“Tra memoria e declino. Il cardinale Francesco Peretti 81597-1655) e la dispersione della collezione Montalto” una nuova importante ricerca di Belinda Granata

di Rita RANDOLFI

Un vero gioiello sul collezionismo romano di fine XVI inizi XVIII secolo il libro di Belinda Granata dal titolo Tra memoria e declino. Il cardinale Francesco Peretti 81597-1655) e la dispersione della collezione Montalto, edito da Campisano. Il volume, nato nell’ambito del progetto di ricerca per il Firb su Gli Orsini ed i Savelli nella Roma dei papi. Arte e mecenatismo di antichi casati dal feudo alle corti barocche europee, coordinato da Cecilia Mezzetti di Pietralata e svolto presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, si configura come la naturale prosecuzione de Le passioni virtuose, scritto dalla stessa autrice e pubblicato sempre da Campisano, incentrato sulle scelte artistiche, il gusto, le committenze del cardinale Alessandro Peretti Montalto (1571-1623), che, insieme al potente zio, il pontefice Sisto V, aveva messo insieme una delle collezioni più ricche e importanti della città.

Già la copertina del volume, dove viene riprodotto uno dei preziosissimi arazzi dei Peretti Montalto, fa intuire la consistenza ed il prestigio della raccolta, la cui storia viene ricostruita in maniera rigorosa e dettagliata dalla studiosa, che, con una prosa scorrevole e coinvolgente, introduce il lettore in un fantastico viaggio a ritroso nel tempo, che ripercorre le tappe delle vicende della famiglia e dei suoi beni. Va subito sottolineato che il ponderoso testo, nonostante si basi su una seria ricerca d’archivio, frutto di una disamina attenta di documenti di varia natura, inventari, testamenti, libri mastri, avvisi, note di pagamento, non risulta noioso o arido, al contrario si presenta come un avvincente romanzo che restituisce uno spaccato della Roma di quel periodo.

Tutta la ricerca ruota intorno a tre documenti fondamentali: l’inventario stilato nel 1655 alla morte di Francesco Peretti Montalto, le ricevute del banco di Santo Spirito, ed il libro mastro di Paolo Savelli, nipote di Francesco, in quanto figlio della sorella Maria Felice, erede di tutti i beni. Ma la Granata confronta queste carte con le fonti dell’epoca, gli Avvisi romani e gli studi più recenti, in modo da fornire un quadro d’insieme di straordinaria efficacia, una micro-storia familiare che si interseca perfettamente nella macro-storia dello Stato Pontificio in conflitto o relazione, a seconda dei casi, con le super potenze della Francia e della Spagna. Persino le note sono ricche di preziose informazioni storiche e artistiche, di rimandi e confronti con altre realtà dello stesso periodo, fornendo anche sintetici, ma fondamentali ritratti di personaggi meno noti, in contatto con i diversi membri della famiglia marchigiana.

Francesco Peretti Montalto (1597-1655), nipote di Alessandro, era figlio del fratello di questi, Michele e di Margherita Cavazzi della Somaglia. La scelta di intraprendere la carriera ecclesiastica, che lo porterà ad essere eletto cardinale nel 1641, fu dettata da un fatto a dir poco increscioso, che lo segnerà per tutta la vita: il padre, vedovo della sua prima moglie, recatosi presso i Cesi per chiedere per il figlio la mano di Anna Maria, se ne innamorò perdutamente, tanto da decidere di sposarla. Il modo in cui un anonimo autore riporta l’imbarazzante avvenimento presenta tutte le caratteristiche del gossip odierno, ed emerge il giudizio feroce nei confronti di quel padre meschino. Il giovane restò, ovviamente, spiazzato e prese i voti, conducendo un’esistenza appartata, in sordina. La famiglia, gravata di debiti onerosi, non poteva permettersi spese superflue, ammissibili solo per rinsaldare il legame con la Spagna. Non si dimentichi, infatti, che Filippo IV premeva presso Urbano VIII per farlo eleggere cardinale, ma il Papa, dal canto suo, dando un colpo al cerchio ed uno alla botte, come si suol dire, nel 1641 lo elevò alla porpora per favorire la Spagna, scegliendo contemporaneamente Mazzarino per la Francia.

Uniche uscite ammissibili per il porporato, dunque, quelle, per giunta esose, effettuate in occasione del matrimonio tra Filippo IV e Marianna d’Asburgo. Tra gli oggetti fatti realizzare per il gioioso evento una carrozza, per la quale veniva pagato anche Algardi, autore della terracotta con la Prudenza e la Temperanza, oggi al Museo di Roma, che prima si pensava fosse destinata alla decorazione di Sant’Andrea della Valle, cui Alessandro Peretti Montalto aveva devoluto notevoli somme. Viceversa, sul fronte artistico il cardinale Francesco fu costretto a mettere da parte i suoi interessi per fronteggiare una situazione economica disastrosa, aggravata dalla necessità della restituzione della dote di Anna Maria Cesi dopo la morte del padre Michele, per il quale, probabilmente solo per onorare un impegno già preso, fece realizzare il busto da Giuliano Finelli, che già aveva scolpito quello di Alessandro. I documenti rintracciati dalla Granata permettono di riferire senza ombra di dubbio che ambedue i busti erano stati eseguiti dal Finelli – precedentemente recavano un’attribuzione ad Alessandro e Francesco Algardi – e che la loro destinazione originaria fosse la galleria del palazzo di San Lorenzo in Lucina, per essere successivamente ereditati da Paolo Savelli e trasferiti nella villa a Termini, poi acquistata da Francesco Camillo Massimo. Da qui, dopo ulteriori passaggi di proprietà, finirono al Kaiser Friedrich Museum, oggi Bode, dove si trovano tuttora.

Sempre allo scopo di mantenere questo rapporto speciale con la Spagna, in occasione di un suo viaggio a Napoli, Francesco commissionò le copie di alcuni  dipinti, da destinare ad un nobile iberico, forse l’agostiniano Martin Leon de Cardenas, prima vescovo di Pozzuoli, e poi arcivescovo di Palermo negli stessi anni in cui il Peretti Montalto  rivestiva il medesimo ruolo per Monreale. Con lui Francesco aveva una frequentazione di vecchia data e gli aveva già inviato quadri a Napoli nel 1631. I copisti di tali dipinti furono i fiamminghi Jacob de Grave e Josse de Pape, di cui l’autrice ricostruisce brevemente la parabola artistica, sottolineando la fama da essi raggiunta proprio in questa specialità, molto praticata in quegli anni. La studiosa sottolinea l’importanza dello scambio delle copie, che acquistavano valore a seconda dei casi, per l’iconografia rappresentata, per il carattere devozionale, per la tecnica particolare utilizzata. Dalle ricerche emerge, ad esempio, come la copia del David e Golia di Daniele da Volterra, oggi al Louvre, dipinto su entrambi i lati per monsignor della Casa, sia forse da riconoscersi, secondo l’autrice, nella piccola lavagna oggi conservata a Roma, nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, realizzata, stando ai documenti emersi, da Jacob de Grave.

L’Avviso di Roma che diffuse la notizia della morte di Francesco, sopraggiunta il 3 maggio del 1655, ricerca le motivazioni della morte prematura del cardinale nella vita sedentaria e in una dieta sregolata, apparendo di una modernità sconcertante. Il 2 maggio del 1655 il prelato aveva rogato il proprio testamento, nel quale nominò amministratore della sua eredità il conte Ercole Oddi, dotandolo della facoltà di vendere tutto il mobilio a lui appartenuto. Dal 3 maggio al 2 agosto si svolsero le operazioni di inventariazione, dettate dalla volontà di mettere a tacere il prima possibile i creditori del patrimonio, su cui premeva la Congregazione dei Baroni.

L’elenco dei beni viene compilato in fretta, omettendo gli autori dei manufatti, con l’eccezione di alcuni quadri conservati nella villa di Frascati: quattro sovrapporte di Bassano il vecchio, una sanguigna che riproduceva la pala di Raffaello per San Pietro in Montorio, una Sacra Famiglia con san Giovannino del Barocci. Inoltre, mentre per la villa a Termini, per quella di Frascati e per il palazzo della Mentana i redattori del documento utilizzarono il criterio topografico della successione delle stanze, per gli oggetti conservati nell’edificio di san Lorenzo in Lucina usarono una suddivisione per categorie, con l’unico fine di alienarli per risarcire i creditori. L’asta probabilmente si tenne nel cortile dello stesso stabile.

Il neoeletto Alessandro VII, che aveva attenuato la pratica di procedere allo spoglio sistematico dei beni dei prelati, non fece in tempo a rallentare la macchina della Congregazione dei Baroni, lasciando che la vendita avesse inizio, approfittandone lui stesso. E se anche il papa non riuscì ad accaparrarsi la villa, ora Grazioli, a Frascati, tuttavia si aggiudicò la maggior parte degli arazzi, considerati, insieme alle sculture, gli oggetti di maggior valore.

Tra i compratori dei dipinti si distinsero alcuni collezionisti genovesi come Agostino Franzoni e Girolamo Panesi, ancora tutti da studiare, che uniformandosi al gusto dell’epoca predilessero gli autori bolognesi. Altri acquirenti furono il cardinale Lorenzo Imperiali, Monsignor Domenico Salvetti, Francesco Chigi, che ottenne i paesaggi e le marine di Paul Brill e Domenico Viola, finiti poi nella raccolta Patrizi, i fratelli Orsini, Elpidio Benedetti, che insieme a Paolo Maccarani, fungeva da agente del cardinale Mazzarino.

Si affacciarono sul mercato anche personaggi che avevano il solo scopo di abbellire le proprie dimore in funzione dell’acquisizione del prestigio sociale, e religiosi interessati più che altro a quadretti di rame di modeste dimensioni per rinnovare l’arredo delle chiese.

Viceversa, mai i documenti menzionano i Barberini ed il loro entourage. Secondo il sarcastico autore anonimo ciò era dovuto al fatto che Francesco si era opposto all’alienazione della villa a Mentana a favore di Urbano VIII, ma più verosimilmente il Papa gli faceva pagare la colpa dello zio Alessandro Peretti, che  aveva mantenuto una certa indipendenza nei confronti dei giochi di potere che si traducevano in voto durante un conclave.

Ma Francesco aveva ereditato anche le sculture con cui lo zio aveva abbellito il giardino di Santa Maria Maggiore e che furono riprodotte graficamente in un album, del quale nel libro vengono  pubblicate le foto di alcuni fogli,  che anticipò di dieci anni la più nota Galleria Giustiniana di Vincenzo.

Gli acquisti del cardinale Alessandro Peretti Montalto vennero effettuati per il tramite di mercanti, fornitori occasionali o scultori trafficanti come Ippolito Buzi, Stefano Maderno, e, soprattutto, Alessandro Rondoni, il quale, approfittando della crisi finanziaria che accomunava molte famiglie nobiliari decadute, era riuscito ad accaparrarsi iscrizioni, statue, teste provenienti dalle raccolte di Pio da Carpi, di Orazio della Valle, di Tiberio Ceoli e persino dei Cenci.

L’interesse di Alessandro Peretti era volto ad emulare le grandi raccolte antiche, e dunque più che un criterio cronologico o tematico, l’alto dignitario ecclesiastico era alla ricerca di pezzi unici, imponenti e preziosi, che garantissero un effetto d’insieme maestoso. Tra i marmi più rinomati da lui posseduti si ricordano il Cincinnato, e il Marcello oggi al Louvre ed il gruppo di Dioniso a cavallo della pantera attualmente a Varsavia castello di Lancut. Con il tempo le opere, che venivano fatte restaurare ed integrare nelle parti mancanti, vennero trasferite da una dimora all’altra. I marmi erano utilizzati per decorare i cortili, gli scaloni, e anche i Peretti Montalto non si sottrassero a quella che era una prassi consueta del tempo.

Nel 1655 la collezione di sculture risultava dimezzata, dimostrando ancora una volta che le prime opere ad essere cedute erano state proprio i marmi antichi, nei confronti dei quali si era sviluppata una vera e propria febbre di possesso.

Il commento preciso, ricco di informazioni, sui dipinti e le sculture menzionati nell’inventario dei beni Peretti Montalto, ereditati da Paolo Savelli, successivamente alienati, conclude egregiamente il volume, accompagnato da una corposa appendice, una vasta bibliografia e un apparato iconografico suddiviso in tavole a colori e figure in bianco e nero. Il libro, dunque, non solo analizza a 360 gradi la raccolta dei Peretti, rivelando il gusto e la sensibilità dei diversi membri della casata, ma si presenta come uno strumento imprescindibile di conoscenza per qualsiasi successivo approfondimento sul fenomeno del collezionismo secentesco romano.

Rita RANDOLFI  Roma 16 Giugno 2024