di Claudia RENZI
GIAN LORENZO BERNINI VERA FONTE PER LA FAVOLA DI BARBABLU’?
“Non vi volle meno che una guerra” scrive Domenico Bernini[1] per raccontare come suo padre, nel 1665, a seguito di un incidente diplomatico tra Francia e Roma[2], fu costretto a imbarcarsi, sessantaseienne, per un viaggio per la lontana Parigi (Fig. 1).
Ufficialmente Gian Lorenzo Bernini vi si recava per partecipare, magari sovrintendere, alla realizzazione della fabbrica del Louvre. In altre circostanze avrebbe potuto inviare dei disegni senza muoversi da Roma ma Alessandro VII, per non inimicarsi il giovane e potentissimo Luigi XIV, decise di accontentare finalmente la richiesta già pervenuta in passato e spedire oltralpe lo scultore in persona.
Accolto con grandissimi onori dal re, Bernini incassò di contro l’immediato l’ostracismo dei colleghi francesi e, di fatto, delle idee da lui proposte – restano almeno tre diversi disegni – per il palazzo del Louvre alla fine non ne fu realizzata nessuna. Invidiatissimo dagli architetti locali, e di fatto abbastanza isolato poiché non parlava la loro lingua, l’artista dovette accontentare anche la richiesta del monarca di realizzare per lui, già che c’era, un busto ritratto (1665, Versailles, Reggia di Versailles) nonché un rilievo raffigurante Cristo Bambino (1665, Parigi, Museo del Louvre)[3].
Ad assistere Bernini alla corte del futuro Re Sole c’era l’interprete Paul Fréart de Chantelou il cui diario, pubblicato soltanto nell’Ottocento, è la principale fonte per quel viaggio all’estero – l’unico – del maestro.
I progetti di Bernini per il Louvre [4] si rivelarono immediatamente grandiosi, forse troppo per gli architetti d’oltralpe, che avrebbero dovuto realizzare materialmente l’opera quando lui fosse ritornato a Roma. Ben presto, nonostante l’approvazione di Luigi XIV, si cominciò ad accampare scuse, tanto che lo stesso Bernini mangiò la foglia:
“Il Cavaliere ha detto che […] i Francesi avevano pronta genialità ma una maniera infelice e minuta […] occorreva quindi far acquistare ai Francesi il senso del grandioso”[5].
Grazie a Chantelou si sa che uno dei principali oppositori dello scultore era l’architetto e braccio destro di Colbert Charles Perrault, il futuro favolista:
“Al ritorno mio fratello [Roland] m’ha raccontato d’esser stato nella mattinata dal signor Perrault, il quale aveva parlato molto male del progetto del Cavaliere e l’aveva pure sollecitato a dichiarare che non era affatto bello.”[6].
Meno di tre settimane dopo
“Il Cavaliere fece portare il progetto [per il Louvre] perché gli indicasse [Perrault] le cose attorno alle quali voleva dei chiarimenti […] Mentre Perrault esponeva la cosa, il Cavaliere […] qualora non comprendesse il francese aveva afferrato che si parlava della sua opera e si pretendeva che in essa ci fosse un difetto. Prese allora la matita e spiegò il suo pensiero […] che intendeva che a lui non si debbono fare di questi appunti; era disposto ad ascoltare le cose riguardanti i servizi ma per la composizione bisognava che a correggerla ci fosse uno più abile di lui (e indicava se stesso) e quegli non era degno, in ciò, di pulirgli nemmeno la suola delle scarpe; né era appunto questione di ciò al presente; la sua opera era piaciuta al Re, e avrebbe fatto a lui le sue doglianze; sarebbe intanto andato dal signor Colbert per metterlo a corrente dell’oltraggio ricevuto. Il signor Perrault, vedendo che il Cavaliere prendeva la cosa in quel modo, s’è tutto allarmato. Mi ha pregato di calmarlo e di fargli intendere che aveva fatto quelle osservazioni non già per criticare la sua opera ma per sapere come rispondere a quanti avrebbero ripetuto la stessa osservazione. Ho riferito tutto al Cavaliere, e l’ho pregato di considerare che se portava la cosa fino a quel punto [cioè parlarne a Luigi XIV], avrebbe compromessa la fortuna di un giovane, ed egli era troppo buono per volere essere la causa della sua disgrazia. Suo figlio [Paolo Valentino] e il signor Mattia [De Rossi], che erano presenti, si sono pure adoperati per calmarlo, ma è stato inutilmente.”[7].
Perrault assistette insomma a uno dei famigerati scoppi d’ira di Bernini:
“«A un uomo della mia fatta» andava dicendo fra sé il Cavaliere «a me che il Papa tratta con convenienza e con tanti riguardi; che sia trattato in tal modo; me ne lagnerò col Re; anche se vi dovesse andare di mezzo la vita voglio partire domani, e non so chi mi tiene dal dare un colpo di martello al busto, dopo un così grande insulto!»”,
e si può credere che sudò freddo poiché se il suscettibile maestro avesse davvero fatto quello che aveva minacciato in preda alla rabbia, avrebbe creato un disastro diplomatico serio stavolta. Il suo atteggiamento mutò all’istante, e si profuse in scuse tanto che il giorno dopo si recò in visita privata da Bernini. Chantelou lo incrociò sulla porta:
“Quest’ultimo [Perrault] mi è venuto incontro con viso gioioso e m’ha detto che era stato dal Cavaliere con cui s’era spiegato[8] e gli aveva fatto comprendere che egli non aveva detto nulla con intenzione offensiva; che il Cavaliere s’era persuaso trattarsi di un malinteso.”[9].
Eppure Bernini era consapevole, e tale rimase, dell’ostilità dei francesi:
“Ho un gran nemico a Parigi, ma un gran nemico: il concetto che loro hanno di me.”[10]
Anche dopo essere tornato a Roma, ove puntualizzò:
“In ordine poi a ciò che V. S. mi scrive delle ciarle sollevate contro di me a Parigi, in vece di rammaricarmene quasi me ne glorio, poiché non avendo potuto i miei malevoli tacciarmi ne’ fatti, con troppo debole fondamento procurano di screditarmi nei detti […] Ma per esser degnamente regalato con doni da Re, vi voleva ancora la Mirra di sinistre imposture, havendo già ricevuto oro di ricchezze & incenso di honori in abbondanza. Il Tempo scoprirà la Verità, come a mio beneficio altre volte ancora l’ha scoperta.”[11].
A seguito dell’increscioso episodio del 6 ottobre Perrault si fece apparentemente remissivo e prudente, in attesa che l’italiano levasse le tende. Ma dopo? Possiamo avere traccia, da qualche parte, di ciò che davvero Charles (e buona parte di amici e sodali) pensavano di Bernini?
Perrault avrebbe ricordato la sua conoscenza con Bernini nelle sue Memorie in termini apparentemente elogiativi ma in realtà intrisi di sarcasmo:
“Il avait une taille un peu au-dessous de la médiocre, bonne mire, un air hardi. Son âge avancé et sa grande reputation lui donnaient encore beaucoup de confiance. Il avait l’esprit vif et brillant, et grand talent pour sa faire valoir; beau parler, ton plein de sentences, des paraboles, d’histoiriettes et de bon mots dont il assaisonnait la plus part de ses réponses.”[12].
Ma forse Perrault rievoca la figura di Bernini, camuffandola a dovere, anche altrove: com’è noto nel 1697 il favolista pubblicò Histoires ou Contes du temps passé, avec des moralitéz (ampliamento dei precedenti Contes de ma mère l’oye del 1695) – un regesto di fiabe popolari che ebbe grande successo, che aveva iniziato a comporre diversi anni prima, attorno al 1678, per intrattenere i suoi bambini dopo che era rimasto vedovo.
Quasi tutte le “sue” più note fiabe sono in realtà prese da precedenti italiani – mi limito qui a citare che Il gatto con gli stivali fu messo nero su bianco la prima volta da Francesco Straparola, con il titolo di Costantino Fortunato, nella raccolta Le piacevoli notti pubblicata a Venezia nel 1550, da cui attinse Giambattista Basile per la sua versione, intitolata Cagliuso presente ne Lo cunto de li cunti ovvero lo trantteniemento de peccerille del 1634-6; dalla Gatta Cenerentola di Basile Perrault prese evidentemente il nome per la sua protagonista, ecc. – ai quali aggiunse elementi della Francia del suo tempo e una chiusa moralizzante alla fine di ciascun racconto.
Tra di esse, arcinota è la fiaba di Barbablu (Fig. 2).
Barbablù è un eccentrico ricchissimo uomo che ha una certa difficoltà a trovar moglie per via del suo aspetto inquietante, caratterizzato da una insolita barba blu, e del fatto che nessuno sappia bene cos’è accaduto alle precedenti consorti. Un giorno chiede alla sua vicina di poter avere in moglie una delle sue figlie; dopo alcuni incontri la minore delle ragazze decide che la sua barba non è poi così blu e lo sposa. Dopo un certo periodo di tempo Barbablù annuncia un viaggio e lascia la casa nelle mani della moglie, donandole tutte le chiavi possibili, tra cui anche una che però la fanciulla ha il divieto assoluto di usare. Ovviamente lei, appena ne ha l’occasione, infrange il divieto e va a curiosare dove non deve, venendo a scoprire di contro che fine avevano fatto le precedenti mogli di suo marito: trova infatti nella stanza proibita i loro corpi e, dallo spavento, la chiave le cade di mano finendo in una pozza di sangue. Sangue che non va via, nonostante tutti i suoi tentativi di pulirla e che darà la prova a Barbablù, quando tornerà e si farà riconsegnare le chiavi, che lei ha disobbedito aprendo anche la porta che non doveva aprire. Annuncia che deve ucciderla ma le concede il tempo per una preghiera (elemento questo preso da Shakespeare, Otello?), tempo durante il quale lei riesce, come solo nelle favole, a mettere in allerta le sue sorelle e soprattutto i fratelli, dopo la cui provvidenziale comparsa il cattivo è ucciso e la giovane vedova ne diventa l’unica ricchissima erede.
Diversi esegeti hanno tentato di individuare la fonte per la figura di Barbablu o meglio il personaggio reale al quale il favolista può essersi ispirato per tratteggiarne il personaggio, la maschera. Si è pensato a Enrico VIII – alle cui fattezze si ispirò senz’altro Walter Craine – e a Gilles de Rais[13], compagno d’armi di Giovanna D’Arco nonché presunto vampiro, ecc.
È possibile invece che Perrault si sia ispirato a Bernini per Barbablù?
Perrault potrebbe aver percepito Bernini quale misogino, oltre che dispotico e irascibile, fraintendendo una battuta piccante che lo scultore fece in merito alle caricature – genere sconosciuto in Francia prima del suo arrivo – genere di ritratto inapplicabile alle donne poiché “Non bisogna caricare le donne che di notte”[14] – e che abbia avuto così tra le mani abbastanza materiale da poter tratteggiare la figura di Barbablù. Il bel volto di Gian Lorenzo, in particolare lo sguardo d’aquila (Fig. 3) immutato negli anni, avrà fatto il resto: in tal caso Bernini è un altro candidato per la possibile, vera maschera di Barbablù.
Quel che è certo è che alla fine a realizzare il Louvre saranno architetti francesi tra cui, nel 1667, il fratello di Charles, Claude, medico e architetto dilettante autore del cosiddetto “colonnade”, espressione del cosiddetto classicismo francese ma in effetti stilizzazione del più noto e straordinario Colonnato di San Pietro che Bernini aveva già realizzato a Roma.
© Claudia RENZI, Roma, 4 agosto 2024
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