di Nica FIORI
“La deformazione è un principio fondamentale dell’arte; e la deformazione – come volgarmente si usa dire oggi – non equivale ad abbrutimento. Essendo placido che l’arte non si basa su misure metriche, la deformazione rappresenta l’emozione che il singolo artista ha nei riguardi di una realtà teorica. E la maggiore o minore deformazione di un’opera non equivale certo ad un maggiore o minor pregio artistico”.
Questa frase scritta nel 1938 da Arnaldo Badodi, uno degli artisti del gruppo milanese “Corrente”, è stata scelta per introdurre la bella mostra “L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano”, ospitata dal 6 luglio 2024 al 2 febbraio 2025 nella Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale e ideata in vista della celebrazione del centenario della stessa Galleria (1925-2025). L’esposizione, promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con la Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano, è a cura di Arianna Angelelli, Daniele Fenaroli e Daniela Vasta.
Ben 130 opere, provenienti soprattutto dalla Galleria ospitante e dalla Collezione Iannaccone (la maggior raccolta privata che esiste in Europa sull’arte italiana degli anni Trenta), permettono di riflettere sull’operato di diversi artisti che, in percorsi individuali o in seno a gruppi codificati, nell’Italia degli anni Venti-Quaranta hanno usato un linguaggio realistico ma antiaccademico, incentrato sulla trascrizione del dato soggettivo interiore, che potremmo chiamare “espressionista”. Del resto nell’arte l’espressionismo (dal latino exprimĕre, composto da ex e premĕre, cioè premere fuori, spremere) corrisponde proprio all’esternazione delle proprie passioni e visioni interiori e si manifesta attraverso l’uso di un colore antinaturalistico e in una forma libera, volutamente sgrammaticata, che vuol essere a volte un grido di dolore o di denuncia delle ingiustizie, mentre altre volte esprime una visione lirica, gioiosa e fanciullesca della vita. Spiega la curatrice Daniela Vasta:
“Mentre si svolgeva la parabola di Novecento di Margherita Sarfatti e mentre aveva avvio l’astrattismo italiano c’era tutto un gruppo di pittori tra Roma, Milano e Torino che hanno disegnato un’estetica del colore e che hanno abbracciato una sorta di deformazione della forma idealizzata, tra cui Scipione, Guttuso, Carlo Levi, solo per citare qualche nome. Il colore è l’elemento istintivo, incontrollato, anarchico e loro, rifacendosi agli esempi degli espressionisti francesi, tedeschi e austriaci, importano questa poetica istintiva, sentimentale, neoromantica se vogliamo, alle nostre latitudini. … Sono artisti che vivono un momento drammatico della storia politica e sociale italiana e questo si vede nelle nature morte che talvolta diventano metafore esistenziali, nei paesaggi che più che vedute sono ormai visioni deformate e deformanti e negli intensi ritratti e autoritratti”.
Ed è proprio attorno all’iconico Ritratto del Cardinal Decano, capolavoro del 1930 di Scipione (pseudonimo di Gino Bonichi) conservato alla GAM di Roma, che si sviluppa la prima sezione del percorso espositivo, dedicata alla Scuola romana di via Cavour.
Il dipinto ci colpisce particolarmente per il rosso acceso del mantello cardinalizio e per la raffigurazione visionaria e straniante di piazza San Pietro, sullo sfondo di un cielo attraversato da bagliori rossastri. L’obelisco centrale sembra sospeso in aria e quasi racchiuso entro un cerchio magico, mentre altri motivi emblematici, come una gigantesca chiave e un dado, accentuano il senso di smarrimento e di mistero che l’immensità della piazza può suscitare. Quanto alle statue sulla destra, sembrano veri e propri fantasmi di pietra. Allo stesso tempo il pittore ha reso la decadenza del corpo del cardinale Vannutelli, prossimo alla morte, con tratti espressionistici quasi parossistici (come nelle dita eccessivamente allungate e quasi scheletriche).
Quella stessa decadenza sembra segnare anche il volto di Scipione nell’Autoritratto (1930, olio su tavola, Collezione Iannaccone), nel quale ci sembra di cogliere quella condizione del dolore, che secondo Nietzsche “serve a scavare nel profondo”. Bonichi, malato di tubercolosi, sarebbe morto nel 1933 a soli 29 anni, lasciando gli amici nello sconforto, come è evidente nell’Autoritratto di Mario Mafai (1933, olio su tela non preparata, Collezione Iannaccone), alle cui spalle è la compagna Antonietta Raphaël, entrambi protagonisti della Scuola di via Cavour, il cui nome è stato coniato da Roberto Longhi in riferimento alla casa dove abitava la coppia. Fu proprio l’amicizia tra i giovani Mafai e Scipione (cui presto si aggiunse la Raphaël) a dare il via a una pittura visionaria e onirica, nutrita dall’ammirazione per Goya, El Greco, Bosch, ma anche per i moderni Kokoschka, Chagall, Derain, Dufy.
Longhi, recensendo la mostra del gruppo nella primavera del 1929, individua chiaramente nel sodalizio di via Cavour le derivazioni espressioniste francesi.
Nella pittura della lituana Raphaël, trasferitasi a Roma nel 1924 dopo un soggiorno a Londra e un altro a Parigi, è evidente, oltre a una semplificazione formale in senso espressionistico, una nota fiabesca alla Chagall, caratterizzata da cromie eccentriche sul viola e sull’azzurro. In mostra troviamo alcuni suoi dipinti della Collezione Iannaccone, tra cui Veduta dalla terrazza di via Cavour (la casa sarebbe poi scomparsa per la costruzione di via dell’Impero) del 1929, Yom Kippur alla Sinagoga del 1931 e il grande Autoritratto con lettera del 1942, che presenta una linea, che apparentemente può essere scambiata per un danno, mentre è dovuta all’unione di due tele precedenti cucite insieme per ottenerne una più grande da dedicare al suo compagno (nella lettera si legge Pittore Mario Mafai).
Di Mafai sono pure presenti delle vedute di Roma (tra cui Tramonto sul Lungotevere, del 1929 olio su compensato, Collezione Iannaccone) e in particolare troviamo il tema della città che si trasforma e quindi le demolizioni, come nel dipinto Demolizione di via Giulia (1936, olio su tela, GAM): tema questo che si ritrova anche in Scipione, quando raffigura la Spina di Borgo prima della sua demolizione (La via che porta a San Pietro, 1930, GAM) e in Afro nel suo Demolizioni/Autoritratto (1939, olio su tela, GAM).
La vocazione visionaria di Mafai, ma coniugata con una vena più intimista, come afferma Elena Pontiggia nel suo scritto sul percorso espositivo, è particolarmente evidente nelle Donne che si spogliano (1934, GAM), che “sembrano Menadi dionisiache, inseguite dalle loro vesti che prendono la forma di spettri”.
Nello stesso settore troviamo anche il ferrarese Filippo De Pisis, che tratteggia la poetica del colore con una pittura stenografica rapidissima, fatta di piccoli tocchi. Marino Mazzacurati è pure rappresentato con un dipinto che ricorda Van Gogh e una testa in cera, che si discosta molto dalla scultura monumentale del ventennio fascista.
Particolarissima, perché ricoperta di tessere musive policrome, è un’altra testa, realizzata da Mirko Basaldella. L’opera, intitolata Furore (1944, Musei di Villa Torlonia), apre un nuovo filone di ricerca su tecniche e materiali alternativi per la scultura, abbinando alla deformazione espressionista l’uso eccentrico del colore.
Un artista che si allontana molto dall’estetica sarfattiana del suo periodo è Alberto Ziveri, tra le cui opere ricordiamo Giocatori di birilli del 1934 e Il postribolo del 1945, due oli della Collezione Iannaccone. Quest’ultimo dipinto, accostato ai disegni preparatori (acquerello e inchiostro) dei Musei di Villa Torlonia, raffigura una scena reale di quegli anni, distante dal classicismo ricercato di Novecento e caratterizzata, al contrario, da una carnalità volutamente pesante e priva di poesia.
Un’altra personalità molto ben rappresentata in mostra è quella di Fausto Pirandello, le cui opere esprimono anch’esse il desiderio di misurarsi contro una tradizione secolare basata sui moduli di una presunta classicità. E in effetti egli si presenta alla svolta dell’arte italiana degli anni Trenta con una carica rivoluzionaria e una formazione artistica che lo aveva portato anche a Parigi, “a bagnar i panni in Senna”, insieme a De Pisis e ad altri Italiens de Paris. Nel dipinto La spiaggia (1940, Collezione Iannaccone), i suoi bagnanti nudi appaiono come pezzi di carne non ben distinti uno dall’altro. Impressionante è la pesantezza materica del dipinto La lettera (1929, Collezione Iannaccone), perché evidentemente egli voleva rappresentare un’epistola non gradita, proveniente dall’assillante padre (il noto letterato Luigi Pirandello), che gli chiedeva di lasciare Parigi. Notevoli sono alcune sue figure femminili, come nella grande tela Composizione (Siesta rustica), pure della collezione Iannaccone.
L’itinerario espositivo prosegue al secondo piano della Galleria con alcuni dei protagonisti del gruppo dei Sei pittori di Torino (1929-31), riunito attorno alla personalità carismatica di Felice Casorati e alle figure di Lionello Venturi e di Edoardo Persico. Sono loro a suggerire e tratteggiare una sorta di “civiltà pittorica del tono”, secondo le parole dello stesso Venturi. Attraverso le opere degli artisti Chessa, Galante, Levi, Menzio, e inoltre Spazzapan e Sobrero, vicini al sodalizio, si esplora una pittura di chiara ispirazione “francofona”, incentrata sul colore, ispirata dalle ricerche impressioniste e postimpressioniste d’oltralpe. Tra le opere esposte ricordiamo i due ritratti di Alberto Moravia eseguiti da Carlo Levi (forse più noto per il celebre romanzo Cristo si è fermato a Eboli), uno del 1932 della GAM e l’altro del 1930 della Casa Museo Alberto Moravia.
Sono pure esposte le due più recenti acquisizioni della Collezione Iannaccone, e cioè gli oli su tela, entrambi del 1929, Nudo sdraiato di Gigi Chessa e Figura in blu (e vaso verde) di Francesco Menzio.
Il percorso si conclude con il gruppo “Corrente”, protagonista dal 1938 a Milano di un vigoroso e appassionato espressionismo lirico. Il gruppo di giovani artisti, coordinati da Edoardo Persico, sono Badodi, Birolli, Cassinari, Sassu, Treccani, Valenti; insieme a molti altri (tra cui Manzù, Fontana, Tomea, Cantatore, Franchina), che partecipano più o meno assiduamente alle attività della rivista e della Bottega omonime, esprimono una pittura inquieta e libera, capace di “parlare alla gente di cose vive”. Tra le opere più significative troviamo la Nuova Ecumene del 1935 di Renato Birolli (collezione Iannaccone). Il dipinto rappresenta la “terra della nuova pittura”, in cui alcuni artisti, tra cui lo stesso Birolli, sono radunati attorno a una figura “cardinalizia”, che riecheggia il Cardinal Decano di Scipione e che probabilmente è da identificarsi con Edoardo Persico.
Notevoli sono pure i dipinti di Badodi (tra cui Il circo, Ballerine e Il caffè), quello di Emilio Vedova intitolato Il caffeuccio veneziano e tre ritratti di Renato Guttuso (Ritratto di Mario Alicata, Ritratto di Antonio Santangelo e l’Autoritratto del 1937, della GAM).
Ma l’opera forse più appariscente, esposta al terzo piano, è La battaglia dei tre cavalieri di Aligi Sassu, una grande tela (2 m x 2 m) che si riteneva perduta, ma che è stata poi acquistata in Ungheria dall’avvocato Iannaccone. Il dipinto era stato rifiutato al premio Bergamo del 1941, ufficialmente per le dimensioni eccessive ma probabilmente per motivi ideologici, in quanto l’antifascista Sassu vi aveva manifestato, anche se camuffato in una scena mitologica, il suo orrore per la guerra.
La mostra è un felice esempio di collaborazione fra una collezione pubblica e una privata, che rende possibili inediti confronti e reinterpretazioni delle opere di diversi artisti, confermando come l’arte italiana fra le due guerre sia stata tutt’altro che provinciale. In piena sintonia con le tendenze internazionali, ma allo stesso tempo consapevoli della tradizione nazionale, gli espressionisti italiani hanno dato luogo a un lessico originale, capace di interpretare con efficacia le inquietudini del loro tempo.
Nica FIORI Roma 7 Luglio 2024
“L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano”,
Galleria d’Arte Moderna, Via Francesco Crispi, 24 Roma.
Dal 6 luglio 2024 al 2 febbraio 2025
Orario: dal martedì alla domenica ore 10-19