Andrea Martinelli, un’arte tra la libertà della presenza e l’intimità della forma.

di Tommaso EVANGELISTA

Andrea Martinelli. La libertà della presenza.

“Ecco ciò che accade sul declinare di ogni civiltà. Ecco come l’ambascia dell’uomo si estingue, architettando trucchi magistrali: la poesia pura, la musica pura, il pensiero puro. L’ultimo uomo – dopo essersi liberato da tutte le fedi e da tutte le illusioni – non ha più nulla da sperare o da temere: egli vede la creta di cui è fatto elevata a spirito, e questo spirito non ha terreno in cui affondare le radici per ritrarne linfa”[1].

Le parole del protagonista di Zorba il greco, del dimenticato e sommo scrittore Nikos Kazantzakis, sono monito e struttura a ciò che oggi leggiamo come arte: nei momenti di decadenza l’espressione dimentica la tecnica e si sublima in illusione in quanto l’anima non poggia più sulla differenza. Martinelli da sempre ha cercato di recuperare la dimensione intima della forma, attraverso soprattutto lo studio e il discernimento del volto, e il lavoro sull’essenza strutturale dell’intimità che diventa espressione e memoria.

Andrea Martinelli, Ezio e la luna 2016
Andrea Martinelli, La contadina di Nuenen 2020

Le grandi facce, indagate da vicino fino a divenire mappe generative, isolate e quasi deformate dell’invadenza del reale, da luminescenze innaturali e antiche, appaiono così vitali e presenti da tramutarsi in icone.

Andrea Martinelli, Maschera 2008

Icone perché immobili e solenni, sospese e decontestualizzate dal presente attraverso una lontananza incompatibile col paradigma del contemporaneo odierno, ma vicina a quell’idea di riduzione delle possibilità di variazioni tipica del segno.

La preservazione dell’assenza, del “ciò che sono stato”, determina una nuova temporalità dell’immagine come se l’intensità celata e indagata nel segno fosse fuori sincrono rispetto all’invadenza del corpo e l’anima si trovasse, satura, non già nel disegno incisivo e metallico quanto nella sensibilità del colore.

L’opera di Martinelli sembra pertanto pervasa dalla preoccupazione di trattenere la distanza, di frenare la morte, di nascondere il peso vitale all’impermanenza effimera del presente, attraverso la tecnica e lo sguardo.

Andrea Martinelli, La signora con la camicia a righe 2007
Andrea Martinelli, L’uomo col maglione 2007

Nessuna dimensione tradizionalista, nel senso di antiquata maniera, bensì la vitalità della contemplazione, della comprensione, del valore del sogno che non decade nel passaggio, della malinconia positiva e di quel sentimento onirico-romantico che guarda all’esistenza come ad una rappresentazione continua e non virtuale. Esaminare il mondo, nella sua varia umanità, serve allora ad evitare il pensiero puro, la sublimazione che astrae e l’immagine-flusso, e aiuta a non diluire lo spirito nell’illusione della conoscenza bensì a legarlo, cristianamente, al corpo, alla presenza, all’identità che diviene mappa, geografia, attestato veritativo della realtà. Non ci si può nascondere al tempo, e ancor più allo sguardo di un pittore. Chuck Close diceva a ragione:

«Il viso di una persona è la carta stradale della sua vita. Se l’affronta con atteggiamento positivo le rughe sono quelle che si formano quando si sorride. Allo stesso modo è subito palese quando invece la vita la si passa imbronciati».

Le opere di Andrea sono la “carta stradale” delle figure che ritrae, ovvero sono le tracce di vita che prendono forma e segno nelle pieghe e che comunicano esclusivamente per via visiva l’ispessimento del tempo e la coesione e sovrapposizione di tutte le emozioni sfuggite al controllo dell’anima.

Andrea Martinelli, La signora delle ombre n.1, 2017

Quando la bellezza giunge al suo decadimento o al suo zenit allora emerge la durata, il tempo, il ricordo, la ricerca dell’altro e tutto ciò si configura in una costellazione di segni in relazione esaltati dalla cura particolare per ogni punto sulla tela, con un effetto che assomiglia in alcuni casi al mosaico. E se i soggetti si materializzano quali fantasmi è solo perché sono così presenti che ci appaiono dissonanti e sospesi. La vita che scorre comporta sempre un arricchimento e mai un decadimento, il pennello o la matita che segna, e si sofferma sulle pieghe e sui difetti, parimenti, non fa un lavoro di fredda imitazione bensì di analisi vitale, come se stesse indicando un tracciato (neuro)logico. La fascinazione del volto, il richiamo ad una grafia analitica, quasi fiamminga, il ritorno del reale o, meglio, di un’irrealtà catturata per eccesso di spirito, segno e luce ci conducono verso una ricerca complessa e dinamica, contro la trasparenza virtuale dell’opera-aperta. I modelli scelti dall’artista, infatti, sono soggetti a trasformazione attraverso un processo di duplicazione e svelamento per cui le forme sono animate da un movimento dinamico e curvo, risultato non già di vibrazioni bensì di dislocazioni e sospensioni interne.

Le luminescenze, tanto care a Martinelli, emergono da un livello interiore quali rivelazioni dell’assenza e si configurano non come aure, ovvero interfacce trasparenti del dubbio, ma come spazialità possibili e vibrazione di tempo. Solo percepite in tal modo le opere cessano di evocare, erroneamente, una condizione perturbante dell’esistenza e della senescenza, una virtualità latente del corpo o un’impermanente trasparenza, per svelare un’architettura stabile fondata sull’intervallo della forma-sostanza, un’estetica leggera e libera della presenza.

Andrea Martinelli, La signora delle ombre n.2, 2017

Lontano da una dimensione tradizionalista, le sue opere trasudano vita, memoria, sconcerto e pietà, e un profondo rispetto per la complessità dell’esistenza umana. In esse il tempo non è solo un elemento lineare, ma piuttosto un tessuto intricato di ricordi, emozioni e desideri, che si manifesta attraverso le pieghe dei volti e le tracce del passare degli anni. Attraverso un’analisi vitale e profonda, Martinelli riesce a trasmettere l’essenza stessa della presenza umana, evitando l’illusione della conoscenza astratta e abbracciando piuttosto la concretezza del corpo e dell’identità. Le sue opere non sono solo rappresentazioni visive, ma vere e proprie testimonianze della complessità e della bellezza dell’esistenza umana, mappe anatomiche della forma immobile osservata con sguardo riconoscente, lirico, maniacale.

Siamo cartine mentali, piante di sconfinate impressioni, disegni invisibili sulla superficie dell’immagine. Silenzio e contemplazione dell’esatto momento nel quale una sottile epifania genera una flebile traccia luminosa, sul limite del volto, tra la pelle e l’anima, che rimarrà per sempre impressa come engramma nella memoria della pittura [2].

Tommaso EVANGELISTA  Roma 26 Maggio 2024

NOTE

[1] N. Kazantzakis, Zorba il greco (1946), Crocetti, Milano 2021, p. 67
[2] Testo ripreso e ampliato dal catalogo Andrea Martinelli. L’ora delle ombre, Polistampa, Firenze 2017