di Riccardo BERNARDINI & Fabrizio DE FRANCESCO
1- Nei giorni del Solstizio d’Estate, dal giugno 2022, si tiene annualmente un incontro di studio e dialogo, coordinato dagli autori di queste righe, alla Basilica di San Miniato al Monte, Firenze.
L’appuntamento, che coinvolge ogni anno specialisti di differenti ambiti disciplinari – lo psicologo Robert Michael Mercurio nel 2022, il cartografo e gnomonista Simone Bartolini nel 2023 e 2024, l’artista Marcello Aitiani nel 2024[1], sempre sotto l’ala benevolente di Dom Bernardo Francesco Gianni, O.S.B, Abate di San Miniato al Monte –, ha preso avvio dalla pubblicazione del libro Simboli di rinascita nella Basilica di San Miniato al Monte a Firenze. Da Gioacchino da Fiore a C.G. Jung[2]. Quel lavoro proponeva alcune considerazioni sull’iconografia di San Miniato al Monte, a partire dai fondamentali studi di Fred Gettings, Renzo Manetti e Simone Bartolini, con una speciale attenzione a cinque temi, che costituiscono tuttora altrettanti momenti contemplativi nelle sessioni annuali della “École du Solstice”: lo Zodiaco marmoreo nella navata centrale e i suoi due ingressi solstiziali; la Porta Santa rivolta a Oriente, che richiama quella rinascita interiore a cui tutta la chiesa sembra tendere; il Teriomorfo dell’ambone e gli animali allegorici, ciascuno dei quali è portatore di uno specifico messaggio ermetico; il glifo dei Pesci, icona di resurrezione cristica e vittoria sulla morte; e l’iscrizione steganografica (segreta) pavimentale, che da oltre mille anni accoglie fedeli e visitatori a San Miniato al Monte.
Questo complesso simbolismo sembra raccontarci delle angosce millenaristiche dell’uomo medievale per la venuta dell’Anticristo, alla fine di un’epoca del mondo: astronomicamente, la “commissura” o momento di passaggio dell’equinozio di Primavera dal primo al secondo pesce nella costellazione dei Pesci, lungo il movimento di precessione degli equinozi; ma anche delle sue speranze escatologiche per l’inizio di un nuovo tempo cosmico, colmo di grazia e serenità, profetizzato da Gioacchino da Fiore (l’Età dello Spirito Santo) e, con riferimento all’attesa Era dell’Acquario, intuito da Carl Gustav Jung (“La via di quel che ha da venire”)[3].
Tra i capolavori dell’architettura romanica e, secondo lo storico dell’arte, astrologo ed esoterista Fred Gettings (noto anche con gli pseudonimi di Mark Hedsel, David Ovason e Charles Walker)[4], la chiesa più amata da Dante[5], la Basilica di San Miniato al Monte – testimone di una speciale assimilazione cristiana del preesistente simbolismo astrologico – ha festeggiato nel 2018 il suo millennio, sebbene la sua storia risalga, ancora più anticamente, alla tumulazione del santo cefaloforo armeno Miniato, martirizzato nel 250 per ordine dell’imperatore Decio (200 ca.-251)[6].
Benché nei vari Concili dei primi secoli (Laudicea nel 361, Toledo nel 400, Braga nel 561) fossero stati pronunciati anatemi contro l’astrologia, questa era troppo radicata nelle credenze universali affinché potesse esserne estirpata. L’idea di San Tommaso d’Aquino secondo cui, pur nel condizionamento caratteriale prodotto dai pianeti, la volontà dell’uomo resti libera (“astra inclinant, non necessitant”) si tradusse nel compromesso medievale, accolto anche da Dante, che gli astri possano indicare il destino, pur senza determinarlo (Purg. XVI, vv. 73-74; Par. XXII, vv. 112-117)[7]. Il fedele ritrova così i simboli zodiacali anche nei luoghi di preghiera: dalla Cattedrale Notre-Dame di Amiens alla Basilica Sainte-Marie-Madeleine di Vézelay, dalle Cattedrali Notre-Dame di Senlis, Laon e Chartres alla porta bronzea della Basilica di San Zeno Maggiore a Verona, allo Scalone dei Morti e al Portale dello Zodiaco dell’Abbazia di San Michele della Chiusa (Sacra di San Michele) in Val di Susa, l’arte e l’architettura sacra hanno spesso recepito la simbologia astrologica[8], adottando il bestiario dello Zodiaco – “l’oblico cerchio che i pianeti porta” (Par. X, v. 14) – come icone dello scorrere del tempo[9] o, talora, dei fondamenti teologici cristiani (San Zeno)[10].
Lo Zodiaco di San Miniato al Monte, visibile nel terzo riquadro del tappeto marmoreo della navata centrale, rappresenta una vera e propria “macchina filosofica”[11] dell’astrologia più arcana[12], legata a ritmi quotidiani (governati dal segno del Toro), annuali (presieduti dai Pesci) ed epocali (connessi con la data di fondazione della Basilica, il 28 maggio 1207, forse nell’attesa salvifica di un’“Età dello Spirito Santo” sovrintesa dall’Acquario)[13], e congiunta in modo puntuale con i simboli all’interno e sulla facciata della chiesa[14]. L’orientamento destrorso di tale Zodiaco – documentato da Olga Fröbe-Kapteyn, la fondatrice di Eranos, nell’ambito delle sue ricerche svolte negli anni ’30 e 40’ per conto dello psicologo Carl Gustav Jung[15] e notato anche da Luigi Aurigemma ne Il segno zodiacale dello Scorpione[16] – e la particolare rappresentazione dei suoi glifi, la peculiarità idrogeologica del luogo e la disposizione geografica dell’edificio, il suo sviluppo su tre livelli – cripta/Inferi, piedicroce/Terra e abside/Cielo[17] – e le sue auree proporzioni[18] – riconducibili a quella concezione platonica di Dio come mundi elegans architectus ispirata dal Timeo[19], ripresa da Alano di Lilla[20] e messa in opera dalla scuola dei costruttori di Chartres[21] –, l’ibridazione di arte islamica e cristiana, le sculture teriomorfe e le iscrizioni steganografiche – a testimonianza delle influenze neopitagoriche, platoniche e neoplatoniche che attraversarono anche l’opera di Dante[22] – conferiscono a San Miniato al Monte un carattere eccezionalmente esoterico.
Come ha rilevato Franco Pratesi:
“Tutto […] ci fa sentire prepotentemente la presenza dell’uomo in questa Basilica: una umanità viva e reale, non da contrapporre, ma da giustapporre al misticismo. In questa Basilica, cioè, l’Uomo, con la U maiuscola, non è soltanto spettatore, come nelle altre chiese romaniche, ma è anche attore”[23].
Secondo Fred Gettings, San Miniato al Monte rappresenta
“uno stato dell’essere nel quale l’essere umano si trova collocato tra due mondi […] e […] un ‘punto di accesso’ più che un punto intermedio”[24];
per queste ragioni,
“richiede di essere approcciata con una attitudine mentale […] ‘olistica’, che in epoca medievale era definita ‘contemplativa’”[25].
Dopo avere visitato San Miniato al Monte, John Ruskin ammise di avere compreso, per la prima volta in senso assoluto, cosa fossero stati i costruttori del Medioevo e cosa avessero significato[26]. Il Dalai Lama, entrando a San Miniato insieme a Padre Bernardo nel 1999 (era la sua seconda visita alla Basilica), disse all’Abate di avere percepito l’“energia potentissima” del luogo.
Il lapis liber fiorentino è stato oggetto di studi storico-architettonici e storico-artistici, astrologici e simbolici, archeoastronomici, monastici, documentali ed epigrafici, oltre che di opere devozionali, artistiche e letterarie[27]. Nei primi anni ’70, al cospetto del mosaico dorato nel catino absidale di San Miniato al Monte raffigurante Cristo Pantocratore, Gettings – assistito nelle sue ricerche dall’Abate Vittorino Aldinucci e da Michele Ranchetti, che viveva poco distante – ebbe una esperienza “intensamente spirituale […], la più profondamente estetica ed arcana di tutta la [sua] vita”: una “tremenda eccitazione dell’anima”, nella forma di una anamnesi platonica, sentita come una “chiamata destinale” a decifrare il simbolismo segreto della Basilica[28].
Come documentano i rilievi di Simone Bartolini, tutt’oggi, per circa sei giorni nel periodo del Solstizio d’Estate (21 giugno) e per pochissimi minuti attorno alle 12:36 ora solare (corrispondenti alle 13:53 ora civile estiva), un piccolo fascio di luce entra dalla terza monofora (a partire dall’ingresso) della parete Sud-Ovest della Basilica di San Miniato al Monte e, annunciando l’inizio dell’Estate, illumina il segno del Cancro nello Zodiaco di marmi intarsiati, esattamente sull’asse dell’edificio; il disco luminoso, inizialmente di pochi centimetri, si allarga progressivamente, riempendo infine quasi per intero la circonferenza marmorea di circa 36 centimetri nella quale, come un “bersaglio”[29], è iscritto il glifo del Cancro[30].
I raggi solari che penetrano dalle altre monofore della parete meridionale rendono il gioco di luce ulteriormente articolato. Un primo cerchio luminoso appare alle 13:50 (ora legale) sul tappeto marmoreo ai piedi dell’edicola d’altare del Michelozzo o Cappella del Crocefisso; dopo circa due minuti, un altro cerchio si illumina al centro della navata, in direzione dell’ingresso, a circa sei metri dal precedente; alle 13:53 un terzo cerchio intercetta lo Zodiaco marmoreo, cadendo esattamente, come si è detto, sul glifo del Cancro. Altri due cerchi, a distanza temporale di 3 minuti, compaiono ancora su questo asse ideale, in modo da creare un sentiero luminoso di cinque sfere che sembra guidarci dall’abside all’ingresso principale.
Come rileva ancora Bartolini:
“La luce, da sempre veicolo per la manifestazione di Dio e del divino, percorre tutta la navata, come se Dio stesso dall’interno del Tempio volesse uscire per andare incontro all’uomo”[31].
Era inoltre credenza platonica, nota Renzo Manetti, che i raggi del sole fossero veicoli per la discesa delle anime nel mondo[32]. Questo fenomeno, un tempo coincidente con la festa del santo patrono di Firenze, San Giovanni Battista (24 giugno), rende lo Zodiaco di San Miniato al Monte il più antico quadrante solare solstiziale monumentale ancora funzionante in Europa [33].
2 – Uno dei fili conduttori dei colloqui della “École du Solstice” è costituito dalla riflessione su alcuni riferimenti alla filosofia platonica e neoplatonica ricavabili dalla simbologia e dai complessi intrecci architettonici della Basilica[34]. L’intento non è primariamente affrontare tali rimandi platonici con un taglio “accademico”[35], bensì, in una autentica comunione fra i partecipanti, recuperare il senso più profondo e autentico della filosofia antica: quest’ultima, lungi dal risolversi in mera materia di studio nell’accezione “libraria” che ne diamo noi moderni, era essenzialmente una “pratica” o un “modo di vivere”. Era – come ci ha tramandato lo stesso Platone – una “scienza” diversa da tutte le altre, che
“non si può in alcun modo comunicare, ma come fiamma s’accende da fuoco che balza: nasce d’improvviso nell’anima dopo un lungo periodo di discussioni sull’argomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di se medesima”[36].
Vissuta in questo modo – come vera e propria ἄσκησις[37] –, l’esperienza alla Basilica di San Miniato al Monte dischiude sorprendenti assonanze con alcuni dei passi più significativi dei dialoghi platonici che più hanno segnato la civiltà occidentale; e non è un caso che le corrispondenze più forti corrano con alcuni passaggi del corpus platonico in cui il lettore è condotto tanto alle più alte vette di speculazione metafisica quanto – ed al contempo – nei recessi più nascosti ed oscuri della propria anima attraverso il linguaggio del mito[38].
Ecco allora che l’esperienza del Solstizio estivo pone prima di tutto chi vi partecipa di fronte alla visione di un fenomeno fisico (il raggio di luce che colpisce lo Zodiaco pavimentale in corrispondenza del segno del Cancro), dal quale è possibile trarre proficui spunti di riflessione sia in chiave metafisica sia in chiave psicologica, seguendo un andamento di salita (anabasi) e di discesa (catabasi) ben presente nel pensiero platonico.
Il punto di partenza è necessariamente legato ad una riflessione sulla luce, elemento “a cavallo” fra fisica e metafisica che compare in alcuni passaggi cruciali: bastino qui i riferimenti al Libro VI della Repubblica, in cui essa, collegata al senso della vista, rappresenta dapprima la condizione stessa della conoscenza[39] – e in questo senso la luce è un “fluido che filtra”[40] e quindi dev’essere in qualche modo “accolta”, “lasciata entrare” nel suo manifestarsi – per poi rimandare alla propria fonte, e cioè al sole; ed a sua volta – in un continuo rimando a significati ulteriori – il sole rappresenta quell’idea del Bene che costituisce il vero e proprio centro di attrazione di tutta la dottrina platonica. Si aggiunga, ovviamente, il riferimento al Mito della Caverna narrato nel successivo Libro VII dello stesso dialogo, che è interamente costruito sul passaggio dalle tenebre alla luce[41].
Il secondo spunto di riflessione è dato dalle caratteristiche del luogo che accoglie il fascio di luce, e cioè la Basilica stessa. In questo senso è centrale il riferimento alla natura “cosmica” delle grandi abbazie e cattedrali medievali, le quali – come ogni edifico sacro propriamente detto – sono sempre costruite ad imitazione dell’universo[42]. Ecco allora venire in rilevo numerosi rimandi al Timeo, a cominciare dalla ridondanza di simboli ed elementi geometrici all’interno di tutta la Basilica[43] per continuare con l’ulteriore significato ascrivibile al fascio di luce, vero e proprio “mediatore” fra l’interno e l’esterno dell’edificio (così come il demiurgo lo è fra cosmo fisico e dimensione metafisica, fra mondo del divenire e mondo dell’essere); o ancora con i riferimenti alla dimensione non solo etica, ma cosmogonica e cosmologica di quell’idea del Bene che – sempre nel Timeo – viene indicata come ragione ultimativa e fondante che sottostà alla creazione del cosmo[44]: un riferimento che in terra fiorentina non può non richiamare quell’“amor che move il sole e l’altre stelle” con cui termina il Paradiso dantesco (Par. XXXIII, v. 145).
E, ancora, particolarmente significative si rivelano le assonanze con il Mito di Ēr che chiude il decimo ed ultimo libro della Repubblica: colpisce la similitudine fra le porte solstiziali della Basilica (ianua coeli e ianua inferi) e le voragini che Ēr vede aprirsi nel cielo e nella terra e che confluiscono nel luogo in cui si ritrovano le anime dopo aver compiuto il proprio viaggio, celeste o terreno, preludio alla loro successiva reincarnazione[45]; impressiona la corrispondenza fra il raggio solare che interagisce con lo Zodiaco pavimentale della Basilica e quella “luce dritta come una colonna” che nel mito platonico compare nella piana in cui le anime attendono di conoscere il proprio destino e che, con immagine suggestiva, tiene avvinto il cielo[46]. Da qui inoltre la conferma, dalla quale potrebbero nascere ulteriori profonde riflessioni, di come lo stesso Platone attingesse tanto ad apparati sapienziali, quanto a complesse simbologie precedenti, ancestrali e per certi versi archetipiche, come quelle del centro, della circonferenza, della sfera e dell’asse del mondo[47], tutte riscontrabili in San Miniato.
Ma quel che davvero conta è che dai complessi e profondi riferimenti simbolici che abbiamo così sommariamente descritto, indagati e penetrati attraverso il linguaggio del mito, si ricava un forte messaggio spirituale che la Basilica di San Miniato al Monte ancora oggi, a distanza di mille anni dall’inizio della sua costruzione, è in grado di comunicare a chi sappia porsi in ascolto. Un messaggio di speranza e di rinnovamento interiore che si pone in piena continuità con la sapienza degli antichi – lo dimostra la conclusione stessa del Mito di Ēr e dell’intera Repubblica di Platone[48] – e che riesce ancora a “meravigliare” (θαυμάζειν)[49] i visitatori e i pellegrini del nostro tempo.
3- In conclusione a queste brevi note – che, per esigenza di sintesi, non rendono certamente giustizia alla ricchezza simbolica dalla Basilica –, testimoniamo il tangibile stupore e la meraviglia dei presenti nell’osservare, in occasione dei dialoghi della “École du Solstice”, l’armonica compresenza di lemmi, emblemi e riferimenti da tradizioni culturali anche molto distanti, nel tempo e nello spazio, dal Cristianesimo medievale, nel quale ci si attenderebbe invece di immergerci entrando in una chiesa romanica.
Questo shock emotivo, probabilmente voluto dagli stessi costruttori medievali, è del resto parte costitutiva dell’esperienza proposta: è proprio grazie a ciò che il fedele, spaesato e disorientato dalla complessa simbologia di questo star gate romanico, è invitato a incontrare il divino, al di là della stessa esperienza iconografica che lo suggerisce: varcata la porta d’ingresso, è sospinto a metaforizzare la visione dell’interno della chiesa, in una condizione di κένωσις, di “svuotamento dell’anima” (Flp 2:7), così da non vedere più l’architettura ma il Divino nascosto nelle pareti di San Miniato[50].
Auspichiamo, in definitiva, che l’appuntamento annuale della “École du Solstice”, al di là della doverosa attenzione filologica alla storia religiosa, architettonica e artistica di San Miniato al Monte (che si potrà approfondire con i numerosi lavori specialistici sul tema), venga inteso anzitutto come una occasione “contemplativa” e devozionale, la quale è stata senza dubbio parte della sensibilità che ha mosso la stesura del libro da cui questo progetto nasce, scritto in un momento storico in cui, sempre più spesso,
“non si sente più il bisogno di affidarsi a un Dio [e] la ‘buona fede’, in questa realtà sempre meno trasparente, ormai non ha spazio […]. La filosofia, la filosofia delle religioni, può essere [allora] utile allo scopo. Può esserlo affiancandosi, con il suo specifico approccio, a ulteriori ricerche che da altri ambiti disciplinari – sociologico, psicologico, storico, teologico, pastorale, per esempio – si sono dedicate all’analisi della stessa questione”[51].
Non ne voglia il partecipante, insomma, se questo esercizio rischierà di essere percepito, a tratti, come troppo sincretico: lo si prenda, in tal caso, come testimonianza di un cammino, personale e collettivo, nello studio del simbolismo di una chiesa e devoto riconoscimento nei confronti di un luogo, dei suoi ideatori e dei suoi custodi, e anche del mistero che tutto questo anima e tiene sottilmente insieme.
Riccardo BERNARDINI & Fabrizio DE FRANCESCO Firenze 4 Agosto 29024