Sotto la Torre di Toblin. Identificate le cime del Cadore in un dipinto che sta tra Tiziano e Domenico Campagnola.

di Massimo PULINI

Sotto la Torre di Toblin

Un santo eremita nelle montagne del Cadore

Tra Tiziano e Domenico Campagnola

Un sole delicato rischiara le pendici della Torre di Toblin il cui costone massiccio a scarpata diagonale è fuori dal cono d’ombra che vela le tre guglie mozzate alla cima, ma erte come gigantesche ciminiere, a dominio della profondissima valle dolomitica (Foto 1). Quella perditiva visione viene descritta nel dipinto con commovente cura nell’intento, del tutto raggiunto, di cogliere un accordo armonico tra il sentimento della più aperta natura e un’intima spiritualità.

1) Tiziano e collaboratore (Domenico Campagnola?), San Girolamo davanti a un paesaggio del Cadore, Londra, collezione privata ©Gilberto Urbinati

Proprio ai piedi della Torre è inginocchiato in preghiera un anziano anacoreta, dalla barba lunga, canuta al pari dei capelli che rasati ne disegnano la nuca. Il suo corpo, interamente nudo, se si esclude una stola annodata sui fianchi, è proteso verso una grande croce che si alza parallela e assicurata al tronco di un albero, le cui fronde fungono da portico naturale, quasi da baldacchino.

Il Cristo crocefisso ha le proporzioni di un bambino, se le si raffronta alle misure del dinoccolato San Girolamo che gli sta genuflesso davanti, ma vive di una semplicità che ce lo rende autentico: una povera scultura di montagna, priva d’architettura e posta a poca distanza da un remoto rifugio dell’anima.

È in tutta la metà sinistra della tela che si compie questa stringente relazione di senso tra la chioma dell’albero, il cielo annuvolato, il monte in penombra, la chiesetta in eremo, la statua del dolore e poi il sentiero, l’uomo, la preghiera, fino a incontrare nel piano di terra anche la presenza simbolica di un teschio rovesciato e di un libro che sembra aperto dal vento.

Sulla parte destra del quadro tutto è lasciato al succedersi prospettico di rocce, dossi terrosi, arbusti e colli che, come petalo su petalo, dischiudono la valle in rapida discesa. Il rialzo avviene infine sui monti lontani, sempre più raffreddati dall’azzurro, ma ancora presenti e definiti nella loro forma individuale, unica (Foto 2).

2) Tiziano e collaboratore (Domenico Campagnola?), San Girolamo davanti a un paesaggio del Cadore, Londra, collezione privata (particolare con identificazione dei monti) ©Gilberto Urbinati

Uno scenario che rimanda a montagne alle quali è stato dato nome, tutte entro una stessa catena, se per l’appunto oltre all’inconfondibile Torre di Toblin[i] (Foto 3 e 4), vediamo al centro la prua chiamata Sasso del Bosconero[ii] (Foto 5) e più lateralmente l’onda increspata del Pelmo[iii] (Foto 6).

Siamo senza ombra di dubbio nel Cadore e in campo pittorico, appena si pronuncia questo termine, tutto prende un’altra luce, un nuovo significato.

3) Dolomiti, Torre di Toblin (BL), altezza 2617 metri.
4) Dolomiti, Torre di Toblin (BL), con probabile zona di ripresa del dipinto
5) Dolomiti, Sasso di Bosconero (BL), altezza 2468 metri
6) Dolomiti, Monte Pelmo (BL), altezza 3168 metri

Per la verità l’approccio con questo dipinto non è partito dalle mie modeste conoscenze alpine, ha avuto un percorso del tutto diverso e la prima impressione che ha mosso la scrittura è stata quella di trovarmi davanti a un’opera uscita direttamente dalla bottega di Tiziano, per una miscela di indizi e prove, di convergenze e rivelazioni, delle quali anche le vette fanno parte.

Come è noto il Vecellio nacque a Pieve di Cadore nella valle coronata dalle stesse montagne che sono state appena descritte e rimase strettamente legato nel sentimento a quei luoghi remoti, fino a portarli con sé nel suo secondo nome di Cadorino; ma riservando loro anche un ruolo corale, di eco, sullo sfondo di molte composizioni pittoriche.

Il dipinto, dopo un passaggio sul mercato tedesco in perfetto anonimo[iv], giunge a noi con la recente paternità assegnata a Domenico Campagnola, per idea di Michele Danieli, una intuizione che ha raccolto la conferma anche dello specialista Mauro Lucco[v]. Sotto questa indicazione è transitato presso la Dorotheum di Vienna, ma per quanto plausibile il rimando alle aperte vedute ricamate dei disegni di Campagnola (Foto 7, 15 e 16), rimangono meno eloquenti i confronti pittorici che si possono instaurare, oltre a non ritenere esauriente il nome del Campagnola per contenere l’intera forza stilistica del dipinto e di tutto il reale racconto che vi si sprigiona.

7) Domenico Campagnola, San Girolamo davanti a un paesaggio montano, Cleveland Museum of Art

Solo il secondo passo delle indagini ha riguardato l’identità dei luoghi che, partite le ricerche senza la pretesa di imbattersi in una visione d’insieme corrispondente, hanno invece portato al ritrovamento, per me strabiliante, delle tre principali vette dipinte sulla tela.

La rarità di questa scelta compositiva sembra equiparare le cime dei monti cadorini alle torri riconoscibili in una veduta di città e questo eleva a un valore di metafora l’intero dipinto.

8) Tiziano, San Girolamo penitente, Parigi, Louvre

Andando per brevi capitoli, il terzo atto di studio ha riguardato il vaglio delle iconografie dedicate a San Girolamo in eremitaggio, tra quelle autografe di Tiziano e quelle per le quali i documenti ci aiutano a risalire alle loro originarie collocazioni.

Nelle opere già note prevale una energia contratta che corrisponde al momento dell’estrema punizione del corpo, al gesto di percuotersi il petto con un sasso impugnato sempre dalla mano destra. Così è per la favola lunare del Louvre (Foto 8) giocata in penombra e controluce; per le più ruvide scene della Tyssen e di Brera (Foto 9) concepite al pari di una incipiente scalata rocciosa o per l’umida rappresentazione dell’esemplare conservato all’Escorial (Foto 10).

10) Tiziano, San Girolamo penitente, El Escorial, Museo
9 Tiziano

Dunque il tema non è precisamente lo stesso, non vi traspare infatti alcuna serenità nella preghiera, tutto è dominato da un moto turbato e spinto al limite del furore.

Tra i dipinti di medesimo soggetto, che i documenti riferiscono a Tiziano, ma che risultano tuttora dispersi, spicca la notizia di un’opera che si trovava collocata proprio entro la valle del Cadore:

A Longarone, distretto nel Bellunese, pinse una preziosa tela del penitente S. Girolamo nella Chiesa di S. Cristoforo, che venne smarrita senza che s’abbia potuto avere più tracce…. (Abate Giuseppe Cadorin, Dello Amore ai veneziani in Tiziano Vecellio, delle sue case in Cadore e in Venezia e delle vite de’ suoi figli, Venezia 1833)[vi].

Ovviamente non possiamo valutare la pertinenza attributiva di questa nota, ma resta una indicazione da tenere in debito conto. Anche qui viene fatto riferimento al ‘penitente S. Girolamo’, ma nulla vieta che il solo atto di pregare fosse definito ‘penitenza’, dato che l’inginocchiarsi davanti al crocefisso e il giungere le mani al suo cospetto, può dirsi un modo di chiedere perdono per peccati che solo un eremita poteva conoscere.

Resta comunque energica e quasi possente la figura profilata del santo, sapientemente descritta in una prestanza muscolare che la vita selvaggia ha temprato senza indebolire.

Per ritrovare un atteggiamento di tenerezza nel più ascetico tra i dottori della chiesa dobbiamo rifarci a un’opera che Tiziano eseguì in collaborazione col figlio Francesco, la Madonna col Bambino, San Girolamo e santa Dorotea, ora nel museo di Glasgow (Foto 11).

11) Tiziano e Francesco Vecellio, Madonna col Bambino con san Girolamo e santa Dorotea, Glasgow, Museo

Singolare tuttavia è anche la composizione di un disegno conservato al British Museum, attribuito da quasi tutte le monografie a Tiziano stesso, nel quale un Sant’Eustachio (Foto 12) ha posa molto simile al San Girolamo che qui si presenta.

Nella stessa raccolta inglese è ugualmente conservato un doppio Studio per San Girolamo, che indaga sia l’atto autolesionista che un’estrema contrizione orante (Foto 13). Davvero intensa la sequenza di emozioni differenti ed è curioso che il tutto avvenga a pochi passi da una chiesetta, presente anche nel disegno.

12) Tiziano, Sant’Eustachio, Londra, British Museum
13) Attribuito a Tiziano, Studi per San Girolamo, Londra, British Museum
14) Domenico Campagnola (già attribuito a Tiziano), Studio per San Girolamo, Washington, National Gallery

Mentre a Washington, nella National Gallery si trova un disegno molto prossimo nel tema e nella composizione. Un foglio ora concordemente riferito a Domenico Campagnola, anche se per lungo tempo ha portato un riferimento a Tiziano (Foto 14).

Si incontrano, nella vasta produzione grafica di Domenico, molti racconti che declinano la presenza del saggio studioso in costume adamitico, entro aperture di valli, tra scenari rocciosi e boschivi, in una miscela che sta tra contemplazione e ascesi (Foto 15 e 16).

15) Domenico Campagnola, Paesaggio con San Girolamo, (calcografia), Berlin, Kupferstichkabinet
16) Domenico Campagnola, Paesaggio con San Girolamo, Frankfurt am Main, Sammlung, Stadel Museum

Lo stadio successivo dell’indagine ha riguardato la puntuale somiglianza del profilo del santo con l’effigie dello stesso Tiziano. A partire dall’Autoritratto senile del Prado (Foto 17) e dal presunto Autoritratto[vii] in disegno di collezione privata statunitense (Foto 19), che restituiscono gli stessi caratteri del nostro anacoreta. Il naso che spiove adunco sulle guance scavate, la barba a sacca, lo sguardo vivido, pensante, ai limiti della commozione.

Già il Danieli, a cui va il merito di aver dato per primo una giusta considerazione al dipinto, aveva giudicato ‘tizianesco’ il volto del santo in preghiera[viii], ma non è solo lo stile pittorico a rimandare al Vecellio, a parlare del geniale maestro sono le identiche fisionomie, medesime al San Girolamo, iscritte peraltro entro uno scenario natale.

Nel nuovo dipinto il profilo dell’artista e quello delle montagne vengono infatti uniti in un’unica implicita dedica.

17) Tiziano, Autoritratto, Madrid, Prado
18) Tiziano e collaboratore (Domenico Campagnola?), San Girolamo davanti a un paesaggio del Cadore, Londra, collezione privata (particolare)

Ritroviamo lo stesso identico volto anche in uno dei giusti della cosiddetta Gloria del Prado, meglio definibile come la Supplica della Vergine per i giusti del limbo, autografo di Tiziano eseguito tra il 1551 e il 1554 (Foto 20).


19) Attribuito a Tiziano, Presunto autoritratto, collezione privata
20) Tiziano, La Gloria, Madrid, Prado (particolare)

Qui in aggiunta ai caratteri descritti vi è anche la forma del collo teso e rialzato nel medesimo modo, oltre al lungo orecchio perfettamente sovrapponibile.

È mia ferma convinzione che l’opera sia uscita nella sua bottega e per progetto dello stesso Vecellio ed è innegabile che documenti la più antica e approfondita interpretazione di un paesaggio dolomitico non generico, non immaginario, ma concreto. Emerge un nitido ricordo visivo che il dipinto fa lievitare in forma di racconto, attraverso una descrizione di struggente poesia, di profonda e inedita ampiezza.

Non è oggettivamente semplice proporre una datazione dell’opera soprattutto se il collaboratore va identificato col Campagnola, come anche io penso. D’altro canto il trasferimento di questi a Padova nel 1528, spingerebbe a cercare il nome di un altro aiuto, ma va detto che sono documentati suoi rapporti professionali col Tiziano, a Venezia, almeno fino al 1540 e proprio intorno agli inizi del quinto decennio del secolo si può ipotizzare una genesi del dipinto.

La tela è stata di recente sottoposta a restauro presso lo Studio Bacchiocca di Urbino e sono emersi alcuni pentimenti che ne attestano l’invenzione genuina, in certi margini degli arti e particolarmente nelle mani giunte, che in una prima versione erano ancora più protese in avanti.

Le indagini radiografiche (Foto 21) hanno anche rivelato una curiosa mancanza nel supporto, al quale è stato aggiunto un piccolo triangolo di tela sulla parte inferiore e sinistra, alla radice dell’albero.

21) Radiografia del dipinto curata dal Courtauld Institute di Londra.

Vi sono isolati particolari, posti anche al vaglio di indagini diagnostiche, come il cranio e il libro visibili a terra, che mostrano purtroppo una consunzione, finendo per apparire come zone di sommaria stesura. Pur risultando di esecuzione antica sembrano comunque l’aggiunta di una mano più modesta.

Il resto del dipinto vive invece di una sensibilità davvero rara e anche il rustico crocefisso è toccato da una intonazione lirica, che si pone in dialogo con l’alfabeto formale di Lorenzo Lotto. Peraltro può dirsi memore di esempi lotteschi anche l’alito luminoso che rende cangiante la Torre di Toblin[ix].

Le sue cime sono adombrate da nuvole fuori campo, non direttamente visibili, mentre il largo fianco a scarpata è toccato da un chiarore tenue, riconducibile a un fascio di luce che ha forato quelle nubi. Mirabili sono anche le differenti intensità di chiaroscuro che declinano le altre cime a guglia, disposte in diagonale prospettica fino all’ultima cresta cadorina, quella del Pelmo.

Sono tenuto a ricordare che Tiziano, anche nella celebre Presentazione al Tempio di Maria bambina (Venezia, Gallerie dell’Accademia) (Foto 22), inserisce la raffigurazione del monte Pelmo e della forcella Ambrizzola, stagliate d’azzurro sopra le teste e i ritratti dei nobili veneziani. Così è anche nel Ratto d’Europa del Prado (Foto 23), dove l’autore immagina la grande cresta al pari di una falesia in riva al mare.

22) Tiziano, Presentazione al Tempio di Maria, Venezia, Gallerie dell’Accademia (particolare col Monte Pelmo e Forcella Ambrizzola)
23) Tiziano Vecellio, Ratto d’Europa, Madrid, Prado (particolare)

Nel nuovo San Girolamo in preghiera entro un paesaggio del Cadore l’interesse per il contesto naturale risulta preponderante e gli viene riservato un ruolo di protagonista narrativo.

Basterebbe quel variegato trascolorare di luci sui monti per collocare l’inedita opera ai vertici del ‘bel paesare’.

Forse in pochi oggi sanno che entro la lingua italiana si deve allo stesso Tiziano l’uso fortunatissimo del termine paesaggio e proprio il suo nome viene riportato nei dizionari etimologici come sorgente primaria del vocabolo.

24) Tiziano e aiuto (Domenico Campagnola?), San Girolamo in preghiera entro un paesaggio del Cadore, olio su tela, cm. 102 x 90, Londra, collezione privata (foto di Gilberto Urbinati) (particolare)

Una parola che nasce precisamente nel campo della pittura e proprio dalla pratica veneziana del ‘bel paesare’, che definiva la sapienza artistica di restituire uno scorcio che fosse insieme di Natura e di Paese. Una coniugazione ospitata dalla pittura dunque, che equilibrava l’immensa bellezza delle forme terrestri con la componente umana e con ciò che l’uomo aveva saputo edificare in perfetta armonia.

Oggi questo termine viene abitualmente usato in modo impreciso, nel riferimento alla sola visione di natura. Siamo abituati a chiamare paesaggio sia una veduta di mare che un anfratto boschivo, un tramonto su di una landa deserta o la visione di una cascata, ma nel XVI secolo non si usava la definizione di paesaggio se in un’immagine non vi era incastonato anche un’architettura fatta dall’uomo e mai mancava una sua diretta presenza.

25) Tiziano e aiuto (Domenico Campagnola?), San Girolamo in preghiera entro un paesaggio del Cadore, olio su tela, cm. 102 x 90, Londra, collezione privata (foto di Gilberto Urbinati) (particolare)

D’altra parte l’etimologia stessa di paese viene da pagus che in latino significava ‘cippo di confine’ ed è per questa ragione che ogni paese rappresenta ciò che noi abbiamo innestato nella natura.

26) Tiziano e aiuto (Domenico Campagnola?), San Girolamo in preghiera entro un paesaggio del Cadore, Londra, collezione privata (foto di Gilberto Urbinati) (particolare)

Tiziano praticò e promosse l’insegnamento di tale specifica attitudine aggiungendo un particolare sentimento alla prospettiva ottica naturale ed anche in opere di carattere religioso o storicistico, non dimenticava di porre uno scorcio che, proprio grazie a lui, possiamo definire paesaggio.

Il ritrovamento di quest’opera apre una nuova e importante linea di ricerca nel genere paesaggistico, che da quel momento in poi ebbe Venezia quale punto di riferimento assoluto. Entro la nostra tela, proprio nell’uscita dal ‘generico’ della veduta alpina, sta l’inedita identificazione di un territorio che trova così una nobile e quantomai precoce rappresentazione.

Immaginare un eremo spirituale iscritto nelle proprie terre, sotto la Torre di Toblin dovette per Tiziano, ad un certo punto della sua lunga vita, essere anche una vera e propria aspirazione. Così l’idea di ritrarsi entro quello scenario fatto di roccia e muschio, di ghiaccio e cielo, si pone ai nostri occhi al pari di un sincero testamento artistico.

Massimo PULINI  

NOTE

[i] La Torre di Toblin (Toblinger Knoten), è una montagna delle Dolomiti alta 2.617 m. Si trova poco a nord (circa 1 km) delle Tre Cime di Lavaredo, in Alto Adige, provincia di Bolzano, all’interno del parco naturale Tre Cime.

[ii] Il Sasso di Bosconero è una montagna delle Dolomiti alta 2.468 m. s.l.m., la cima più alta del Gruppo del Bosconero, posta tra Ospitale di Cadore e Longarone.

[iii] Il Pelmo ([Sas de] Pelf in ladino-veneto, Pelego in cadorino è una montagna delle Dolomiti di Zoldo (provincia di Belluno) che raggiunge i 3.168 m s.l.m., posta ad est del passo Staulanza.

[iv] Olio su tela, cm. 102,5 x 90. L’opera è transitata presso l’asta Fine Antiques Prague l’11 giugno 2022 e da Schlosser, a Bamberg il 25 novembre 2022, in entrambi i casi come “Venetian master of the 16th century”.

[v] Michele Danieli ha scritto del dipinto sul blog che porta il suo nome in occasione sia del primo che del secondo passaggio in asta (vedi pagina del 20 novembre 2022 e pagina del 6 aprile 2023), mentre Mauro Lucco ha confermato l’attribuzione al Campagnola su domanda della casa d’aste Dorotheum di Vienna in previsione della messa in asta dell’opera il 3 maggio 2023.

[vi] Abate Giuseppe Cadorin, Dello Amore ai veneziani in Tiziano Vecellio, delle sue case in Cadore e in Venezia e delle vite de’ suoi figli, Venezia 1833.

[vii] Non è questo il tavolo per entrare nel merito dell’attribuzione a questo disegno, valga qui la sua presenza come documento d’effigie.

[viii] Vedi blog Michele Danieli 6 aprile 2023.

[ix] Va detto che la Torre di Toblin ha già per natura, e per propria struttura geologica, una doppia cromia che la caratterizza e questa è una ulteriore prova che il dipinto non descriva un paesaggio generico ma intenda riferirsi precisamente alla catena di monti qui individuata.