di Natale MAFFIOLI
IL NEOCLASSICISMO A TORINO DA TORWALDSEN A BOGLIANI[1]
Uno degli edifici più rimarchevoli dell’Ottocento Torinese è certamente la chiesa della Gran Madre di Dio; è situata al termine della fuga di via Po, appena attraversato (fig.01) il ponte Vittorio Emanuele I sulla sponda orientale del fiume Po, fu costruita tra il 1818 e il 1831 su disegni dell’architetto torinese Ferdinando Bonsignore (1760-1843).
La motivazione della costruzione è bene espressa nell’iscrizione sulla trabeazione sotto il timpano della facciata della chiesa: “ORDO POPVLVSQVE TAVRINVS OB ADVENTVM REGIS” (“La nobiltà e il popolo di Torino per il ritorno del re”) fu eretta per volontà dei Decurioni (Amministratori) della città di Torino, per commemorare il ritorno del re Vittorio Emanuele I di Savoia il 20 maggio 1814, dopo la ritirata dell’esercito francese.
La struttura, in schietto stile neoclassico, è una evidente riproposizione, con i dovuti arrangiamenti, del Pantheon di Roma; è collocata sopra un alto basamento di pietra; la sua facciata, con sei colonne di granito e capitelli e basi corinzie in marmo di Carrara, è preceduta da un’ampia scalinata contenuta tra due importanti ali, sempre di pietra, che hanno come termine due sculture che rappresentano la Fede e la Religione.
L’interno della chiesa (fig. 02) è molto semplice ed è interamente illuminato dalla luce che penetra del grande oculo aperto nella sommità della cupola che è impostata su una spessa base dove sono ricavati tre altari;
le pareti sono decorate da bassorilievi che narrano i momenti salienti della vita della Vergine Maria, sempre reinterpretati secondo il gusto neoclassico, e sono stati eseguiti da artisti in buona parte formatisi nell’Accademia di Belle Arti di Torino, da poco riformata: Angelo Bruneri, Carlo Caniggia, Giuseppe Chialli, Antonio Moccia, Andrea Galassi a cui si deve la statua della Gran Madre di Dio con il Bambino, situata nell’altare maggiore, e Giuseppe Bogliani, ma anche da artisti provenienti dalla vicina Lombardia come il milanese Francesco Somaini.
Ci interesseremo, in modo particolare ad uno scultore, Giuseppe Bogliani, che ha lasciato in Torino numerose opere interessanti per la storia dell’arte e la religiosità cittadina.
Il Bogliani era nato a Torino nel 1780 e si era formato all’Accademia Albertina, in seguito si era trasferito nella capitale della cristianità, e qui era stato allievo dello scultore danese Bertel Thorvaldsen (Copenaghen, 1770 – 1844) [2], e a questo artista si sentì affine e, nella sua attività a Torino, lo prese a modello nel realizzare alcuni suoi lavori, aderendo con convinzione ai principi estetici inaugurati da Antonio Canova. Ritornato in patria in seguito divenne professore di scultura nella stessa Accademia Albertina e si impegnò con alacrità ad opere di scultura
Nel 1844 a Torino, in piazza Maria Teresa, lo scultore si fece erigere dall’architetto Giuseppe Formento (Torino, 1771- 1848) [3] un palazzo-studio (figg. 03, 04, 05) che decorò lui stesso con interessanti particolari; meritano una menzione i balconi della facciata con le mensole di sostegno in forma di figure femminili.
Altre opere importanti dello scultore sono le due statue per la chiesa della Gran Madre (un San Carlo Borromeo e un San Giovanni Battista patrono della città), la statua della Madonna Consolata (fig. 06), su una colonna appena fuori del santuario a lei dedicato, la statua bronzea dedicata a Pietro Micca, posta sul piazzale antistante l’antica cittadella, le statue dei quattro evangelisti collocate sulla facciata della chiesa cittadina di San Massimo, i ritratti del re Carlo Alberto e del papa Pio IX, oltre a diverse sculture mitologiche. Nel museo diocesano si conserva una statua d’argento di San Secondo (fig. 07);
in verità la scultura è stata realizzata dell’argentiere Carlo Balbino nel 1844 ma fu modellata dal Bogliani in quello stesso anno (fig. 08).
Nel 1861 lo sultore realizzò, sulla facciata di un edificio civile, situato in via Baretti, di fronte alla chiesa cittadina dei Santi Pietro e Paolo a Torino, una serie di tondi a bassorilievo in stucco bianco (di circa 90 centimetri di diametro).
L’opera è ignorata dagli storici, non si sono conservati documenti riguardanti i committenti o le ragioni dell’esecuzione dei bassorilievi e gli attuali abitanti dell’immobile non sanno nulla a riguardo di queste opere d’arte.
In questi prodotti l’artista concretizza le sue idee di carattere politico e sociale, con riferimenti legati alla sua cultura letteraria (o a quella degli sconosciuti committenti).
Grazie ad una lettura dei soggetti si possono dividere i bassorilievi in due gruppi: quelli che sono propri del Bolgiani (cinque) e quelli che sono stati ispirati ad opere del suo antico maestro Bertel Torvalsen (tre).
Al primo gruppo appartengono opere di carattere eminentemente politico, nel primo lavoro lo scultore ha raffigurato un’immagine encomiastica del re Carlo Alberto di Savoia (non era il suo primo ritratto del sovrano, nel 1843 ne aveva già scolpito uno, probabilmente in marmo di Carrara); il busto del monarca è collocato sopra un tipico cavalletto da scultore come se l’artista avesse terminato di plasmarlo sul momento. Sotto il ritratto il Bogliani appose una scritta a rilievo[4], che recita così: “LA NOBILE SCULTURA A CARLO ALBERTO PROTET. MAGNANIMO DELLE BELLE ARTI E SCIENZE L.A.P. BOGLIANI MLCCCLXI” (fig. 09), lo scultore definisce l’arte a cui era impegnato nella sua professione “NOBILE” ed era ben consapevole dell’eccellenza dell’arte da lui praticata.
La dedica a Carlo Alberto rientrava nella prassi dell’offerta ad un sovrano della sua opera da parte di un artista, nella fattispecie la visualizzazione della ‘scultura’, è illustrata da una giovane nuda, nella parte superiore del suo corpo questa figura si avvicina tanto ad un prodotto di derivazione classica da poter essere definita come la riproposizione di una scultura di origine greca, ma conosciuta dallo scultore da una copia romana di un originale greco del terzo secolo a.c. denominata la Venere Accovacciata. In secondo piano si possono intravvedere altri elementi tipici tra quelli che ingombravano il laboratorio di uno scultore: una testa di Atena con l’elmo corinzio e un modelletto da studio di maschio nudo.
Uno dei bassorilievi maggiormente connotati da idee risorgimentali è quello dove alla base dell’immagine si legge la scritta: ITALIA LIBERA (fig. 10); la raffigurazione della nazione è quella tradizionale: una bella signora, rivestita di un’ampia stola, legata sui fianchi che le lasciava libero il seno destro mentre un fermaglio le tiene coperta la spalla sinistra, la splendida falcatura dei panni ne fa una figura massiccia.
La testa “turrita” è sormontata da una stella a cinque punte, il braccio destro con un ampio gesto regge uno scettro.
La popolarità dell’immagine dell’Italia turrita ha toccato il suo apogeo durante il Risorgimento: dopo l’ unità è iniziato il declino di questa figura, che l’ha portata quasi all’oblio, superata per importanza da altri simboli.
La bella figura femminile è accompagnata da altre immagini che hanno il compito di illustrare quelle che si ritenevano le virtù della gente d’Italia, un fanciullo nudo a lato, con appoggiata sulla spalla la mano della signora, porta in testa il berretto frigio, questo ha un significato molto antico, in epoca romana era il copricapo che veniva donato dal padrone agli schiavi liberati, i liberti; fu quindi molto probabilmente che in epoca romana il berretto frigio (chiamato pileus) assumesse il valore simbolico di libertà ed ebbe largo uso durante la rivoluzione francese, il ragazzo tiene in mano la palma della vittoria che assieme al sole sorgente, sullo sfondo indica il futuro positivo dell’Italia.
Il tondo successivo è dedicato “ALLA SEVERA ARCHITETTURA REGINA DELLE ARTI. MEC.E” (fig. 11);
il bassorilievo non è semplicemente dedicato all’architettura, come sarebbe d’uopo, ma alla “SEVERA ARCHITETTURA” cioè all’architettura nell’accezione più pura, dell’idea della regina delle arti, e denominandola “SEVERA” il Bogliani si riferiva all’assenza di orpelli, di accessori decorativi e che trova la propria ragion d’essere nella semplicità che costituisce la cifra essenziale delle manifestazioni artistiche severe, in scultura, in pittura, in architettura: una semplicità che però non è frutto di ingenuità, bensì di una maturità artistica e culturale che definisce i propri contorni e sviluppa la propria originalità.
Il tondo rappresenta visivamente questa sua idea, e affianca alla prosperosa figura femminile, rivestita con un morbido e lungo chitone, stretto alla vita e drappeggiato sulle spalle, mentre regge gli strumenti tipici dell’attività di un architetto; con la destra regge una squadra e con la sinistra un trasportatore angolare. Lo sfondo è occupato dai due edifici classici più rappresentativi dell’antica architettura romana: il Colosseo e un particolare del frontone del Pantheon.
Per rimanere in clima di aggettivi positivi consideriamo con attenzione il nuovo tondo della GENTILE PITTURA (fig. 12). Anche riguardo alla pittura il Bogliani usa un altro aggettivo qualificativo e, in questo caso, la definisce “GENTILE “, per dare ragione a quanto afferma usa ancora una volta una immagine femminile, nel modo di pensare comune si collega la gentilezza alla femminilità e, anche questa volta, è una avvenente figura muliebre che si presta a descrivere una caratteristica della pittura: seminuda è seduta davanti ad una tela appoggiata su un cavalletto (detto a lira), la tela è bianca, con la destra la ragazza regge un pennello e lo sta usando mentre la sinistra tiene altri pennelli e un bastone poggia bolso da pittura.
Lo scultore manifesta tutto il suo estro d’artista nel drappeggiare il panno che le copre le gambe e modella il busto sensuale. Anche nei particolari si dimostra un artista di talento: il panneggio deborda dalla figura e si raccoglie, con eleganti increspature, ai sui piedi, il viso, molto espressivo, è modellato, come del resto tutto il corpo, con riferimenti all’antico al modo che era inteso in epoca neoclassica, i capelli, raccolti sotto una fascia e separati da una scriminatura sono lasciati liberi sulla nuca e cadono in eleganti boccoli. La figura è circondata da aggetti collocati lì a caso che hanno il compito di creare l’ambientazione di un atelie di un artista impegnato, le tavolette già dipinte, un cestino pieno di cartacce e una lanterna magica.
“IL GENIO DELLA POESIA E MUSICA ISPIRATORE DELLE ARTI BELLE” (fig. 13)
Nel Medioevo i due gradi dell’insegnamento erano divisi in scientifico (il quadrivio) e letterario (il trivio) e il loro insieme fu denominato arti; la musica faceva parte del quadrivio assieme all’aritmetica, la geometria e l’astronomia. Il Bogliani unisce musica e poesia indipendentemente dall’antica divisione delle arti, ma da buon risorgimentale le colloca l’una accanto all’altra non immediatamente come espressione culturale ma figurativa, ponendole sotto il denominatore comune di genio, di intelligenza.
Dal punto di ista iconico lo scultore riconduce le due realtà poesia e musica ad una sola figura e la descrive come un giovane nudo, alato, seduto su di una roccia mentre pizzica una lira. Questa immagine appartiene alla migliore tradizione dell’arte neoclassica che esibisce il meglio di quanto è stato tramandato dalla cultura greca e romana; il fisico, decisamente prestante, nudo, rimanda a quanto di meglio è stato realizzato dall’arte di Thorvaldsen ( vedi Priamo che prega Achille che gli restituisca il corpo di Ettore). Il viso del giovane è imitazione di una scultura del quarto secolo a.c. le due ali spiegate rimandano, ancora una volta, ad un lavoro del 1829 di Thorvaldsen: il “Genio della morte”[5].
Altri elementi simbolici sono presenti sulla scena: a destra è raffigurato un cigno: stando ad una antica tradizione veniva attribuito al volatile il suo canto più bello prima di morire. Sotto la roccia dove è seduto il giovane sono appoggiate due trombe, una siringa e una maschera tragica strumenti musicali e della commedia, A sinistra è sbocciata una pianticella di olivo, simbolo della pace e della rinascita, ed è tutto ciò che si richiede alla musica e della poesia. Sulla balza del bassorilievo compare la firma dell’artista “G, BOGLIANI”(fig. 13a).
Al gruppo di opere ispirate a Thorvalsen appartie la raffigurazione del “GIORNO” (fig. 14), una evidente riproposizione di un’opera del danese; uno degli originali è conservato a Brescia nella Pinacoteca Tosio Martinengo, (14a) il lavoro risale al 1821.
ll Bogliani era a conoscenza dell’opera del suo maestro e l’ha voluta riproporre qui a Torino senza alcuna piaggeria e al solo scopo di realizzare un’opera che gli era gradita e forse, con altri gessi della facciata, voleva fare memoria del suo maestro che era morto alcuni anni prima, nel 1844. A Brescia si conserva un’altra opera attribuita al Thorvalsen che fa da pendant a questa, intitolata LA NOTTE.
Il giorno, è per sua natura, il regno della luce, ed è per questo che l’immagine del Bogliani, raffigura una giovane donna alata che porta sulle sue spalle un fantolino e questo regge una torcia accesa. La figura femminile, che si libra sul vuoto, è rivestita con una lunga veste, splendido risultato di un lavoro di spatola e stecca prodotto da un artista padrone dell’arte del plasticatore.
La donna, con le mani piene di fiori, protese verso il luogo del suo destino e che lascia cadere abbondanti con un significato ben preciso: la luce del giorno è apportatrice di vita e i fiori sono il segno della pienezza di vita.
Il bassorilievo che riproduce ANACREONTE ED EROS (fig. 15) è un evidente rielaborazione di un lavoro che Bertel Thorvalsen ha realizzato in marmo nel 1824.
L’episodio è tratto dalla mitologia greca e si basa sulle canzoni di Anacreonte, il famoso poeta ionico, che scrisse una canzone d’amore nella quale lo stesso Anacreonte apre la sua casa a Eros in una notte di tempesta, questo atto di generosità è ripagato da Eros in modo singolare trafiggendogli il cuore con il suo dardo.
In questo rilievo lo scultore danese raffigura il poeta greco che, con un panno, asciuga Cupido che si è presentato a lui nudo, madido per il fortunale. Nelle sue liriche Anacreonte canta di Dioniso di Eros e di Bacco, il dio del vino.
L’interesse per Dioniso è rammentato dalla presenza del tirso, il bastone a lui sacro, fatto di legni diversi, ma più spesso di corniolo, formato da una grossa asta sormontata da una pigna, attorno ad essa erano avviluppati edera e pampini di vite, e non possono mancare, vicino alle figure, come segno della sua passione per il vino, alcune anfore, e uno strumento musicale evidenziando come l’estasi che deriva dalla sbornia è accompagnata dal canto. Altri particolari rimandano all’episodio che fu vissuto da Anacreonte e da Eros: il braciere per riscaldare l’ambiente e la lucerna perché l’incontro è avvenuto di notte.
A GENIO LUMEN (DAL GENIO LA LUCE) (fig. 16)
L’ultimo rilievo tra quelli che decorano la facciata della casa di via Baretti a Torino è dedicato al genio dell’arte, o meglio al genio dell’artista: una donna che rappresenta l’incarnazione dell’arte, non solo di quella visiva come la scultura e la pittura, ma anche della poesia e della musica è accompagnata da una nottola (il segno di Minerva, la divinità che presiede alla sapienza) che è raffigurata in un angolo, decisamente riposto, di un’ara. La scena è gestita da due personaggi il primo, desunto dalla mitologia classica, è raffigurato da un ragazzo alato e nudo che si sta avvicinando all’altare per accende, o rinvigorire con l’olio una fiamma smorta. Una donna, tutta concentrata nella meditazione e nella composizione, che gli è accanto pensosa con le gambe accavallate assiste all’operazione. Si può intendere la scena come una figura femminile che ha come unico scopo del suo vivere, il pensare alla creatività, il fanciullo che versa il combustibile nella lampada è il sapiente che alimenta, con la riflessione, il suo pensiero dominante sull’arte.
Nel museo Thorvalsen di Copenaghen, si conserva un disegno preparatorio del bassorilievo del maestro (fig. 16a) e realizzato con un leggero tratto d’inchiostro color seppia.
Natale MAFFIOLI Torino 28 Luglio 2024
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