“Storie di personaggi buffi e stralunati” nella “Favola senza perchè” di Lucilla Trombadori (Roma, Fondazione Marco Besso, fino al 30 maggio).

di Alessandra IMBELLONE

Lucilla Trombadori, un’artista con tanti perché

Lucilla Trombadori. Una favola senza perché, a cura di Duccio Trombadori, Roma, Fondazione Marco Besso, Largo di Torre Argentina 11, 15-30 maggio 2024

Lucilla Trombadori, Fig. 1 Autoritratto. Ph. Alessandra Imbellone

Lucilla Trombadori è una persona riservata, ha pudore a mostrarsi in pubblico, per questo motivo il presente articolo non sarà illustrato da una fotografia dell’artista ma da un suo autoritratto, uno dei due presenti nella mostra allestita presso la Fondazione Marco Besso, dove sono esposte opere recenti, eseguite dal 2009 ad oggi.

Con sguardo impassibile, Lucilla dichiara a chiare lettere il suo amore per i gatti (“i cani sono l’amicizia / i gatti sono l’amore” è scritto sul suo cappello), mentre nell’altro autoritratto, come in una personalissima versione dell’Ultima Cena intitolata L’ultimo quadro, manifesta invece il suo vegetarianismo, quella “idea vegetariana” che fin da bambina la distingueva dai suoi familiari.

Lucilla nasce nel 1948 in una famiglia d’importanza cruciale per l’arte e la cultura a Roma nel Novecento: il nonno Francesco nel 1907 s’era trasferito dalla natia Siracusa nell’Urbe per affermarsi negli anni Venti fra i protagonisti della Scuola romana e vedersi assegnato uno studio a Villa Strohl Fern dove sarebbe cresciuta la famiglia; il padre Antonello, critico d’arte e intellettuale organico del PCI, membro per diversi anni del Comitato centrale del Partito e più tardi parlamentare, fu nella sua molteplice attività (giornalista, scrittore e poeta romanesco, partigiano e gappista) fra i massimi organizzatori della politica culturale e artistica dei comunisti italiani nel secondo dopoguerra, amico fraterno di Renato Guttuso e altri artisti e fautore convinto del realismo. Il fratello Duccio, che ha curato il catalogo dell’attuale mostra presso la Fondazione Marco Besso, è un insigne giornalista e critico d’arte nonché discreto pittore. Una fotografia scattata dal padre nel 1951 lo ritrae bambino insieme alla sorella alla quale è sempre stato molto legato; un anno prima Guttuso ritraeva i piccoli Duccio e Lucilla in due tele conservate dalla famiglia [1].

Lucilla s’intende d’arte, è il mondo in cui è nata, ma sceglie per sé un percorso diverso dalle accademie: studia biologia e medicina, viaggia in Russia e in Oriente (India, Cina, Giappone, Vietnam), soggiorna negli Stati Uniti in quegli anni Settanta ancora in piena controcultura hippie. E disegna, affidandosi totalmente alla propria sensibilità e alla propria cultura visiva, costantemente arricchita da nuove esperienze. Predilige­ la carta come supporto per le sue opere, nelle quali sperimenta tecniche miste, combinando diversi mezzi espressivi, dal pennarello al pennello, tempera, grafite, pastelli, spray, collage. scrive Duccio Trombadori nel testo introduttivo del catalogo, Vi racconto una favola senza perchè:

Fin da quando era bambina mia sorella Lucilla si è riconosciuta in una immutata e limpida maniera di vedere e interpretare se stessa e l’universo che la circonda. Il suo repertorio figurativo registra eventi e apparizioni di un mondo dove non esiste nessuna storia maestra di vita, bensì tutto il carico di piacere e dolore che il cosmo e la furia del tempo arrecano senza perché. Da sempre, Lucilla dipinge come parla e pensa, associa parole e immagini in fantasiosi stilemi e compone l’ideogramma mistico di un’esperienza vissuta come eterno presente”.

Intenta a disegnare la ricorda Federico Fellini, con il quale Lucilla collaborò fra 1975 e 1976 per il Casanova, il suo film più visionario che valse il premio Oscar per i migliori costumi a Danilo Donati e il nastro d’argento allo stesso per la scenografia; scriveva il regista riminese nel 1984.

Giravo Casanova e lei sembrava proprio una fanciulla che passava ore e ore a disegnare sul suo tavolinetto nella stanza dei miei aiuti. Mi incuriosiva il suo silenzio, la sua aria dolcemente assorta”,

Lucilla gli mostrò i suoi disegni:

erano immagini dai colori puliti, accesi, vibratili, che raccontavano con malinconica ironia storie di personaggi buffi e stralunati”.

Fellini rimase colpito dalla “sua vocazione alle immagini”, dalla “incantevole scoperta infantile” che si respira nei suoi fogli, insieme ad

un arricchimento meditativo derivante dalle evidenti letture, dalle suggestioni poetiche e musicali, dai pensieri incuriositi, inquieti e inquietanti di Lucilla”.

E scrisse per la sua prima mostra, presso la galleria del Canovaccio nello Studio di Antonio Canova in via delle Colonnette, un testo oggi ripubblicato, nel quale dà una perfetta definizione delle immagini prodotte dall’artista come

“indifese e ammalianti proiezioni di una lanterna magica che pesca nel profondo tentando, come accade nei sogni, di comunicarci qualcosa che ci riguarda e che può aiutarci a vivere meglio”.

Nella favola di Lucilla Trombadori di perché ce ne sono tanti, primo fra tutti la coerenza interna, la fedeltà al proprio sentire intesa come rispetto della propria voce interiore, l’allineamento di mente e cuore, concetti olistici che dimostra attraverso la coerenza di uno stile che il fratello Duccio ha icasticamente definito “ingenuità sofisticata” e che si può accostare più che all’arte naïf all’art brut.

Fig. 2 Lucilla Trombadori, Ombelico vicino al cuore. Ph. Simon d’Exéa

Il bel foglio intitolato Ombelico vicino al cuore sembra incarnare questi concetti, facendone una dimostrazione sul corpo nudo di una “kula”: questo è il nome delle figure femminili con la testa perfettamente rotonda dipinte dall’artista fin da quando era ragazza e che possiamo considerare una sorta di equivalente delle Nanas di Niki de Saint-Phalle. Difficile non pensare al tantrismo, nel quale il termine kula è usato per indicare la connessione unificante i molteplici aspetti del reale, l’insieme delle potenze divine che danno origine al tutto, e quindi il tutto stesso. Le kula di Lucilla Trombadori, fra cui la Kula Fiamma scelta per la copertina del catalogo e per la locandina della mostra, rappresentano l’eterno femminino in un “inno alla divinità naturale, madre e matrigna integrale di tutte le cose”, che secondo le parole del fratello Duccio costituirebbe il senso ultimo della sua arte.

Una cosa è certa: la pittura di Lucilla Trombadori corrisponde alla sua visione del mondo, una visione personale e divergente, non allineata agli schemi di pensiero dello storicismo marxista derivato dal positivismo. Nelle sue opere la realtà è trasfigurata secondo un disegno interno dell’artista che si avvicina al pensiero simbolico delle civiltà arcaiche o dell’uomo medievale, come ha intuito Vanni Pierini. La vita è rappresentata nei suoi momenti salienti, di gioia o di dolore, di serenità e di cupezza, di amore e di mistero, attraverso la creazione di immagini significanti che di quelle emozioni distillano il senso profondo. Grazie a questo processo di elaborazione Lucilla arriva anche alla rappresentazione sempre simbolica di fatti molto intimi e personali, quali il confronto con il maschile o l’altro da sé, visto attraverso lo specchio (Io e lui), il parto, la nascita della propria bambina, Ortensia, così chiamata per il grande amore nutrito per i fiori (Io e lei).

Fig. 3 Lucilla Trombadori, Primavera nera. Ph. Simon d’Exéa
Fig. 4 Lucilla Trombadori, Primavera rosa. Ph. Simon d’Exéa

Ma per comprendere l’intensità emotiva totalizzante dei suoi disegni basta osservare le raffigurazioni dei fiori, delle piante, della primavera, tutti soggetti che possono essere caricati di una polarità positiva vitale e gioiosa così come altrimenti di una negatività buia e mortifera. Fig. 3-4-5-6

Fig. 5 Lucilla Trombadori, Primavera autunnale, 2016. Ph. Simon d’Exéa
Fig. 6 Lucilla Trombadori, Rosa bruna con le spine. Ph. Simon d’Exéa

Al sonetto Le dormeur du val di Arthur Rimbaud s’ispira il foglio Dans les glaieuls, dove un soldato ucciso è adagiato nel verde di un prato fiorito, cullato da una natura benefica, mentre dall’Inno alla bellezza di Charles Baudelaire deriva la poetica visione di Cielo profondo baratro di luce, dove una donna dai capelli all’aria come la chioma di un albero appare folgorata dall’incontro con una pianta di giaggiolo. “Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso, / Bellezza? – sembra chiedersi l’artista con il poeta de Les fleurs du mal – Il tuo sguardo, divino e infernale, / dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine […] Esci dal nero baratro o discendi dagli astri? […] Che tu venga dal cielo o dall’inferno, che importa, / Bellezza! […] Se i tuoi occhi, il sorriso, il piede m’aprono la porta / di un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto? […] Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena, / tu ci rendi […] L’universo meno odioso, meno pesante il minuto”.

Fig. 7 Lucilla Trombadori, Dans les glaieuls. Ph. Simon d’Exéa
Fig. 8 Lucilla Trombadori, Cielo profondo baratro di luce. Ph. Simon d’Exéa

La bellezza ci salva comunque, dovunque ella nasca e si manifesti: questo sembra dirci Lucilla Trombadori con le sue opere, che sono rivelazioni – visioni di bellezza oppure del suo contraltare: gli aspetti terribili, cattivi e spaventosi della vita – che s’impongono in tutta la loro flagranza.

Nota

[1] Duccio e Lucilla Trombadori | QUADRIENNALE DI ROMA