Giovan Lorenzo Bernini: l’evoluzione del linguaggio creativo di un genio nel suo rapporto con il sacro.

di Maria Grazia BERNARDINI

Giovan Lorenzo Bernini e il suo rapporto con il sacro

In occasione di una conversazione all’Università Gregoriana (su invito di Lydia Salviucci, che qui ringrazio)  sul tema “Giovan Lorenzo Bernini e il suo rapporto con il sacro” ho avuto modo di presentare una panoramica sulla rappresentazione del sacro nelle opere dell’artista, nelle quali si colgono i riferimenti alla temperie culturale del Seicento e la sua particolare sensibilità e spiritualità.

L’arte barocca è, per antonomasia, arte religiosa: nel Seicento, dopo il periodo della Controriforma e dopo le complesse e dotte disquisizioni sulle eresie che avevano caratterizzato la fine del Cinquecento, la Chiesa concentrò le sue azioni per affermare il primato della Chiesa di Roma e il trionfo del credo cattolico. L’arte fu uno strumento eccezionale per tale finalità e divenne interprete del messaggio cristiano attraverso nuovi mezzi espressivi che sfoceranno nell’aulico e trionfante linguaggio barocco. Non poteva sottrarsi a tale influenza Giovan Lorenzo Bernini, non solo perché ben interprete del clima spirituale e sociale dei suoi tempi, ma anche perché fu al servizio di ben otto pontefici. Il suo rapporto con il sacro, che contraddistinse le sue opere in tutto il corso della carriera artistica, è vasto e complesso, così come erano il suo pensiero e la sua cultura. Qui si vuole solo dare una sintesi del suo percorso.

Ogni papa (da Paolo V a Innocenzo XII) si rivolse a Bernini per interventi nella Basilica di San Pietro, per realizzare monumenti funebri, per costruire cappelle, per disegnare arredi; cardinali e prelati di alto rango chiesero all’artista non solo i propri ritratti ma tombe, cappelle, chiese, disegni. Nel corso della sua lunga vita, dal 1615 circa, quando realizzò la sua prima grande scultura, il San Lorenzo delle Gallerie degli Uffizi, fino al Salvator Mundi del 1679 circa, la sua ultima opera donata alla regina Cristina di Svezia, Giovan Lorenzo Bernini ha dato forma a sentimenti religiosi i più disparati, dall’ineffabile estasi mistica (Santa Teresa d’Avila, la Beata Ludovica Albertoni) al travaglio interiore di chi si avvicina a Dio (Ritratto di Gabriele Fonseca), dall’espressione devozionale di chi prega intensamente (Santa Bibiana, Daniele nella fossa dei leoni, San Girolamo e Santa Maria Maddalena della Cappella Chigi nel Duomo di Siena) alla dolce immagine degli angeli che affiancano la Cattedra di san Pietro o il Ciborio nell’Altare del SS. Sacramento.

Tabernacolo dell’Altare del Santissimo Sacramento Basilica Papale di San Pietro in Vaticano Foto © Fabbrica di San Pietro in Vaticano

Durante le varie fasi della sua carriera artistica, Bernini ha cambiato linguaggio, ha elaborato un modo differente di raffigurare il sentimento spirituale, fino ad allontanarsi completamente nella forma e nel significato simbolico dalle prime prove agli ultimi capolavori, e ha informato la maggior parte delle sue opere con una allusione alla Chiesa e ai principi della fede cattolica. Un esempio emblematico: la Fontana dei Fiumi. Ad ammirarla una prima volta, mai si direbbe che ha un intenso riferimento alla situazione religiosa del momento, ma ci aiutano a comprendere la portata del suo significato i disegni e i bozzetti.

GL Bernini, Fontana dei Quattro Fiumi, 1648-51, Roma , Piazza Navona

Attraverso l’analisi dei suoi studi[1], da una prima fase fino alla sua ultima elaborazione, Bernini passa da una composizione in cui esalta la famiglia Pamphilj, il casato di papa Innocenzo X, con la raffigurazione degli stemmi in primo piano, ad una seconda fase in cui allude ad una delle attività più importanti della Chiesa, la diffusione del cristianesimo nel mondo attraverso le missioni, e infine all’esaltazione del papato (la colomba con il ramoscello d’olivo che si innalza sull’obelisco, riferimento alla stemma di papa Innocenzo X Pamphilj) e quindi della Chiesa di Roma, quale depositaria della sapienza divina, vera e unica (il raggio di luce simbolizzato dall’obelisco) che illumina le popolazioni delle quattro parti della terra (fascio di luce concretizzato dalla roccia scolpita come raggio di luce). Dopo la pace di Westfalia del 1648 (in cui non si riconobbe il cattolicesimo come religione ufficiale dell’impero, ma si decretò la libertà degli Stati in materia di fede), come già aveva scritto Cesare D’Onofrio[2], il papato dovette prendere atto di una grave sconfitta e si difese ribadendo il primato, la superiorità, della Chiesa di Roma.

Giovan Lorenzo Bernini già nelle primissime opere raffigurò due santi: San Lorenzo e San Sebastiano, databili la prima intorno al 1615-1616, la seconda al 1617. Queste due sculture rivelano la vivacità e l’acutezza del suo ingegno che aveva colto le novità artistiche e culturali nel linguaggio pittorico.

In entrambe le due statue si coglie lo studio attento e ben consolidato della scultura del passato, la scultura antica e la scultura rinascimentale, in particolare di Michelangelo, ma anche il riflesso della pittura a lui contemporanea.

In quegli anni la pittura a Roma era dominata da Caravaggio e caravaggeschi e da artisti emiliani, i Carracci, Guido Reni, Giovanni Lanfranco, Domenichino, ma anche da altri pittori come Carlo Saraceni e Peter Paul Rubens.

PP.Rubens, S. Gregorio Magno con i Santi Papia e Mauro, Roma, Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova); GL Bernini, Monumento funebre a Papa Urbano VIII, Basilica di San Pietro

Questi artisti, con il loro linguaggio, i loro modi espressivi come la composizione diagonale, gli effetti luministici ricercati, la pennellata veloce e vibrante, crearono opere emozionanti e commoventi e diffusero una cultura impregnata di valori spirituali e religiosi a cui si affiancavano  un nuovo sentimento della natura che appariva all’uomo in tutta la sua vastità e in tutta la sua potenza misteriosa,  e nuovi interessi verso l’animo umano e i suoi sentimenti. In poche parole nasceva proprio in questo periodo la società moderna, in cui l’uomo, perdute le certezze di un tempo, avvertiva il proprio limite di fronte all’infinito dell’universo, ed era soffocato da un’ansia esistenziale mai avvertita prima, che spingeva l’uomo alla ricerca di Dio[3].

Tale nuova spiritualità ebbe una influenza fortissima sul linguaggio artistico, anche perché l’arte si fece protagonista del rinnovamento religioso[4]. Esempi illuminanti sono San Guglielmo curato dalla Vergine della Cappella Bongiovanni a Sant’Agostino, di Giovanni Lanfranco, dove la scena è ambientata tra le nuvole, immersa in una atmosfera miracolistica e celestiale con la Vergine dolcissima che entra nello spazio umano, e Maria Maddalena di Guido Reni, in cui la santa rivolge gli occhi verso il cielo in atto di  devozione.

Le due sculture di Bernini, così come le successive Anima Beata (1619 circa) e Santa Bibiana (1624) sono vicinissime ai dipinti di quegli anni: è stringente il confronto con il San Sebastiano di Carlo Saraceni, con il San Domenico e il San Francesco consolato dagli angeli musicanti di Guido Reni, per fare solo qualche esempio.

GL Bernini, San Sebastiano, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza; C. Saraceni, San Sebastiano, Castello di Praga

Con il passare degli anni la religiosità e il rapporto con il sacro di Bernini si modificano e riflettono la nuova politica della Chiesa, che mirava a testimoniare il trionfo della fede cattolica,  e la ricerca del fedele di un rapporto più intenso con il divino, frutto anche dell’ardente misticismo di alcune straordinarie figure di religiosi, rese attualissime nel terzo decennio del Seicento dalla canonizzazione avvenuta nel 1622 di santa Teresa d’Avila, di sant’Ignazio di Loyola, di san Filippo Neri, di san Francesco Saverio e di sant’Isidoro. A parte sant’Isodoro, le altre figure di religiosi vissero nel Cinquecento e ebbero tutti esperienze mistiche.

Guido Reni, San Domenico, Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore; GL Bernini, Santa Bibiana, Roma, Chiesa di Santa Bibiana

Il misticismo si diffuse in particolare nella seconda metà del secolo in Spagna e in Italia, in quanto si era alla ricerca di una religiosità privata, più intima, personale, si anelava al rapporto diretto con Dio, e le loro visioni estatiche erano contraddistinte dalla presenza della luce. La luce da sempre simboleggia la presenza di Dio, ma per questi personaggi dalla forte personalità e dall’intenso fervore spirituale, la presenza dei raggi luminosi era fondamentale. Per sant’Ignazio, ad esempio, le sue estasi erano visioni di luce, grazie alle quali il santo entrava in contatto con Dio. San Giovanni della Croce, discepolo di santa Teresa d’Avila, scrisse un testo molto toccante, la Notte oscura, sollecitando le reazioni emotive del fedele con un termine che tocca l’affettività dell’uomo, in contrapposizione alla luce.

Nelle sue opere della maturità, più articolate e complesse, Giovan Lorenzo Bernini accentuò l’aspetto mistico delle sue creazioni, suggerì visioni celestiali grazie anche a forti effetti luministici. Ancora una volta la pittura gli fornì dei significativi suggerimenti. In sintonia con il clima spirituale di quegli anni[5], Lanfranco aveva dipinto l’Estasi di santa Margherita da Cortona (1622, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti), che Bernini terrà presente nel gruppo della Santa Teresa e l’angelo,

G. . Lanfranco, Estasi di santa Margherita da Cortona, Firenze, Palazzo Pitti; GL Bernini, Estasi (o Transverberazione) di Santa Teresa d’Avila, Roma, Santa Maria della Vittoria, Cappella Cornaro

e aveva realizzato una visione celeste nella cupola di Sant’Andrea della Valle: l’affresco, che con i suoi movimenti verso il basso e verso l’alto, con il volo vorticoso degli angeli, con la luce abbagliante della zona centrale in cui appare il Cristo che vola verso la Vergine per accoglierla in cielo, rapisce il fedele con una scossa emotiva coinvolgente.

G. Lanfranco, Gloria del Paradiso, 1625-1627, Roma, Sant’Andrea della Valle, Cupola

Non va sottaciuto anche un famoso dipinto di Caravaggio, San Francesco in estasi, che può essere considerato una delle primissime raffigurazioni dell’estasi, che si susseguirono poi nel corso del Seicento.

Così la cappella Raimondi con la pala raffigurante l’Estasi di San Francesco (pur eseguita da Francesco Baratta), la Cappella Cornaro con il celeberrimo gruppo della Santa Teresa e l’angelo[6], la Cattedra nella Basilica di San Pietro, la chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, sono rappresentazioni dell’apparizione divina.

Bernini vuole dar corpo al sentimento profondo del fedele che è in contatto con Dio, alla sua aspirazione alla dimensione spirituale, al sentimento di beatitudine. In queste opere fece un uso sapiente della luce. Ad esempio nella Cappella Cornaro la luce entra da una finestrella che si trova dietro il frontone convesso e si materializza nei sontuosi raggi di bronzo che invadono il gruppo della santa e l’angelo. Ancora più complesso il ruolo della luce nella Cattedra, che assume aspetti e significati diversi[7]. La luce naturale che entra dalla finestra in alto diventa simbolo della luce divina, grazie alla presenza della Colomba dello Spirito Santo, contornata da una vertiginosa esplosione di nuvole e angeli che creano una apparizione soprannaturale; i fasci di luce si concretizzano poi nei grandi raggi in stucco; l’aspetto spettacolare e mistico viene ulteriormente accentuato dai bagliori che crea l’oro disseminato su tutta la zona realizzata in bronzo.

GL Bernini, Cattedra di san Pietro, Basilica di San Pietro

La Cattedra è uno dei grandi capolavori dell’arte berniniana, espressione paradigmatica del gusto per la scenografia e gli aspetti spettacolari dell’arte barocca L’artista impiegò vari anni per arrivare all’aspetto definitivo di un complesso che si innalza per circa trenta metri sulla parete: come testimoniano i suoi disegni, in un primo tempo aveva progettato una struttura all’interno di una cappella delle dimensioni delle cappelle laterali che accolgo i Monumenti funebri di Paolo III e di Urbano VIII. Attraverso varie fasi arrivò alle attuali dimensioni per poter mettere l’opera in rapporto con il baldacchino e per creare una gloria celeste verso la quale si innalza la Cattedra, che i quattro Dottori della Chiesa (alti circa cinque metri) lasciano andare.

Con la Cattedra e la successiva costruzione del Colonnato di San Pietro sovrastato da statue di santi che si stagliano contro il cielo, Bernini aveva completato nell’insieme la decorazione della Basilica di San Pietro (altri interventi vennero realizzati negli anni successivi ma sono opere a sè stanti). I numerosi interventi di Giovan Lorenzo Bernini nella Basilica, pur dilazionati nel corso di più di cinquanta anni, hanno creato un complesso armonico e coerente sia da un punto di vista formale e cromatico che da un punto di vista simbolico. Dalla decorazione dei pilastri lungo le navate, con le immagini dei primi pontefici, ai monumenti delle grandi figure del cristianesimo, l’imperatore Costantino e la contessa Matilde di Canossa, dal grande baldacchino che concentra l’attenzione del fedele sulla tomba di san Pietro, colui che ricevette le chiavi della Chiesa da Cristo, alle grandi statue della crociera che esaltano le reliquie dei primi martiri cristiani, dalla presenza di Cristo sia nel velo dellaVeronica che nella croce che si innalza sul baldacchino, fino alla spettacolare macchina teatrale della Gloria della Cattedra di san Pietro, tutto è finalizzato a esaltare la chiesa primitiva e dunque la Chiesa di Roma, i primi pontefici  e quindi i pontefici attuali rappresentati da Urbano VIII, da Innocenzo X e da Alessandro VII le cui figure araldiche si possono ammirare sulle eccezionali opere realizzate, i primi martiri e di conseguenza i santi e le straordinarie figure di mistici che vennero canonizzati durante il corso del Seicento.

Anche nell’architettura Bernini concretizzò apparizioni divine. Nella chiesa di Sant’Andrea al Quirinale[8] l’aspetto dorato della cupola allude al cielo verso il quale ascende l’anima di sant’Andrea dopo il martirio, rappresentato nella pala d’altare.

Sant’Andrea al Quirinale, la cupola

Nella decorazione della navata interna di Santa Maria del Popolo, Bernini ipotizzò in un primo momento di porre delle figure angeliche al di sopra degli archi della navata centrale, che avrebbero avuto un riscontro nelle figure angeliche che sorreggono le pale degli altari dei transetti e negli angeli che decorano le cantorie: un’apparizione angelica che trasformava la chiesa in una sorta di visione. In un secondo momento Bernini sostituì gli angeli con figure di sante, che attenuarono l’aspetto miracolistico.

Dagli anni sessanta in poi Bernini mutò ancora il suo rapporto con il sacro: le sue sculture raffigurano in modo più drammatico ed espressionista, con un linguaggio meno naturalistico e più simbolico, il travaglio interiore, la sofferenza e le emozioni che sconquassano l’animo durante la preghiera e la meditazione. A cominciare dal famoso Ritratto di Gabriele da Fonseca, con il ricco e tormentato panneggio che trasmette il sentimento drammatico del personaggio, alle sculture raffiguranti San Girolamo e Santa Maria Maddalena della Cappella Chigi nel Duomo di Siena, alla Beata Ludovica Albertoni della chiesa di San Francesco a Ripa.

GL Bernini, Beata Ludovica Albnertoni, 1671 . 74, Cappella Palluzzi Albertoni (Giacomo Mola, 1622-25), Roma, Chiesa di San Francesco a Ripa

E’ sufficiente un confronto per comprendere l’evoluzione in senso idealistico e spirituale della sua sensibilità religiosa: Bernini raffigurò sia nel gruppo della Santa Teresa che nella scultura della Beata Ludovica, il sentimento ineffabile dell’estasi mistica, ma se nella Cappella Cornaro la santa Teresa viene raffigurata in uno stato di abbandono e di estasi che illanguidisce il corpo, nella Cappella Albertoni la beata Ludovica è colta nell’atto della morte, nel sussulto finale, che viene espresso nel ricco e tumultuoso panneggio che raccoglie con le sue mani.

Non è possibile individuare i motivi che spinsero l’artista verso una diversa e angosciosa raffigurazione del sacro. Possiamo solo immaginare che su Bernini ebbero una forte influenza tanto la continua frequentazione di papa Alessandro VII, che aveva una profonda consapevolezza della fugacità della vita e rifuggiva le cose mondane, quanto i colloqui con dotti rappresentanti del clero, come il cardinale Sforza Pallavicini (scrisse Del bene nel 1644 e Considerazioni sopra l’arte dello stile e del dialogo nel 1646) e il padre gesuita Giovanni Paolo Oliva, come pure il rapporto con il nipote padre Francesco Marchese (autore di uno scritto esemplificativo del clima culturale di quegli anni, Unica speranza del peccatore che consiste nel Sangue di N.S. Giesù Cristo), e inoltre la diffusione della dottrina mistica, il “quietismo”, che predicava il fiducioso e totale abbandono in Cristo attraverso la preghiera.

In quel periodo dunque la corrente mistica aveva ricevuto un ulteriore impulso, come testimoniano la canonizzazione di san Francesco di Sales nel 1665 (era stato beatificato nel 1661) che aveva scritto testi memorabili che toccarono il cuore di molti fedeli, compreso Bernini (Introduzione alla vita devota e Trattato dell’amore di Dio), e nel 1669 fu canonizzata santa Maria Maddalena dei Pazzi che aveva dedicato i suoi scritti al Sangue di Cristo (Bernini disegnò la famosa composizione raffigurante il Sangue di Cristo[9]).

Esempio molto esplicativo della spiritualità di Bernini è il Monumento funebre di Alessandro VII: nel precedente Monumento di Urbano VIII, il pontefice era stato ritratto in atto di benedizione, con un grande gesto del braccio destro che apre verso il fedele e in atteggiamento di grande enfasi; ora Alessandro VII viene immortalato in ginocchio, mentre prega;

GL Bernini, Tomba di Alessandro VII Chigi (part.), Basilica di San Pietro

inoltre se nella tomba di Urbano VIII la morte scrive il nome del papa sul libro della vita, sancendo la morte ma anche la fama eterna, ora lo scheletro simbolo della morte innalza la clessidra e indica la porta che immette nell’al di là.

Alla fine della sua vita, Bernini eseguì due opere che rivelano un sentimento più sereno e dolce: gli angeli che adorano il ciborio dell’Altare del SS. Sacramento sono due figure “angeliche”, dolcissime, e sono inginocchiate in atto di devozione; il Busto del Salvatore (Roma, Basilica di San Sebastiano), pur realizzato da allievi, ha l’aspetto ieratico di Cristo che invoca la benedizione su tutta la cristianità.

Maria Grazia BERNARDINI  Roma 9 Giugno 2024

NOTE

[1] M.G. Bernardini, Bernini. Catalogo delle sculture, Torino, 2022, vol.II, n. 90, pp. 298-305.
[2] C. D’Onofrio, Le fontane di Roma, 3° ed. Roma, 1986, pp. 395-439.
[3] Sono ancora oggi fondamentali gli studi di E. Mâle, L’arte religiosa nel ‘600: Italia, Francia, Spagna, Fiandra, Milano, 1984, e di M. Firpo – F. Biferali, “Navicula Petri”. L’arte dei papi nel Cinquecento, Bari, 2009.
[4] Docere, Delectare, Movere. Affetti, devozione e retorica nel linguaggio artistico del primo barocco romano, Atti del Convegno organizzato dall’Istituto Olandese a Roma e dalla Bibliotheca Hertziana in collaborazione con l’Università Cattolica di Nijmegen, a cura di S. de Blaauw, P. M. Gijsbers, S. Schütze (Roma, 19-20 gennaio 1996), Roma 1998.
[5] Per una panoramica sull’argomento si veda Visioni ed Estasi: capolavori dell’arte europea tra Seicento e Settecento, catalogo della mostra a cura di G. Morello, con la collaborazione di M. G. Bernardini, V. Casale, B. Treffers (Città del Vaticano, Braccio di Carlo Magno, 2004), Milano, 2003.
[6] Tra la vastissima letteratura sulla Cappella Cornaro, si segnala l’intramontabile I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, 1980.
[7] Bernardini, op. cit., 2022, vol.II, n. 110, pp. 358-365.
[8] M. Bevilacqua, A. Capriotti, Sant’Andrea al Quirinale. Il restauro della cupola e nuovi studi berniniani, Roma, 2016.
[9] I. Lavin, Il Sangue di Cristo riscoperto, in Barocco a Roma. La meraviglia delle arti, catalogo della mostra a cura di M.G. Bernardini, M. Bussagli (Roma, Fondazione Roma, Museo-Palazzo Cipolla, 2015), Milano 2015, pp. 179-183.