di Lisa SCIORTINO
Monreale custodisce una ricca collezione di inedite acqueforti e incisioni di epoche diverse, dalle tematiche differenti e realizzate da vari autori[1], giunte nella cittadina normanna negli anni Novanta del XX secolo a seguito della donazione di Salvatore Renda Pitti [2], assieme a mobili, suppellettili sacre, paramenti liturgici, porcellane, dipinti, sculture, maioliche, argenteria laica[3], per la maggior parte provenienti dal mercato antiquario[4].
Tra le opere storicamente più interessanti va ricordata l’incisione raffigurante il Rogo di Fra’ Romualdo e Suor Gertrude (Fig. 1) acceso nel Piano di Sant’Erasmo la sera del 6 aprile 1724, realizzata con la tecnica dell’acquaforte e firmata da Francesco Cichè [5].
L’opera documenta il trionfo dell’Atto di Fede e trasferisce al fruitore il clima di atroce esecuzione facendo rivivere il fotogramma del trattamento riservato dall’Inquisizione ai due principali protagonisti, Suor Gertrude e Fra’ Romualdo, nonostante la loro convinta testimonianza, sino al supplizio, di essere veri cristiani in piena comunione con Dio. L’incisione mostra nel dettaglio quello che dovette essere il gran concorso di popolo intervenuto per assistere all’evento per cui erano stati allestiti palchi attorno al recinto chiuso presso il quale stava per consumarsi la tragedia. Le bancarelle degli ambulanti raffigurate in primo piano indicano la spettacolarizzazione della morte. L’incisione è tratta da L’atto pubblico di fede solennemente celebrato nella città di Palermo à 6 aprile 1724 dal Tribunale del S. Uffizio di Sicilia di Antonino Mongitore, redatto in occasione del processo e della condanna al rogo di due eretici. L’Autore sembra volto ad una acuta analisi dei fatti con profonda sensibilità nella definizione degli spazi e dei personaggi fissati dal segno veloce e preciso negli atteggiamenti.
Francesco Cichè [6] fu attivo nel capoluogo siciliano dal 1707 al 1742. Nell’ambito della complessa cultura palermitana settecentesca, le sue opere costituirono una precisa testimonianza della situazione sociale, animata dalla produzione libraria e interpretata nelle incisioni. Legato ai più importanti committenti della città, come il Senato, i gesuiti, l’arcivescovado, lo storico Giovan Battista Caruso e il Mongitore, Cichè partecipò, pur nel ruolo di “minore”, alla formazione del clima culturale che avrebbe portato più tardi i frutti del Settecento riformatore.
Dalle opere devozionali del primo periodo, giunse nel 1709 alla edizione de La Sicilia in prospettiva del gesuita Giovanni Andrea Massa, dedicata al Senato palermitano. Del 1711 sono le incisioni del libretto di Pietro Vitale, segretario del Senato, con apparati festivi, addobbi sulle facciate dei palazzi, anche da disegni di Antonino Grano, Paolo Amato, Mario Cordua, nelle quali traspare chiaramente l’influenza delle incisioni di Filippo Juvarra, oltre al probabile studio di Jacques Callot, Stefano Della Bella e Agostino Scilla, che circolavano nella capitale siciliana aperta a nuovi interessi e scambi europei. Nel 1714 Cichè illustrò il libretto di Pietro Vitale La felicità in trono…, per l’ingresso di Vittorio Amedeo di Savoia e Anna di Orléans, con incisioni anche su disegni di Grano, Amato e Andrea Palma, attraverso le quali appare lo sfarzo teatrale che sostituisce la città reale, creando gli archi trionfali, le macchine per i fuochi d’artificio, una spazialità e realtà “altra” offerta come sfondo al trionfo regale.
Da questo libretto sono probabilmente tratte due delle incisioni esposte al Diocesano di Monreale con Scene di parata alla presenza di alte cariche militari e religiose (Fig. 2 a-b).
Se pochi e mediocri furono i tentativi di Cichè di cimentarsi con la ritrattistica, più intenso fu il lavoro come tipografo tra santini, lunari, opuscoli devozionali, “officii di morte”, indulgenze, bolle per l’arcivescovado. Sua è anche la celebre raffigurazione de Il piano della Cattedrale di Palermo con il palco dell’Inquisizione (Fig. 3), conservata presso il Palazzo Arcivescovile.
Della collezione Renda Pitti il Museo Diocesano custodisce anche l’incisione raffigurante Santa Oliva (Fig. 4), realizzata con la tecnica dell’acquaforte e ascrivibile ad autore siciliano del XVII-XVIII secolo. Presenta il ritratto della Santa raffigurata con la corona e la palma del martirio nella mano sinistra e incorniciata da una ghirlanda di simboliche foglie di ulivo. In alto, un nastro reca l’iscrizione ALLELUJA, ripetuta due volte. In basso, un cartiglio ospita la scritta S. OLIVA. Eletta fra i Patroni principali di Palermo, la Santa fu posta a protezione di uno dei quattro mandamenti della città.
La coeva incisione con Santa Barbara (Fig. 5), pure realizzata con la tecnica dell’acquaforte, ritrae la martire tra fitti raggi assieme ai suoi consueti attributi iconografici, la palma nella mano destra e la torre nella sinistra, con le tre elevazioni che simboleggiano la Trinità. La Santa è posta su una grande aquila coronata e con le ali spiegate, emblema della città di Palermo, che regge tra gli artigli il cartiglio con la sigla S.P.Q.P. (Senatus Populusque Panormitanus). In basso è raffigurato il capoluogo siciliano con il porto e l’incrocio delle due arterie viarie principali del Cassaro e della strada Nuova che intersecandosi originano i quattro mandamenti. L’iscrizione SANTA BARBARA LA SOPRANA E PATRONA DI QUESTA CITA NELLA STRATA DEL ALLAURO DEL ARTE DE STAGNATARA fa riferimento alla sua elezione da parte Senato di Palermo fra i Santi Patroni ordinari, in data 9 novembre 1648, ed alla chiesa di Santa Barbara la Soprana edificata nel 1666, proprio in via Alloro, dalla Confraternita dei maestri stagnatari.
Del XVIII secolo è l’incisione raffigurante Santa Maria delli Rimedi (Fig. 6), realizzata con la tecnica dell’acquaforte dal palermitano Bernardo Bongiovanni [7], figlio del pittore Vincenzo. Al centro tra nubi è la Madonna che tiene in braccio il corpo esanime del Figlio, sormontata dal motto tratto dal Libro Ecclesiaste MEDICINA OMNIVM INFESTINATIONE NEBVLAE ECCLS. C. 43. Con la mano sinistra mostra il cartiglio con l’iscrizione EGO CIVITATE(M) ISTAM ET PALATIVM TVVM PROTEGA(M). La Vergine è affiancata da due Santi Carmelitani. In basso, in primo piano e inginocchiati in atto di devozione, sono re Ruggero I e il Vicerè Duca d’Ossuna; in secondo piano è la città di Palermo con evidenziati gli assi viari del Cassaro e della strada Nuova. Chiaramente visibile, all’esterno della cinta muraria, in alto a sinistra, è un complesso chiesastico da riconoscersi nella chiesa di Santa Maria dei Rimedi con l’annesso convento dei Carmelitani scalzi.
Riferisce in proposito Mongitore che la chiesa fu edificata dal gran conte Ruggero dopo l’entrata vittoriosa a Palermo in ricordo di un’epidemia diffusasi durante l’assedio della città e risoltasi miracolosamente per intercessione della Madonna. La chiesetta, in origine titolata “Rimedio di Santa Maria”, diventò per il popolo “Madonna dei Rimedi”. Nel 1610 fu donata ai Carmelitani Scalzi dal Vicerè di Sicilia Don Giovanni Paceco, marchese di Vigliena, devoto all’ordine. Il Vicerè che gli succedette, il duca d’Ossuna appunto, intimò ai monaci di abbandonare il convento per il quale era prevista la demolizione insieme alla chiesa.
Si narra che la Madonna, invocata dai monaci, apparve in sogno al Vicerè che da quel momento divenne loro grande benefattore. La leggenda dovette verosimilmente ispirare la raffigurazione dell’incisione. Nella sezione inferiore dell’opera si legge:
Antichissima marmorea imagine di S. Maria delli Remedii in onor del di cui patrocinio si fabricò l’anno 1060 dal conte Roggeri nell’accquisto di Palermo per la Santa restituita al suo esercito la prima chiesa oggi de’ RR. Padri Carmelitani Scalsi; qual patrocinio lo sperimentò Palermo nelle sue stazioni in tempo della peste e fù promesso per sempre dalla medesima al duca d’Ossuna vicerè l’anno 1611 determinatasi da questi la rovina della sua chiesa e l’espulsione dei PP. li quali restarono per miracolo della medesima SS. Vergine. Per li suoi congregati, che pagano tt. [tareni] 3 an.[nui] si applicherà la messa solenne d’ogni sabato per tutto l’anno, e più communicandosi per viatico se le celebreranno 3 messe pro infirmis e 30 dopo morte col funerale ogn’anno.
Quella con Santa Maria libera Inferni (Fig. 7) è un’acquaforte firmata Milleri delineavit. Orlando scul. e datata 1754. Presenta, entro la raffigurazione di un altare dall’elaborata struttura architettonica impreziosita da volute, elementi vegetali e conchiliformi e testine di cherubini alate, l’immagine della Madonna col Bambino posta entro la nicchia, ricoperta da drappi e affiancata dalle simboliche colonne tortili. Ai lati dell’altare, posti su due volute, sono San Giovanni Battista e Santa Caterina. In alto, entro un cartiglio si legge VT LIBERENTVR DILECTI TVI PS. 59[8]. In basso è l’iscrizione: Nell’altare di N.S. della Presentatione sotto il titolo di Libera Inferni nella Chiesa Metr.[opolita]na Di questa felice e fedelissima Città di Pal.[er]mo nel quale dalla SS. Di N.S. Papa Gregorio XIII fu concessa per ogni Messa in qualsivoglia ordine e da qualunque Sacerdote o Secolare o Regolare la liberazione di un Anima del S. Purgatorio. Per chi si arrollerà Schiavo di detta Signora se li diranno nella sua morte Messe n.[ume]ro 33 oltre due Messe cantate in ogni mese per tutti li Schiavi defonti. Sulla pedata del gradino che regge il plinto su cui poggia la Madonna si legge: L’Anno 1742 s’aggiunse in suffragio dell’Anime di tutti gli schiavi defonti di una [illeggibile] funerale nel p.[rimo] sabato che incontra dell’Ottava dei De[font]i e l’Officio de Morti.
Anche la Madonna dell’Orto (Fig. 8) fa parte della serie di incisioni della collezione Renda Pitti custodite al Museo Diocesano. Di autore siciliano del XVIII secolo, raffigura la Vergine col Bambino tra nubi e fitti raggi. In basso si legge Miracolosa Imagine della Madonna dell’Orto della Città di Monreale. L’omonima chiesa fu fondata nella prima metà del Seicento a Monreale nella contrada Tavola Rotonda, alle falde del Monte Caputo, nelle vicinanze di un orto ove fu rinvenuta una lastra lapidea dipinta con l’immagine della Vergine[9].
La piccola acquaforte della collezione Renda Pitti raffigurante Gesù Bambino è firmata da Giuseppe Garofalo[10] artista isolano del XVIII secolo. Il Bambino Gesù, raggiato e con l’aureola, regge con la mano sinistra una croce dalla cui base si dipartono i simbolici gigli ed è disteso su di un cesto di vimini colmo fiori. In alto, un cartiglio reca l’iscrizione Iesus natus pro nobis ut diligatur a nobis. Garofalo, sin da piccolo incline all’incisione del rame, secondo Agostino Gallo[11] frequentò negli anni di formazione la bottega del pittore palermitano Vito D’Anna. A questa fase di attività si riconducono le incisioni di santi realizzate in fogli sciolti e privi di datazione. Al 1761 risale l’antiporta raffigurante l’Allegoria della Sicilia, nel primo tomo dell’opera di Arcangiolo Leanti Lo stato presente della Sicilia. L’eco che ne seguì fu all’origine della commissione delle illustrazioni delle Antiche iscrizioni di Palermo (Palermo 1762) dell’archeologo Gabriele Lancillotto Castello, principe di Torremuzza.
Nel 1764 Garofalo iniziò a cimentarsi nel ritratto inciso, realizzando l’Ercole Michele Branciforti, principe di Butera, per l’antiporta di un opuscolo commemorativo redatto da Stefano Amato. Nel 1766 incise l’antiporta con il Crocifisso, tratto da un modello scultoreo barocco, per i Capitoli de’ regolamenti della Compagnia del Crocifisso…, redatti ancora dal principe di Torremuzza. Nello stesso anno si trasferì a Roma per alcuni mesi al fine di perfezionare la tecnica incisoria. Probabilmente durante questo primo soggiorno romano, l’artista entrò in diretto contatto con gli incisori più noti della capitale, tra cui Giorgio Vasi.
Il periodo romano portò Garofalo a un deciso affinamento della tecnica dell’incisione a bulino ma non dell’invenzione compositiva. Da Roma mantenne i rapporti con il principe di Torremuzza che gli commissionò una serie di ritratti di persone illustri siciliane che lo stesso, insieme con Domenico Schiavo e Gioacchino Drago, doveva raccogliere per una pubblicazione rimasta poi incompiuta.
Nel 1767 fece rientro a Palermo dove continuò la serie dei ritratti avviata a Roma. Nello stesso anno, su commissione dei padri cappuccini di Palermo, incise il Miracoloso intervento del beato Bernardo da Corleone in occasione dell’inondazione avvenuta a Palermo la notte del 27 nov. 1666, tratto da un’incisione di fra’ Felice da Sambuca[12]. Nel 1777 la produzione dell’artista fu segnata da una svolta: realizzò la Pianta geometrica di Palermo patrocinata da Francesco Maria Emanuele Gaetani marchese di Villabianca e ricavata dal rilievo effettuato dall’ingegnere Nicolò Anito qualche anno prima. Fu ristampata a spese del Senato palermitano nel 1783, con le aggiunte del giardino pubblico di villa Giulia e dell’orto botanico, e fu di nuovo riprodotta nel 1791[13].
Probabilmente la stampa della pianta di Palermo fece scaturire un rapporto di collaborazione con il marchese di Villabianca che commissionò al Garofalo il proprio ritratto, lo stemma di famiglia e i ritratti degli antenati. Nel 1780 effettuò un secondo soggiorno romano durante il quale realizzò, nel 1785, il Ritratto di Pio VI in medaglia e, nel 1786, l’immagine della Vergine Immacolata, ricavata da un dipinto di padre Fedele da San Biagio, donato a Pio VI. Negli ultimi anni di attività, produsse una nutrita serie di stemmi di famiglie nobili siciliane, immagini di devozione e ritratti di personaggi noti su commissione del marchese di Villabianca che inserì a guisa di illustrazioni nei suoi diari e opuscoli manoscritti.
L’incisione del XVIII secolo raffigurante il Sacro Cuore di Gesù (Fig. 9) è realizzata con la tecnica dell’acquaforte e firmata Gelardo sculp. Raffigura Cristo nell’atto di scostare con le mani, su cui sono evidenti le stimmate, il panneggio della veste per mostrare il Sacro Cuore circondato da spine. In alto, sono tre testine di cherubini alate; in basso, entro un cartiglio a volute rocaille, si legge Haec requies mea, hic habitabo Ps. 132,15 Giacchè aperto, Signor, veggo il tuo Cuore Voglio nel Cuore tuo viver d’amore.
Tutte le opere della collezione Renda Pitti, di seguito cronologicamente ordinate e studiate, sono diverse per origine, produzione, committenza e soggetto[14].
Hieronymus Wierix (o Wiericz o Wierx o Wiricx) fu un disegnatore fiammingo appartenuto alla celebre famiglia di incisori. Figlio di Antonie e fratello di Johan e Anton, di cui si dirà a breve, operò sempre nella sua città natale a partire dal 1573.
Come Johan, cominciò la sua istruzione copiando le opere di Albrecht Dürer. I suoi primi lavori datati risalgono al 1577. In questi anni lavorò per vari editori; contribuì, inoltre, alla realizzazione di 153 incisioni illustranti le Annotationes et meditationes in evangelia, commissionategli dai Gesuiti nel 1593, pubblicate per la prima volta nel 1595 e basate sul testo di Jerònimo Nadal.
Da qui dovrebbero provenire le trentanove opere custodite nel Palazzo Arcivescovile di Monreale. Si tratta di: Presentazione al Tempio, Gesù al Tempio tra i dottori, Assunzione di Maria, Gesù appare sul lago di Tiberiade, Flagellazione, Incoronazione di spine, Condanna a morte di Gesù, Deposizione, Resurrezione, Salita al Calvario, Gesù davanti a Pilato, Crocifissione, Ingresso di Gesù a Gerusalemme (Fig. 10), Angeli ministrant Christo, Gesù in carcere, Gesù da Erode, Cattura di Cristo, Sepoltura della Vergine, Gesù appare alla Maddalena, Gesù viene condotto da Anna, Il discorso di Cristo dopo l’istituzione dell’Eucarestia, Sepoltura di Cristo, Elevazione della Croce, Ciò che avvenne presso Pilato, L’arrivo dei Magi, Gesù arriva a Gerusalemme, Gesù spira in croce, Ciò che avvenne dopo l’Ultima Cena, Ciò che avvenne prima della crocifissione, Gesù viene condotto da Caifa, Morte della Vergine, Ciò che avvenne presso il Concilio degli anziani, Orazione nell’orto, Gesù appare alla Madre, Gesù viene condotto da Pilato, Pilato condanna Gesù, Ciò che avvenne dopo l’incoronazione di spine, Evangelicae historiae imagines. Hieronymus Wierix realizzò anche una serie di dodici incisioni raffiguranti miracoli e interventi divini nella vita di Sant’Ignazio. Il suo stile è talmente simile a quello del fratello Johan che, in caso di opere non firmate, è impossibile attribuirle all’uno o all’altro.
Johan (o Jan o Johannes) Wierix, fratello del citato Hieronymus, oltre che incisore e pittore, fu anche un miniaturista fiammingo. Di Johan si conservano sei incisioni realizzate nel 1593, molto probabilmente parte della stessa serie cui lavorò Hieronymus: Coena legatis, Ultima Cena, Lavanda dei piedi, Giudizio Universale, Ascensione, Pentecoste.
Il terzo fratello Wierix, Anton, lavorò pure alle Annotationes et meditationes in evangelia e Monreale conta ventinove lavori: Gesù guarisce il figlio di Regolo, Gesù nel Getsemani, La parabola della zizzania, Pietro e Giovanni al sepolcro, Gesù accolto male in patria, Cristo discende negli inferi, Donne al sepolcro, Gesù con sette discepoli, L’adultera viene liberata, Gesù appare alle donne, Gesù appare agli apostoli e a s. Tommaso, Gesù e i suoi discepoli, Gesù sfama cinquemila uomini (Fig. 11), Gesù guarisce il cieco, Gesù appare ai discepoli mentre s. Tommaso è assente, Gesù fa scendere lo Spirito Santo sugli apostoli, Gesù appare a due discepoli, Cena presso Simone, Parabola del seminatore, Gesù interrogato dai giudei, Veniunt Gentiles ad Iesum, Guarigione del paralitico, Gesù guarisce la figlia del principe della Sinagoga, Gli angeli appaiono alle donne, Trasfigurazione sul monte Tabor, Gesù insegna ai discepoli l’orazione perfetta, La parabola della samaritana, Ultima apparizione di Cristo sul Monte Sion e Ascensione, Nozze di Cana.
Tra le opere più antiche della collezione Renda Pitti è l’acquaforte istoriata con Episodi della vita del Santo Principe Ferdinando (Fig. 12 a-b), verosimilmente riconducibile al XVII secolo e tratta, nella scena centrale, dalla tavola del trittico custodito presso il monastero della Batalha noto come A Paixão do Infante.
Nessuna notizia giunge circa l’autore. Il personaggio raffigurato invece è il Beato Fernando del Portogallo[15], chiamato anche l’infante santo.
Nacque a Santarém il 29 settembre 1402 dal re del Portogallo Giovanni I. La madre, Filippa di Lancaster, lo educò molto piamente: austero con se stesso, ebbe profondo senso della giustizia e compassione per gli schiavi e i malati. A motivo della sua povertà, fu costretto dai fratelli ad accettare il titolo di gran maestro dell’Ordine monastico-militare di Avis, conferitogli da Eugenio IV nel 1434, ma rifiutò il cardinalato offertogli dallo stesso Papa. Benché ammalato, il 22 agosto 1437 partì, insieme al fratello Enrico il Navigatore, alla testa di un esercito di settemila uomini alla conquista di Tangeri. Sopraffatti, furono presto costretti a togliere l’assedio e ad accettare le condizioni loro imposte. Ferdinando e dodici uomini del suo seguito rimasero come ostaggi. Ridotto alla condizione di schiavo in catene, costretto ai lavori più duri e umilianti, debilitato dalle privazioni, si ammalò e si spense il 5 giugno 1443.
L’acquaforte realizzata a Venezia nel 1660 da Picino, autore non meglio identificato, ritrae l’Arciduca Ferdinando Carlo d’Austria posto entro una cornice ovale (Fig. 13). Figlio dell’Arciduca Leopoldo V d’Austria e Claudia de’ Medici, Ferdinando iniziò a governare prendendo la reggenza da sua madre nel 1646. Per finanziare il suo stile di vita stravagante vendette beni e titoli, sperperando l’esorbitante somma che la Francia aveva pagato agli Asburgo del Tirolo per la cessione dei loro feudi del Reno occidentale. Fu un monarca assolutista, ma una nota positiva della sua personalità fu l’amore che coltivò per la musica.
Il messinese Placido Donia [16], della nota famiglia di argentieri e incisori di origine pisana, fu autore dell’acquaforte raffigurante Conte Ruggero su cavallo impennato che regge lo stendardo con la Madonna delle Vittorie (Fig. 14) inserita come antiporta nel libro di Giovanni Paolo Chiarandà Piazza città di Sicilia, edito nel 1654.
Scrive in proposito Gaetano Bongiovanni
“La Madonna delle Vittorie con o senza la figura del normanno conte Ruggero, affiancata o meno a saraceni sconfitti, come pure nella variante iconografica di Madonna delle Milizie, è presente nella pittura siciliana del Settecento che se da un lato raccoglie e sintetizza tradizioni religiose codificate soprattutto a partire dall’età della Controriforma, dall’altro propone figurazioni enfatiche e ricche di contenuti narrativi”[17].
L’incisore e antiquario londinese George Vertue [18] a soli tredici anni divenne apprendista presso un incisore di origine francese. Nel 1711, fu inserito tra i primi membri dell’Académie de Peinture a Londra e nel 1717 divenne incisore ufficiale della Society of Antiquaries of London. Fu anche membro de Rose and Crown Club. A partire dal 1713, Vertue divenne un appassionato ricercatore di storia dell’arte britannica cui dedicò quaranta volumi di appunti.
Lavorò per molti anni presso la bottega di Michiel van der Gucht realizzando oltre cinquecento incisioni di ritratti. Tra questi va verosimilmente inserita la calcografia che ritrae John Milton (Fig. 15), scrittore, poeta, filosofo, saggista e teologo inglese, considerato uno dei letterati britannici più celebri, apprezzati e influenti dell’epoca successiva a quella shakespeariana. Vi si legge:
IOANNIS MILTONI EFFIGIES OB 1674 AET 66 / THREE POETS IN THREE DISTANT AGES BORN GREECE, ITALY AND ENGLAND, DID ADORN. THE FIRST IN LOFTINEFS OF THOUGHT SURPAFS’O; THE NEXT MAYESTY IN BOTH THE LAFT. THE FORCE OF NATURE COULD NO FURTHER GO; TO MAKE A THIRD SHE JOIND THE FORMER TWO. / G. VERTUE SCULP.
Di Giovan Battista Piranesi [19] si conserva l’acquaforte con la Veduta di Piazza Navona sopra le rovine del Circo Agonale (Fig. 16), parte della produzione delle celeberrime Vedute di Roma, una raccolta di tavole raffiguranti ruderi classici e monumenti della capitale
“che costituiscono – secondo Bongiovanni – verosimilmente la più importante serie di stampe dedicate da un singolo autore al vedutismo”[20].
Incisore e architetto, realizzò opere segnate da un’intonazione drammatica, improntate ad un’idea di dignità e magnificenza tutta romana, espressa attraverso la grandiosità e l’isolamento degli elementi architettonici, in modo da pervenire ad un sublime sentimento di grandezza del passato antico.
L’olandese Jakob Van Schley, disegnatore e incisore, studiò presso la bottega di Bernard Picart da cui copiò lo stile. Si distinse particolarmente per la produzione di ritratti e illustrazioni per La vie de Marianne di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux, edito tra il 1735 e il 1747. Incise anche il frontespizio per un’edizione in quindici volumi delle opere complete di Pierre de Brantôme Oeuvres du Seigneur de Brantôme, pubblicata nel 1740. Anche la maggior parte delle tavole de Histoire générale des Voyages di Antoine François Prévost d’Exiles, edita tra il 1746 e il 1759, sono firmate da Van der Schley. Sono sue le acqueforti in collezione con Abitanti di Capo Verde (Fig. 17), del 1747, e la coeva Tartari (Fig. 18) sulla quale si legge “TARTARES DE NAUN KOTON OU TSITSIKAR tirees D’ISBRAND IDES / J.V. Schley sculp. dir. / TARTARS VAN NAUN-KOTON OF TSITSIKAR. UIT YSBRAND IDES”, forse realizzata per il diplomatico danese Eberhard Isbrand Ides.
Louis Marin Bonnet[21], attivo in Russia e a Parigi, ideò la cosiddetta “maniera al pastello”, uno dei primi procedimenti di incisione a colori. Dalla sua bottega uscirono numerose riproduzioni di opere di Jean-Baptiste Greuze (1725-1805) e François Boucher (1703-1770) da cui trasse, nel 1769, il Ritratto di Mme Pompadour (Fig. 19), dipinto nel 1751.
Firmata Pierre Gabriel Berthault è l’acquaforte con il Teatro di Taormina (Fig. 20), riconducibile alla seconda metà del XVIII secolo.
Pierre Gabriel Berthault [22] fu un pittore accademico che visse molti anni in Italia. A Parigi esercitò probabilmente anche l’attività di editore e di mercante di stampe. Trasse incisioni da disegni di Jean Claude Richard de Saint-Non e realizzò vedute d’Italia, di cui fa parte l’opera in collezione, e le raccolte Voyage à Naples e Voyage pittoresque de la Syrie, de la Palestine et de la basse-Egypte.
Berthault è noto, in particolare, per aver inciso tavole della raccolta Les Tableaux historiques de la Révolution française. Si tratta di un’opera, tra cronaca e storia, con illustrazioni su fatti salienti ma anche su fatti minimi accaduti durante la Rivoluzione francese. Celebrazione dell’eroismo e della fratellanza popolare, i Tableaux divennero un punto di riferimento per il giornalismo di quegli anni. Il linguaggio tradizionale utilizzato, ossia la veduta con molte figure, era chiaramente eseguita e semplificata nelle linee, in modo da risultare immediatamente leggibile. Questa produzione di incisioni popolari si inserì in un nuovo metodo di diffusione delle immagini andando incontro al gradimento del pubblico.
Di Carlo Lasinio è l’incisione di fine Settecento raffigurante un Sacerdote orante. Carlo Lasinio[23] iniziò la propria carriera come pittore presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Presto si interessò maggiormente all’incisione, specialmente dopo il trasferimento a Firenze nel 1778. Affermò la propria reputazione con due serie di acqueforti, nel 1787 e nel 1789. Realizzò la Raccolta di 324 ritratti di artisti eccellenti, tra il 1790 e il 1796, recuperando anche lastre precedentemente incise da altri autori, imprimendole una seconda volta con inchiostri colorati. Nel 1807 si trasferì a Pisa acquisendo la posizione di Conservatore presso il Camposanto. Nel 1812 iniziò la stesura del suo libro dal titolo Pitture a fresco del Camposanto di Pisa.
Queste grandi incisioni vennero composte nello “stile del contorno”, divenuto popolare nella prima parte del XIX secolo, come reazione ai toni più delicati degli incisori puntinisti del XVIII secolo. Tali opere furono particolarmente influenti sull’arte europea dell’Ottocento. Tra le altre opere, sono le quaranta lastre di Affreschi e Dipinti ad Olio di Firenze del 1789, incisioni che rappresentavano i più famosi affreschi rinascimentali del capoluogo toscano, e trentadue lastre di Affreschi del Quattordicesimo e Quindicesimo Secolo, importante testimonianza dei dipinti danneggiati dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Lasinio, inoltre, fondò l’Accademia di Belle Arti di Pisa, città dove morì.
La Pianta della città di Firenze (Fig. 21) fu disegnata da Giuseppe Baldassare Puliti e incisa da Gaetano Vascellini[24].
La carta sciolta della collezione, proveniente dal mercato antiquario, era corredo grafico del libro di Francesco Fontani Viaggio pittorico della Toscana, 1801-1803, edito da Giuseppe Tofani di Firenze. L’incisione, in rame all’acquatinta, appare nel primo tomo inserita tra le pagine 6 e 7 e pertanto da datarsi al 1801.
Tra le realizzazioni più significative dell’editoria siciliana nell’Ottocento spicca Il Duomo di Monreale illustrato e riportato in tavole cromolitografiche, un’opera di alto valore scientifico e documentario, pubblicata tra il 1859 ed il 1870, frutto dell’articolato lavoro condotto dall’abate cassinese Domenico Benedetto Gravina. Il primo volume di testo, oltre alla descrizione della Cattedrale ed alla sua storia, riporta una dettagliata lettura iconografica della scintillante decorazione musiva che riveste la superficie interna dell’edificio. Il secondo volume contiene, oltre alle tavole di rilievo, le riproduzioni a colori dei mosaici, stampate con la tecnica della cromolitografia, allora impiegata solo da pochi anni.
La qualità complessiva dell’opera pone il lavoro di Gravina tra le opere più interessanti della storia del rilievo e della storiografia, non solo in Sicilia. Il Museo, oltre ad aver ricevuto in dono per la sua Biblioteca una copia dei due volumi da Salvatore Renda Pitti[25] con dedica autografa, conserva anche la cromolitografia dell’Interno del Duomo di Monreale (Fig. 22) e l’immagine del Ciborio in marmo del XVI secolo della Cattedrale di Monreale su disegno di Giuseppe Patricolo e incisione di Giuseppe Bianchi[26], due carte sciolte, provenienti dal mercato antiquario, tratte dal volume di Gravina.
John Cousen fu prevalentemente un incisore di paesaggi. La Morte del cervo (Fig. 23) della collezione Renda Pitti è un’acquatinta tratta da un dipinto di Sir Edwin Henry Landseer, pittore e scultore inglese noto per i suoi dipinti di animali, autore, tra l’altro, delle sculture leonine a Trafalgar Square.
Lisa SCIORTINO Bagheria, 8 Settembre 2024
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