di Marco FIORAMANTI
Roma, Galleria Borghese e Villa Medici
Louise Bourgeois – L’inconscio della memoria
“ÉPATER LE BOURGEOIS”
All’improvviso / il passato riappare. / Sfonda la gabbia
(hai-K.O.)
Una nota alla mostra di Louise Bourgeois alla Galleria Borghese.
Il commento critico sulla grande mostra dedicata all’artista – a firma Giorgia Terrinoni – è uscito su questo sito il 30 giugno ( cfr. https://www.aboutartonline.com/non-e-unimmagine-che-cerco-e-unemozione-che-voglio-ricreare-lemozione-di-volere-di-dare-e-distruggere-louise-bourgeois-perfettamente-rappresentata-alla-gal/ ).
La mia vuole essere una considerazione d’artista.
Louise Bourgeois ha spesso affermato che il suo processo creativo era una forma di esorcismo: un modo per ricostruire ricordi e emozioni al fine di liberarsi dal proprio passato.
Introiettare il mondo dell’arte classica e moderna in quella visionaria, proustiana, della Bourgeois è stata, a mio avviso, un’operazione ‘grammaticale’ fatta di libere associazioni semantiche simili nella forma, dissonanti nel contenuto. Ad esempio con Topiary – ci dice il pannello esplicativo
Bourgeois presenta un lavoro di autotrasformazione, qualcosa di ben distinto rispetto al mito di Dafne inseguita da Apollo. Qui la fanciulla affronta la metamorfosi in modo autonomo, senza inseguimenti o influenze esterne, è simbolo di resilienza e padronanza di sé.
Una rielaborazione di traumi infantili per simboli, metafore, allusioni attraverso l’espressione artistica non necessariamente riesce sempre a caricare d’aura il contesto che circonda l’opera.
Le opere di Louise Bourgeois – in particolare il gruppo così potente delle Cells (foto 4 e 5 particolare) poste all’interno delle sale – non riescono sempre a trovare corrispondenze con i capolavori del museo, ad esaltare quella forza evocativa che è l’elemento magico dominante di tutta la ricerca dell’artista.
La situazione cambia invece quando, uscendo nel grande giardino che apre al padiglione dell’Uccelliera, tra file di limoni e immensi ibiscus d’acqua color lilla, si delinea a distanza la massa filiforme dell’imponente Spider.
Opera del 1996, è l’icona e capolavoro dell’artista, uno dei quali è stato venduto lo scorso anno a New York all’asta da Sotheby’s per 32 milioni e mezzo di dollari.
È qui che l’aspetto metamorfico tanto delineato nel programma trova, suo malgrado, una vera ragion d’essere. Lontano dai marmi, fuori dalle tele, quel ragno/donna è pronto a tessere la tela, come faceva un tempo la madre dell’artista e non può non rimandarci alla trasfigurazione kafkiana di Gregor Samsa, e alla stessa, profonda, angoscia di una nuova osservazione di sé. Che sia dentro o fuori la gabbia, accanto a Bernini o a Canova, quelle immagini in mostra non smetteranno mai di raccontarci in maniera visionaria una infanzia da odissea pronte a “épater le bourgeois”.
Marco FIORAMANTI Roma 11 Agosto 2024