William Congdon 1949 – 1951. Il viaggio nella «Waste Land» Alla Capitolium Art Gallery.

di Giulio de MARTINO

William Congdon 1949 – 1951. Il viaggio nella «Waste Land»

Alla Capitolium Art Gallery

Dopo cinquant’anni dall’ultima, si è potuta visitare a Roma una nuova mostra dedicata al pittore americano William Congdon (Providence, 1912 – Milano, 1998). È stata organizzata dalla “Capitolium Art Gallery” in via delle Mantellate, per la cura di Daniele Astrologo Abadal con opere non in vendita provenienti dalla “William G. Congdon Foundation” di Milano.

La mostra si è focalizzata, con 8 dipinti, su di un periodo cruciale della carriera artistica di Congdon: il triennio 1949-1951. Il pittore era venuto in Italia negli anni finali della Seconda Guerra mondiale come autista delle ambulanze dell’American Field Service, un servizio volontario di sanità destinato a portare soccorso alle truppe alleate e alle popolazioni civili. Per Congdon fu una permanenza che si sarebbe ripetuta durante gli anni ’50 e che si sarebbe trasformata in una sorta di “Grand Tour” nella storia dell’arte e delle città d’arte italiane.

Fig. 1 William Congdon, Pantheon n.2, 1950, olio e oro su pannello 122×105 cm © Fondazione Congdon Milano

Congdon apparteneva ad una ricca famiglia americana di industriali WASP: bianchi protestanti e, dopo essersi iscritto  alla Yale University nel 1934 aveva deciso di dedicarsi alle arti visive: alla pittura sotto la guida di Henry Hensche – pittore americano seguace dell’Impressionismo – e alla scultura, avendo come maestro George Demetrios uno scultore di origini macedoni formatosi fra gli USA e Parigi.

Con l’entrata in guerra degli U.S.A, Congdon si sarebbe arruolato nell’ American Field Service, al seguito dell’esercito statunitense, avrebbe attraversò l’Italia occupata, devastata dai bombardamenti e minacciata dal continuo spostamento del Fronte, giungendo fino al  campo di concentramento di Bergen Belsen in Bassa Sassonia.

Nella mente di Congdon si svolse un serrato confronto fra i suoi molti interessi artistici e la dura realtà contemporanea incarnata nello spaesamento dei luoghi attraversati. Nel 1947, terminata la guerra, Congdon tornò a New York e riprese a dipingere.

Fig. 2 William Congdon, Abruzzi, 1951, olio e smalto su compensato 104×124 cm © Fondazione Congdon Milano

Gli Stati Uniti, dopo la seconda guerra mondiale, si erano posti al centro della ricerca artistica con il movimento denominato da Harold Rosenberg, nel 1952, su ARTnews: «The American Action Painters». Suggestionato dalla nuova tecnica pittorica: materica, informale, espressionista, Congdon cercò di armonizzarla con la tradizione europea e italiana della pittura di paesaggio.

 Utilizzava la tecnica pittorica informale e gestuale dell’Action painting, non lavorava col pennello, ma con la spatola e il punteruolo e faceva abbondante uso di pigmenti. I suoi lavori erano caratterizzati da una matericità pesante che richiedeva l’uso di supporti rigidi come il compensato e la masonite.

Fig. 3 William Congdon, Assisi n. 2, 1952, olio e smalto su compensato 90×120 cm © Fondazione Congdon Milano

Ciò che lo distinse fu l’influsso della pittura di veduta della tradizione europea osservata dal vivo durante il soggiorno italiano. Oltre all’istanza della riproduzione del paesaggio, in lui si impresse l’idea di utilizzare supporti e superfici robuste – capaci di resistere alla fisicità dell’assalto cromatico del pittore – che derivavano dalle tavole lignee italiane adoperate dagli artisti del Quattrocento.

Artista diviso fra gli U.S.A. e l’Italia, Congdon godé della stima e dell’attenzione di Peggy Guggenheim e di Betty Parsons, la gallerista promotrice dell’Action painting, raggiungendo buone quotazioni di mercato.

Fig. 4 William Congdon, Colosseum n. 2, 1951, olio e smalto su compensato 97×125 cm © Fondazione Congdon Milano

I dipinti in mostra a Roma testimoniano del drammatico «Grand Tour» di Congdon attraverso l’Italia, avvenuto tra guerra e dopoguerra, in un paese devastato, ma punteggiato da molte testimonianze di una civiltà millenaria anche se frammiste alle macerie del conflitto.

I soggetti scelti da Congdon furono quelli canonici della pittura vedutistica e paesaggistica settecentesca e romantica: il Pantheon, il Colosseo, la chiesa della Trinità dei Monti a Roma, la basilica di San Francesco ad Assisi, la Piazza dei Miracoli a Pisa, fino al Caffè Florian a Venezia – simbolo del turismo nel Paese «della bellezza e del viaggio di formazione». Il suo linguaggio pittorico derivava, però, da quello dirompente, istintivo e caotico, della Scuola di New York (Pollok, Rothko, de Koonig).

Fig. 5 William Congdon, Venice Florian’s Café, 1949,  olio e smalto su pannello, 36×87 cm  © Fondazione Congdon Milano
Fig. 6 William Congdon, Venice Florian’s Café, 1949, particolare, © Fondazione Congdon Milano

Visitando Roma e Venezia, passando per la selvaggia natura dell’Abruzzo, dell’Umbria e della Toscana, a Congdon il patrimonio dei beni culturali italiani, privato della patina museale e storica che lo avvolgeva prima della guerra, apparve come la profezia drammatica di un processo di autodistruzione dell’umano.

Ciò che fu peculiare nella sua vicenda umana e artistica fu l’allontanamento, alla fine degli anni ’50, dagli slanci delle neoavanguardie e dalle lusinghe del mercato. La sua esperienza di vita e la fascinazione dell’estetica religiosa e spirituale che aveva animato gran parte della pittura italiana di età medievale lo avevano colpito nel profondo.

Fig. 7 William Congdon, Trinità dei Monti, 1950, olio 108×88 cm © Fondazione Congdon Milano

Nel 1959 – ripensando a Giotto e all’esempio di Francesco di Assisi – diede sbocco ad un percorso spirituale intrapreso nel 1948 e si convertì al cattolicesimo:

«Ogni uomo è nato in questa tensione religiosa di essere unito alla sua origine (…). L’arte è espressione di questa brama per la quale l’uomo, forse più profondamente, penetra e rivela questo semplice senso o fondo delle cose, origine dell’essere. Qualunque sia la situazione nella quale l’artista si trova, il vero artista non può che cercare di scoprire il suo destino, la sua propria origine (…). E l’opera che nasce da tale ricerca religiosa è opera d’arte religiosa. (…) Non per il soggetto o per il fine, ma religiosa nel suo essere» (William Congdon, Discorso tenuto all’Università dello Idaho, ottobre 1964).

Da quel momento avrebbe proseguito la sua attività artistica nell’ambito dell’arte sacra. Si avvicinò alla Pro Civitate Christiana di Don Giovanni Rossi e al movimento di Comunione e Liberazione fondato da Don Giussani, stabilendosi ad Assisi.

Fig. 8 William Congdon, © Fondazione Congdon Milano

L’ultima sua dimora fu a Gudo Gambaredo, frazione del comune di Buccinasco, non lontano da Milano, in una casa-studio annessa ad un monastero benedettino.

Giulio de MARTINO  R oma 26 Maggio 2024

La mostra

WILLIAM CONGDON

Essere-Uom0

a cura di Daniele Astrologo Abadal

con la collaborazione di The William G. Congdon Foundation Milano

“Capitolium Art Gallery” Via delle Mantellate 14/B  00165 Roma