Zeri se ne contano almeno undici (inclusa quella sopra citata) e altre tre si trovano in celebri musei del mondo, Madrid [fig. 3], Vienna [fig. 4] e San Pietroburgo [fig. 5]; esse sono quasi tutte di equivalenti misure (mediamente tra 120×170), mentre alcune, anche di piccolo formato, sono state eseguite tra Seicento e Settecento, ma forse ne esistono anche di più.
Degna di nota, infatti, per qualità e singolarità del soggetto, è la versione conservata all’Art Institute di Chicago, una Danae, datata “after 1554”, olio su tela, cm.120×169, nella quale la figura della donna, completamente nuda, appare da sola nella stanza che si apre sul fondo ad uno splendido paesaggio [fig. 6]: “astonshing landscape with vibrant light effect and the face of Jove among the clouds” (N. Penny, 2008).
Nei più recenti studi, inoltre, sono state riesaminate, e per certi versi rese note altre copie di non minore importanza, quale quella appartenente alla Wellington Collection, Londra [fig. 7], già facente parte di un folto gruppo di opere della corona spagnola sottratte a Giuseppe Bonaparte mentre questi fuggiva dalla Spagna.
Gli studiosi, per la qualità della Danae emersa dopo un recente restauro e sulla base di documenti che attestano la volontà del sovrano spagnolo Ferdinando VII, nel 1816, di non volere la restituzione di quelle opere, ma di considerarle come dono al Duca di Wellington, hanno ritenuto di attribuire a Tiziano codesta opera quale seconda versione eseguita nel 1551-1553c. per Filippo II. (cfr. Nicolas Penny, The Sixteenth Century Italian Paintings, Venice 1540-1600, National Gallery Publication, Londra, 2008, vol.II, p.283; Mostra Tiziano: Danae, Venere e Adone, le prime poesie, Madrid, 2014-2015; e cat. Titian at Apsley House, Londra, 2015).
Una bella copia antica, molto probabilmente settecentesca, (si veda nota in calce), certamente inedita, l’ho rinvenuta nella sede del prestigioso Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, sito nel Palazzo Venezia a Roma, di cui quest’anno ricorre il Centenario della fondazione; l’Istituto, come è noto, fu voluto da Benedetto Croce e dal famoso studioso, archeologo e storico dell’arte Corrado Ricci (1858 – 1934) che ne è stato anche il primo presidente dal 1922 al 1934; l’attuale Presidente è il Professor Adriano La Regina.
Il dipinto in questione [fig. 8] risulta consegnato dal museo di Palazzo Venezia, insieme ad un gruppo di trentasette opere, come arredo della sede “in deposito temporaneo” il 25 novembre 1957 (n. 10 dell’inventario) quale “copia della Danae di Tiziano”, senza alcuna notizia, allo stato attuale delle ricerche, sulla sua originaria provenienza, poiché non sono citati precedenti numeri di inventariazione dell’ente consegnatario; tuttavia da una lettera dell’allora Presidente, il Professor Pietro Toesca, dell’8 aprile del 1949, si richiede di spostare e conservare gli arredi dell’Istituto (con dettagliato elenco stanza per stanza, tra cui figura la copia della Danae) presso il museo di Palazzo Venezia per tutto il periodo di lavori di restauro degli ambienti dell’Istituto.
Con la cortesia del dottor Massimo Pomponi, funzionario dell’Istituto, abbiamo recentemente esaminato con attenzione l’opera, giunta all’Istituto dopo un precedente restauro, (v. nota in calce), e l’abbiamo fotografata per verificare questa copia della Danae a quale delle diverse versioni nei quattro musei sopra citati, autografe o di bottega del Tiziano, si possa riferire.
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La fortuna di un capolavoro
La Danae, 1544-1545, nel museo napoletano di Capodimonte, è un olio su tela di cm. 120 x 172,
considerata la prima di una serie di versioni, copie e derivazioni, commissionata, per alcuni storici del passato (Vasari, 1568, Ridolfi, 1648) per il principe Ottavio Farnese (1525 – 1586), duca di Parma, ritratto nel 1551 [fig. 9] da Giulio Campi (1508 – 1573), Piacenza, Musei Civici; altri studiosi contemporanei (Zapperi, 1991) più convincentemente, in base al ritrovamento di una lettera del Nunzio papale a Venezia, Monsignor Giovanni della Casa (1503 – 1556) (ritratto dal Pontormo nel 1540-1543, Washington, National Gallery of Art, fig. 10) indirizzata al cardinale Farnese il 20 settembre 1544 e conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana, attribuiscono la committenza al cardinale Alessandro Farnese, ritratto da Tiziano a Roma nel 1545-1546, oggi a Napoli, Museo di Capodimonte. Il presule, in visita allo studio di Tiziano a Venezia, così descrive una tela che l’artista stava dipingendo: “…lha presso che fornita, per commession de Vostra Signoria Reverendissima, una nuda che faria venir il diavolo addosso al Cardinal San Sylvestro…”; il Nunzio allude al domenicano Tommaso Badia, autore nel 1537 del Consilium de emendanda ecclesia, considerato uno dei principali censori in fatto di costumi corrotti della curia romana (cfr. Danae, scheda n. 40 a cura di Francesco Valcanover, in cat. Tiziano, Palazzo Ducale, Venezia 1991, pp. 267-269; cat. la Danae di Tiziano del museo di Capodimonte, il mito, la storia, il restauro, a cura di Anna Chiara Alabiso, introduzione di Nicola Spinosa, Electa Napoli, 2005; Francesca Bonazzoli, Danae, la modella che turbò Roma, in Corriere della Sera, 2 febbraio 2008), dal che si può dedurre che il dipinto sia stato iniziato a Venezia nel 1544, e poi ultimato a Roma tra il 1545 e il 1546, quando ancora non era stato intitolato Danae; e si può quindi ipotizzare che il ricorso al nome del soggetto mitologico ovidiano non sia stato altro che un modo, peraltro poco velato, per evitare la censura di un’opera di evidente espressione erotica. Quanto alla donna raffigurata, il Della Casa ci informa che il Cardinale Farnese aveva inviato al Tiziano uno schizzo del miniaturista Giulio Clovio (1498 – 1578), al servizio dei Farnese, raffigurante la testa di una certa Angela, per ottenerne un ritratto; la donna era la cognata di Camilla Pisana, una celebre cortigiana del tempo: “… et se don Iulio gli manda lo schizzo della cognata della signora Camilla, lo farà grande e somigliaralla certo […] et volle appiccicarle la testa della sopradetta cognata, pur che ‘l benefizio venga”. E difatti il Tiziano non fece altro che fissare la testa di questa Angela, amante del cardinale, sul corpo della ignuda.
A Roma l’opera fu molto ammirata, anche dal Michelangelo, come narra il Vasari nelle Vite (1568):
“Andando un giorno Michelagnolo et il Vasari a vedere Tiziano in Belvedere, videro in un quadro, che allora avea condotto, una femina ignuda figurata per una Danae, che avea in grembo Giove trasformato in pioggia d’oro, e molto come si fa in presenza, gliele lodarono […] Il Buonarruoto lo comendò assai, dicendo che molto gli piaceva il colorito suo e la maniera ma che era un peccato che a Vinezia non s’imparasse da principio a disegnare bene e che non avessono que’ pittori miglior modo nello studio.”
Tiziano conosceva bene l’opera del grande artista toscano, e certo ne fu influenzato per l’iconografia della Danae, che rammenta, come è noto, non solo la scultura Notte [fig. 11] per la tomba di Giuliano de’ Medici
nella Sacrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze, ma pure il dipinto Leda, 1530, del Michelangelo, portato a Venezia dal Vasari nel 1541, che noi conosciamo oggi solo grazie a una copia cinquecentesca dell’originale perduto (copia che si trova a Londra alla National Gallery, e attribuita a Rosso Fiorentino) [fig. 12].
Per le lodi e il successo della Danae, Tiziano trasse un “cartone” dal dipinto per poterlo facilmente replicare, insieme alla sua bottega (in seguito solo dalla bottega, come nella mediocre versione dell’Ermitage), sempre con qualche variante per le numerose richieste da parte di altri estimatori; primo fra tutti fu Filippo II, per il quale il pittore eseguì nel 1553c. la seconda versione, fino a non poco tempo fa considerata quella conservata a Madrid, mentre oggi, come abbiamo visto, è quella della Wellington Collection. In questa versione di Londra, la modella appare ancora più ignuda, essendo il lembo del lenzuolo scivolato sulla gamba sinistra, lasciando scoperta quasi tutta la figura; inoltre al posto dell’amorino compare la vecchia serva che cerca di raccogliere inutilmente col grembiale la pioggia d’oro che feconderà la figlia di Acrisio, re di Argo; inoltre, la tenda, piegata diversamente, è color porpora; e non si vede in alto la nuvola di Giove, poiché il dipinto, essendosi negli anni danneggiato nella parte superiore, è stato sezionato nel XVIII secolo (cfr. mostra Madrid, op. cit. 2014-2015).
Il Cupido che è presente nella prima versione (Capodimonte) e nella copia identica da noi rinvenuta presso l’Istituto Nazionale di Archeologia e di Storia dell’Arte di Roma (un’altra copia, con l’amorino in misure ridotte rispetto all’originale, risulta nella Collezione Golovin a New York, precedentemente citata nel catalogo Zeri, come appartenente alla collezione Klein, fig. 13) rammenta il famoso Eros lisippeo nelle diverse versioni in marmo di età romana (dall’originale in bronzo), di cui la più nota trovasi nei Musei Capitolini a Roma [fig. 14]. Sappiamo inoltre dal Vasari che Tiziano a Roma, oltre a lavorare per il Farnese e per Carlo V, andò in giro per visitare le antichità, come è confermato da una sua lettera indirizzata all’Imperatore l’8 dicembre 1545:
“Io sono hora qui in Roma, chiamatoci da Nostro Signore, et vado imparando da questi meravigliosi sassi antiche cose per le quali l’arte mia divenghi degna di pingere:” (in. Tiziano, Le lettere, Magnifica Comunità di Cadore Editrice, 1989, p. 84).
E dell’importanza delle antichità romane l’artista ne aveva già discusso a Venezia col suo amico Pietro Aretino, tanto che questi così gli scriveva alcuni mesi prima dalla città lagunare, nell’ottobre del 1545: ”Mi pare ogni ora un mese il tempo de lo aspettar che ritorniate, solo per udire ciò che vi pare degli antichi marmi…”
(ibid., p. 81). E sempre a proposito dell’iconografia del Cupido, va segnalata una sicura fonte veneziana che certamente doveva essere nota al Tiziano: si tratta dei famosi Rilievi con putti del Trono di Saturno (I sec. d.C.) [fig. 15], oggi nel Museo Archeologico di Venezia, molto studiati in età rinascimentale poiché essi erano visibili ed esposti sopra un’arcata che collegava Piazza San Marco con le Frezzerie.
Tiziano quindi considerava la sua Danae una Venere, rappresentandola con l’Amorino. Ma dovendo eseguire delle repliche si inventò delle varianti nella composizione, inserendo una serva che di volta in volta cerca di raccogliere la pioggia d’oro, per impedire che essa fecondasse la Danae, racchiusa in una torre di bronzo dal padre Acrisio, re di Argo, per timore del tragico destino che lo attende, secondo la profezia dell’Oracolo (Ovidio, Metamorfosi, IV, 611); la serva è l’unica che possiede le chiavi per accedere alla regale reclusa, come si vede bene nelle varianti di Madrid, Vienna, San Pietroburgo e Londra; tentativo vano poiché Danae accoglie comunque estatica l’amore del fedifrago re degli dei, come si legge esplicitamente anche in un brano del famoso
testo rinascimentale, probabilmente noto al Tiziano, l’ Hypnerotomachia Poliphili, stampato nel 1499 a Venezia da Aldo Manuzio, e illustrato con 172 xilografie (in una di esse si vede la Danae rinchiusa nella torre, fig. 16): “Là dentro, sedendo oziosa, con estremo piacere vedeva piovere gocce d’oro nel grembo virginale…”, ed è proprio così che la rappresenta il maestro veneziano.
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Mentre per la “nuda” o la Danae Tiziano aveva dipinto su commissione, come abbiamo fatto cenno più sopra, del principe Ottavio Farnese, o del cardinale Alessandro Farnese, entrambi nipoti di Papa Paolo III, (ritratto con i due dal Tiziano nel famoso dipinto a Capodimonte), e poi su richiesta di Filippo II (la seconda versione secondo gli ultimi studi, ora nella Wellington Collection), nel caso dell’altro fortunato tema mitologico ovidiano, Venere e Adone (Metamorfosi, X, 503-513, fig. 17), fu Tiziano stesso a proporlo al giovane sovrano spagnolo nel 1553, in occasione delle sue nozze con Maria Tudor, con la seguente lettera: “…poiché la Danae che io mandai a Vostra Maestà, si vedeva dalla parte dinanzi, ho voluto in quest’altra poesia [Tiziano denominava “poesie” la serie dei suoi dipinti di soggetto mitologico, n.d.A.] variare e farle mostrare la contraria parte, acciocché riesca il camerino, dove hanno da stare, più grazioso alla vista” (dalla Raccolta di lettere… di M. Gio. Bottari e poi da Stefano Ticozzi, New York, 1976, vol. II, p. 11). Il dipinto, che appunto mostra “la contraria parte”, è Venere e Adone; ciò che conferma che anche la Danae era considerata una Venere con un amorino nella prima versione e nella copia che stiamo esaminando, come del resto attestato nelle iconografie più antiche, rintracciabili in vasi attici, pitture pompeiane e mosaici dell’antichità.
E come per la Danae, anche nel caso di Venere e Adone furono realizzate almeno sette versioni, tra quelle più note conservate nei più importanti musei del mondo: a Madrid, Prado, la prima del 1553, a Londra, National Gallery, quella del 1555ca., già a Roma in Collezione Colonna, a New York al Metropolitan Museum of Art, quella del 1560, a Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, la versione del 1555, a Los Angeles, Getty Museum, quella del 1555-1560, a Washington, National Gallery of Art, quella del 1560, ad Oxford, Ashmolean Museum, quella del 1560ca. (tutte repliche pressocchè simili, e ovviamente del Tiziano e della sua bottega; anche quest’opera di ispirazione ovidiana trova un suo precedente icongrafico in un marmo antico: il noto Letto di Policleto o Amore e Psiche, fig. 18). Va infine
ricordata, a questo proposito, l’importante mostra, già più sopra citata, che si tenne a Madrid tra il 2014 e il 2015, Danae, Venere e Adone, le prime poesie, che sancisce la fortuna critica e il successo di un tema tra i più classici della pittura dedicati alla bellezza del corpo femminile.
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Nota sulla Danae dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte
Il dipinto, in una antica cornice dorata e intagliata [fig. 19] è un olio su tela, cm.127×170,5, in tutto simile alla prima versione a Capodimonte (anch’essa in antica cornice dorata e intagliata) da considerare, a mio avviso, in qualche modo modello per la nostra copia nell’Istituto (cfr. fig. 20). L’opera, come si è detto, risulta depositata a tempo indeterminato dal Museo di Palazzo Venezia dal 1957, (sebbene già presente nella sede dal 1949, come si è detto), tuttavia allo stato attuale delle ricerche archiviste non ancora è stato possibile rinvenire notizie sulla sua antica collocazione e provenienza.
Il dipinto, in buone condizioni, presenta tracce di un precedente restauro, prossima alla data del deposito, perciò non troppo lontano nel tempo, considerata la relativamente moderna foderatura, eseguita correttamente sulla tela originaria [fig. 21].
All’esame per la verifica dello stato di conservazione e del pigmento pittorico, eseguito attualmente dalla restauratrice, dottoressa Marianna Fonzo, risulta quanto segue:
“Il dipinto, è una bellissima copia fedele dall’originale di Tiziano. Da un’analisi attenta della tela, dal davanti, essendo lo stesso rifoderato in tempi non recenti, probabilmente negli anni ’50-’60 del Novecento, è possibile riscontrare una tramatura molto sottile e fitta, tipica dell’epoca settecentesca. Sono presenti delle piccolissime lacune non importanti, a livello del fianco e del polpaccio della donna, il che ci fa intravvedere la preparazione sottile e chiara, tipica anch’essa dell’epoca settecentesca (Mestica a olio).
I colori chiari e ben sfumati, ci fanno presumere che la tela sia stata eseguita da una buona mano. Purtroppo, data la foderatura sottostante, non abbiamo tracce di firme o date che possono portarci ad avere informazioni più dettagliate riguardo alla data e all’epoca di esecuzione. Anche il grosso reticolo di craquelures detto “a chiocciola”, riguardante la parte centrale dell’opera. in prossimità del morbido bianco panneggio, posato sulla coscia della donna, ci fa presumere l’esecuzione settecentesca, dato che si tratta di un tipico fenomeno di invecchiamento legato generalmente ad una rapida asciugatura dei pigmenti chiari, poveri in legante, avendo una struttura particellare meno porosa dei pigmenti scuri, che reagisce con la preparazione oleosa sottostante, causando nel tempo una crettatura a spirale regolare.
Da analisi a luce radente, sono presenti delle zone con una evidente opacità, dovuta probabilmente all’alterazione dei ritocchi avvenuti in epoca non recente.
Da notizie di archivio, l’opera è stata sottoposta ad una pulitura preventiva superficiale in data recente, nell’inverno del 2015, dalla restauratrice, dottoressa Daniela Caporali Viggiani, per cui si trova in discrete condizioni”.
Marianna Fonzo
*La Danae di Capodimonte e i Nazisti
Durante la Seconda Guerra Mondiale, come è noto, moltissime opere d’arte furono razziate dai nazisti su ordine di Hitler e di Goering (cfr. Rodolfo Siviero, L’Arte e il Nazismo, a cura di Mario Ursino, Firenze, 1983), da musei e collezioni private, tra queste la Danae di Tiziano dal museo di Capodimonte che Goering volle per sé; si racconta che egli aveva inserito il dipinto nella sua camera da letto, “prima sul soffitto e poi usata come spalliera”. A questo proposito, in occasione dell’inizio del recupero delle opere trafugate, ricorda Siviero:
“… Il primo capolavoro che vidi in Germania [fu] la Danae di Tiziano della Pinacoteca di Napoli. Dentro l’atrio del Collecting Point, già sede del partito nazista di Monaco – tetro e agghiacciante – la nuda di Tiziano emanava dai suoi caldi colori la luce di Venezia che mi riempì di gioia” (in: Rodolfo Siviero, Esodo e ritorno delle opere d’arte italiane asportate durante la Seconda Guerra Mondiale. Storie note e meno note, in L’opera ritrovata, Omaggio a Rodolfo Siviero, Firenze 1984, p. 17).
L’opera, ritornata in Italia, fu esposta a Palazzo Venezia alla Mostra delle Opere Recuperate del 1947 alla presenza di Siviero, del Generale Lucius Clay, del Presidente De Nicola, e dei ministri De Gasperi e Gonella, ripresi davanti alla Danae di Tiziano [fig. 22], asportata dalla divisione Goering insieme ad altri 14 dipinti dal Museo di Capodimonte, Napoli.
di Mario URSINO Roma giugno 2018
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