di Nica FIORI
Mosaici e pavimenti di Ostia
di Angelo Pellegrino
Edizioni Espera, 2017
L’arte musiva, oggi poco esercitata, era molto diffusa nel mondo romano nelle decorazioni pavimentali: grazie alle sue tessere in materiale inerte assicurava una buona durata nel tempo, ma la tecnica esecutiva richiedeva vari strati di preparazione, secondo precise regole riferite da Vitruvio e da Plinio. Il libro di Angelo Pellegrino Mosaici e pavimenti di Ostia, edito da Espera nella collana Topografia antica, si presenta come un’interessante ed esaustiva indagine sui mosaici ostiensi. L’intento è quello di colmare una lacuna, in ambito sia divulgativo che scientifico, nella conoscenza dei numerosi pavimenti decorati dell’area archeologica di Ostia Antica. In effetti sono passati 50 anni dalla magistrale monografia sull’argomento scritta da Giovanni Becatti per la serie “Scavi di Ostia” IV, e nel frattempo sono venuti alla luce nuovi interessanti ritrovamenti, che l’autore prende in esame, oltre a quelli storicizzati, descrivendone non solo l’aspetto stilistico, ma anche il contesto storico locale e il rapporto tra la committenza e i motivi decorativi presenti.
Pellegrino, autore di numerose pubblicazioni a carattere topografico e storico-epigrafico, è stato direttore per tredici anni degli Scavi di Ostia Antica e del Museo della Via Ostiense a Roma ed è quindi con grande competenza che illustra le caratteristiche, la tecnica e l’evoluzione della decorazione musiva ostiense a partire dall’età tardo-repubblicana ed augustea (II sec. a.C. – inizi I sec. d.C.), proseguendo con la prima età imperiale (I sec. d.C. – inizi II sec. d.C.), la media età imperiale (II sec. d.C.), il periodo che va dalla dinastia dei Severi agli inizi della crisi dell’impero (prima metà III sec. d.C.), per concludere con l’età tardo-imperiale (seconda metà III – IV sec. d.C.).
La lettura del libro, ricco di illustrazioni e caratterizzato da una scrittura accessibile a tutti, offre lo spunto per approfondire la conoscenza di un sito archeologico a due passi da Roma, che conserva, oltre al Teatro e al Foro con l’imponente Capitolium, un tessuto urbano ricco di abitazioni signorili (domus) e plurifamigliari (insulae), terme, luoghi di ristoro (cauponae e thermopolia), sedi di collegi e di culti religiosi misterici (soprattutto mitrei), molto spesso decorati a mosaico. Fondata da Anco Marzio alla foce (ostium) del Tevere per proteggere le saline, Ostia fu presidio militare prima di diventare il porto di Roma. Fu fiorente soprattutto in età imperiale, quando con l’imperatore Adriano (117 – 138 d.C.) raggiunse la sua massima espansione, anche se, nel frattempo, erano stati costruiti i porti di Claudio e di Traiano nell’area di Porto, che sotto Costantino (306 – 337 d.C.) acquistò una sua autonomia da Ostia, provocando così la decadenza della città madre. L’antica Portus, collocata nel comune di Fiumicino, fa pure parte del Parco archeologico di Ostia Antica, insieme alla cosiddetta Isola Sacra, la cui necropoli ha restituito diversi esempi di mosaici.
Mentre nel mondo greco-orientale e nel Nord Africa prevale nel mosaico il linguaggio figurato policromo, a Roma e ad Ostia si preferisce il più semplice bianco e nero, sicuramente più facile da realizzare e meno costoso. D’altra parte a Ostia, nella prima e media età imperiale si affermò una classe borghese che basava la propria attività sul commercio, lo scarico nel porto e lo smistamento dei beni importati nella capitale; pertanto, come osserva l’autore, “i committenti degli apparati decorativi e le officine locali, per i loro più limitati orizzonti culturali, non dovevano avere interesse per la realizzazione di superfici pavimentali più sofisticate ed impreziosite dal colore”.
In realtà le complicate scene mitologiche, che troviamo spesso negli edifici termali ostiensi, risultano sorprendentemente vivaci proprio per il contrasto delle silhouettes nere su fondo bianco. I pavimenti musivi forse più ammirati sono quelli delle Terme del Nettuno, che si possono osservare dall’alto:
ci colpiscono per le vivaci scene marine che si susseguono in più ambienti comunicanti. Raffigurano il dio Nettuno su una quadriga di ippocampi e la sua sposa Anfitrite tra Nereidi, Tritoni, amorini, delfini e
perfino Scilla, il terribile mostro incontrato da Ulisse nel suo viaggio. In questo edificio pubblico, voluto da Adriano nel 139 d.C., i mosaicisti hanno tradotto con grande maestria modelli ellenistici, riuscendo a rendere il movimento delle figure, come nei quattro cavalli marini della quadriga che sembrano “trascinati in direzione diversa dalla loro stessa irrefrenabile corsa”. Non a caso, come fa notare l’autore, “l’arte di questi mosaicisti è stata, con le dovute differenze, accostata, per il sapiente uso delle linee e del dettaglio, a quella dei ceramografi attici a figure nere”.
Spettacolari sono anche i pavimenti a mosaico di altre terme (in particolare l’elegante mosaico circolare del frigidarium delle Terme dei Sette Sapienti, con scene figurate e tralci vegetali), come pure di alcune abitazioni, come quello nel vano accanto al triclinio del Caseggiato di Bacco e Arianna, che presenta un emblema centrale raffigurante Bacco e Arianna che assistono alla lotta tra Eros e Pan, intorno al quale si sviluppa una complessa decorazione vegetale. In un ambiente della Domus della Fortuna annonaria è presente un mosaico con al centro la scena di Licurgo e Ambrosia e intorno raffigurazioni di personaggi mitici (Centauro) e di alcuni animali, tra cui la lupa capitolina con i gemelli, simbolo della sudditanza di Ostia dalla città madre.
Per avere un’idea del rapporto tra decorazione musiva e architettura, la visita di Ostia Antica offre anche la visione di un’intera piazza, il cosiddetto Piazzale delle Corporazioni, le cui 61 stationes (II- III secolo d.C.) conservano i pavimenti a mosaico bianco e nero, che ci informano con immagini e scritte sulle attività svolte dalle varie categorie di lavoratori portuali, soprattutto navicularii (armatori e battellieri), dai quali dipendeva l’approvvigionamento di Roma, e mensores (misuratori) che provvedevano a misurare il grano, ma troviamo anche gli stuppatores e i restiones, i commercianti di stoppa e corde.
Tra le scene raffigurate nelle stationes suscitano una certa curiosità quella che raffigura un mensore intento nella sua attività, inginocchiato accanto a un modio di grano e con in mano una bacchetta per rasarne il contenuto, quella con trasbordo di anfore da una nave a un’altra, quella che riproduce il Faro di Ostia, che doveva essere a più piani digradanti, e in generale la raffigurazione, sia pure sommaria, di pesci, delfini e imbarcazioni varie. Vi sono anche un elefante che allude al commercio dell’avorio con Sabratha (in Libia) e il Nilo, a simboleggiare l’Egitto da cui proveniva gran parte del grano. Tra le città citate nelle iscrizioni troviamo anche Cartagine e la vicina Misua, Cagliari e Porto Torres.
Come già detto, gli ostiensi prediligevano il bianco e nero e soddisfacevano semmai il gusto per la policromia con il pavimento a opus sectile, costituito da tarsie di marmi colorati che con disegni geometrici di vario tipo (quadrati, esagoni, triangoli, figure inscritte in altre ecc.) si adattavano a qualunque tipo di ambiente (ma parliamo ovviamente di case di personaggi di alto rango, perché i marmi erano costosi). Non mancano, comunque, alcuni esempi di mosaici policromi, come quello delle Terme del Musiciolus, nel quartiere fuori Porta Marina, con riquadri raffiguranti atleti con i rispettivi nomi, o meglio i soprannomi scherzosi con cui erano conosciuti: Musiciolus, Faustus, Luxurius, Ursus, Pescentius.
Caratteristica, questa dei nomi, molto diffusa nei pavimenti a mosaico. Ci informa, per esempio, sui proprietari dei locali di ristoro (Caupona di Fortunatus), sui dedicanti di un luogo di culto (Mitreo di Felicissimus), sui bagnini (ad es. Buticosus, che dà il nome alle terme omonime) e perfino sui muli dei carrettieri nelle Terme dei Cisiari.
Il più noto mosaico policromo è quello decorato con un’ampia scena marina, comprendente anche Afrodite Anadiomene, nel vano maggiore della Domus dei Dioscuri, edificio che prende il nome dalla raffigurazione, pure a mosaico policromo, dei divini gemelli Castore e Polluce, inseriti in un emblema circondato da motivi geometrici e figurati. Questi ultimi esempi sono datati al 365-366 d.C.
“La persistenza di soggetti a carattere mitologico – scrive Pellegrino – in un periodo in cui il Cristianesimo era diventato la religione ufficiale dell’impero, è una dimostrazione della persistenza delle credenze pagane ad Ostia, dovute ad una parte dell’aristocrazia ancora legata ai culti tradizionali della società romana”.
Ma è anche probabile che il tema del trionfo di Venere “riflettesse anche significati più allegorici allusivi all’amore, alla serenità e al benessere…”, indipendentemente dalla religione professata. Non è poi così strano, visto che in seguito, nel Rinascimento, neppure i papi rinunceranno alla raffigurazione dei miti e delle divinità del passato precristiano.
Tra i mosaici colorati ostiensi e portuensi, si conservano anche alcuni interessanti esempi provenienti dall’Isola Sacra, dove furono trovati tra le sabbie al di fuori del contesto originario. Si tratta di emblemata vermiculata, ovvero quadretti realizzati con tessere piccolissime che producono un effetto pittorico, secondo una tecnica inventata forse ad Alessandria d’Egitto e diffusa nella tarda età ellenistica (II – I sec. a.C.). Due in particolare vengono segnalati dall’autore per la loro buona qualità, anche se non paragonabile ai raffinatissimi esemplari tardo ellenistici o della prima età imperiale.
Realizzati probabilmente da officine locali, quello più frammentario raffigura un pavone e altri tre uccelli disposti in circolo ed è di età adrianea, mentre l’altro, di poco posteriore, presenta una scena marina raffigurante Anfitrite su un cervo marino guidato da un Tritone, la cui figura è resa con “una potente ed efficace espressione di pathos”.
Il libro è corredato da un glossario, dalla bibliografia e da una cartina topografica estraibile (dove sono localizzati ben 48 pavimenti), quanto mai utile perché permette il suo utilizzo come guida direttamente nell’area archeologica di Ostia.
Nica FIORI Roma 7 luglio 2018