di Nica FIORI
“Senza uno stile personale un artista non esiste. Tutti i bravi pittori sono riusciti a creare un proprio stile coerente con le loro idee, immediatamente riconoscibile.”
Questo affermava Fernando Botero e indubbiamente egli ha elaborato un suo stile originale, caratterizzato dall’esaltazione monumentale dei volumi, dalla sensualità di forme tondeggianti e da colori brillanti, che vogliono esprimere la positività e la gioia di vivere. Sempre coraggiosamente fedele alla figura, quando la scena artistica era dominata dall’informale, dalla pop art e dall’arte concettuale, Botero ha dimostrato per tutta la vita il desiderio di narrare con grande energia e ironia la sua sovrabbondante, ma al tempo stesso poetica, realtà. Secondo le parole della critica Mariana Hanstein:
“Botero enfatizza costantemente il fatto che nella sua pittura l’esagerazione scatta da un’inquietudine estetica, e svolge una funzione stilistica. Botero è un pittore figurativo, ma non è un pittore realista. […] Egli usa la trasformazione o la deformazione come simbolo della trasformazione della realtà in arte”.
A un anno esatto dalla sua scomparsa, avvenuta il 15 settembre del 2023, Botero viene ricordato a Roma a Palazzo Bonaparte con la più grande mostra finora mai realizzata in Italia, che ripercorre la sua più che sessantennale carriera. “Fernando Botero. La grande mostra” è prodotta e organizzata da Arthemisia, in partnership con la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, ed è curata da Lina Botero (figlia dell’artista, curatrice anche della mostra di otto monumentali sculture boteriane in alcune piazze di Roma e in via del Corso, fino al 1° ottobre 2024) e da Cristina Carrillo de Albornoz Fisac.
L’esposizione (visitabile fino al 19 gennaio 2025) illustra l’arte di Botero attraverso l’esposizione di oltre 120 opere (pitture, sculture e disegni, provenienti dalle collezioni dei figli e da raccolte private), suddivise in undici sezioni tematiche. Rispetto alle precedenti mostre romane, sono presenti opere inedite o che si ritenevano perdute, come nel caso di Omaggio a Mantegna del 1958.
Lina Botero ha ricordato nel corso della presentazione la grande vitalità del padre, che ha lavorato costantemente fino alla fine dei suoi giorni, e il suo forte rapporto d’amore con l’Italia, dove venne per la prima volta all’età di 20 anni. Nel 1983 l’artista acquistò una casa a Pietrasanta (la città toscana nel cui cimitero è sepolto, accanto alla moglie Sophia Vari, pure lei pittrice e scultrice), e da allora vi trascorreva ogni anno i mesi estivi, collaborando con le fonderie di bronzo e con i laboratori del marmo di Carrara. Proprio a partire dagli anni Ottanta, Botero divenne particolarmente popolare in Italia e le sue opere ebbero per molto tempo un’enorme visibilità, grazie al Maurizio Costanzo show, il salotto televisivo più ambito dell’epoca.
Nato nel 1932 a Medellin, in Colombia (nel distretto di Antioquia), Botero iniziò a disegnare da giovanissimo e nel 1948 partecipò per la prima volta a un’esposizione collettiva chiamata “Pintores antioqueños”. Dopo aver concluso gli studi liceali, a 18 anni si trasferì a Bogotà, dove tenne la sua prima mostra personale e dove entrò in contatto con molti esponenti dell’avanguardia colombiana. Nel 1952 vinse il secondo premio al IX Salone degli artisti colombiani e con il denaro della vincita intraprese un viaggio-soggiorno in Europa, a partire da Madrid, dove aveva intenzione di frequentare l’Academia San Fernando, ma dopo pochi giorni si rese conto che avrebbe imparato di più da solo nei musei che in classe. A partire da quel momento, come racconta la figlia, “divenne l’artista autodidatta che sarebbe stato per tutta la vita”.
Una volta, uscendo dal Museo del Prado, dove trascorreva le sue serate studiando e copiando la tecnica dei grandi capolavori, passò davanti a una libreria dove vide in vetrina un libro aperto sull’immagine dell’Incontro di Salomone con la regina di Saba, uno degli affreschi delle Storie della Vera Croce di Piero della Francesca. Disse di aver provato in quel momento una sorta di rivelazione davanti alla forza, ai colori e alla composizione di questa grande opera d’arte. Pochi giorni dopo decise di recarsi a Firenze, dove si stabilì per ben due anni per lavorare e studiare la pittura del Quattrocento. Giunse in tal modo a razionalizzare la sua innata fascinazione per il volume, già presente nelle primissime opere realizzate in Colombia.
Nel 1955-56, tornato a Bogotà, espose nella Biblioteca Nacional i nuovi lavori realizzati durante il soggiorno italiano, si sposò quindi con Gloria Zea e si trasferì a Città del Messico, dove nacque il primo figlio (suo omonimo), e mise a punto il suo stile plastico. In seguito si spostò a New York, dove nel 1958 nacque la figlia Lina. Nel 1961 il Museum of Modern Art di New York decise di acquistare il suo Monna Lisa all’età di dodici anni, e da quel momento la sua fama crebbe continuamente, anche perché negli anni successivi effettuò diversi spostamenti tra la Colombia, gli Stati Uniti e l’Europa, finché nel 1973 si trasferì a Parigi, dove si dedicò soprattutto alla scultura. Solo nel 1978 ritornò alla pittura e negli anni successivi vennero organizzate in vari musei mostre itineranti e le sue sculture più grandi furono esposte nelle vie di diverse città attirando molta curiosità.
La mostra romana, suddivisa in undici sezioni, ci fa conoscere le tecniche usate e i temi a lui più cari: l’America Latina in cui affondano le sue radici, la religione, il circo, la corrida, la mitologia, le nature morte, anch’esse in versione extra-large. L’esposizione evidenzia, in particolare, l’amore di Botero per i classici della storia dell’arte, in primo luogo quella rinascimentale (Piero della Francesca, Paolo Uccello, Masaccio, Leonardo, Raffaello). Egli era convinto che
“la ricchezza di un artista consiste nel connubio delle influenze che ne hanno segnato la vita e il lavoro”
ed è evidentemente per questo che realizzò una serie di dipinti, che non sono copie, ma rivisitazioni secondo il suo stile, di celebri dipinti dei grandi maestri del passato.
Sono proprio queste opere che accolgono i visitatori nella prima sezione, intitolata “Versioni”.
Tra i dipinti esposti troviamo il Dittico di Piero della Francesca (il duca di Urbino Federico da Montefeltro e la moglie Battista Sforza), la Fornarina di Raffaello, i Ritratti borghesi di Rubens e il Ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eyck fino ad arrivare alle ultime opere che Botero realizzò nel 2023 come il grande acquerello dell’Odalisca, che s’ispira a Matisse.
Grande risalto viene dato a Omaggio a Mantegna (1958, olio su tela cm 200 x 170), una grande opera proveniente da una collezione privata degli Stati Uniti che, dopo decenni, è stata recentemente scoperta da Lina Botero tramite Christie’s.
Affascinato da quel capolavoro del Rinascimento, che è la “Camera degli sposi” affrescata da Mantegna nel Palazzo ducale di Mantova, Botero decise di rendere omaggio al maestro italiano dopo il suo viaggio in Italia e scelse l’affresco della parete nord, la scena in cui Ludovico Gonzaga è raffigurato seduto mentre riceve una lettera dal suo segretario, Marsilio Andreasi. Sulla destra sono raffigurati i parenti e perfino la nana di corte. Botero trasformò la scena in un’opera tutta sua, esaltando la monumentalità e il colore del soggetto, e con questo quadro vinse il primo premio al Salone Nazionale di Pittura della Colombia nel 1958.
Un’altra opera inedita e mai esposta al pubblico – perché da sempre appesa nello studio parigino di Botero – è una versione dell’infanta da Las Meninas di Velázquez, pittore che Botero copiò da giovane studente durante il suo apprendistato al Prado. Nel corso della sua vita Botero realizzerà numerose versioni dell’opera, in particolare quella dell’Infanta Margarita d’Austria. Mantenendo la stessa aura di grandezza e maestosità dell’originale, La Menina. Dopo Velázquez (olio su tela, cm 198 x 160) è anch’essa un’opera nuova, autenticamente boteriana.
Nonostante il suo amore per l’arte classica dei grandi maestri europei e le sue lunghe permanenze a New York e in Europa, Botero si sentiva profondamente colombiano, come emerge da queste sue parole ricordate nella mostra:
“Il fatto è che l’arte e l’artista devono assicurarsi che le proprie radici continuino ad affondare nella propria terra e nella propria vita: e la mia vita è sempre stata in Colombia, la mia terra è sempre stata la Colombia. Lì la natura esuberante, l’amore, la musica, la politica, le classi del potere danno forma alla storia del paese. Nel dipingere cerco tutto questo tra i miei ricordi e lo reinvento nel mio studio, donandogli nuova vita, nuovi colori, forme esagerate. Tutto ciò che plasmo nei miei dipinti riflette un mondo conosciuto durante la mia gioventù. È una specie di nostalgia, di ossessione, che è diventato il tema centrale del mio lavoro”.
Per sua stessa ammissione, fu a Città del Messico che Botero, confrontandosi con i grandi muralisti messicani Diego Rivera e José Clemente Orozco, capì che “l’arte, per essere universale, deve prima essere locale”. Le opere che rappresentano i ricordi della sua infanzia e adolescenza, legati al mondo provinciale di Medellin negli anni Trenta e Quaranta, sono tra le più affascinanti e vanno dalle figure dei politici ai sacerdoti, da prostitute del quartiere di Lovaina alle signore dell’alta società.
Certamente conosciute, ma comunque affascinanti, sono le sue iconiche serie dedicate ad alcune sue passioni, come il circo, il ballo e soprattutto la corrida, un tema particolarmente interessante perché interpretato attraverso il filtro della tradizione ispanica molto sentita nell’arte, da Goya a Picasso.
12 Fernando Botero, Gente del circo, 2007; 13 Fernando Botero, La cornata.
Botero cominciò a realizzare raffigurazioni ad acquerello dei tori a quindici anni, copiando i manifesti delle corride, che vedeva in Plaza de Toros de la Macarena, dove suo zio l’aveva iscritto alla scuola di banderilla. Ben presto si rese conto che la professione di torero non faceva per lui ma in quell’universo colmo di colore, movimento ed emozioni scoprì la sua vocazione come pittore. La corrida è ritornata prepotentemente nella sua arte (in dipinti a olio, disegni, acquerelli, carboncini, pastelli, sanguigne e un’infinità di bozzetti) agli inizi degli anni ‘80, in uno dei periodi più prolifici della sua carriera di artista, e il tema è stato al centro di importanti esposizioni nel corso di tutta la sua carriera.
L’attrazione per i tori, oltre che nelle tauromachie, è evidente anche nella scelta di raffigurare più volte il mito di Europa, la mitica principessa di Tiro, amata da Zeus, che la trasportò sotto forma di un toro bianco a Creta. Dall’unione con Zeus nacquero Minosse e altri figli che furono adottati dal re di Creta Asterio, quando lui sposò Europa, e da lei derivò il nome del nostro continente.
Benché per il maestro l’arte dovesse produrre piacere visivo e felicità, egli si allontanò talvolta da questa sua aspirazione per affrontare alcuni temi dolorosi (ricordiamo la serie della Via Crucis, che venne in mostra a Roma nel Palazzo delle Esposizioni nel 2016) o di denuncia di terribili violenze, come nelle due serie dedicate alla violenza in Colombia e alle torture perpetrate ad Abu Ghraib, in Iraq.
“L’arte non ha il potere di produrre cambiamenti sociali o politici. Ha però il potere di perpetuare nel tempo la memoria di un episodio. Il mondo ricorda il bombardamento di Guernica durante la Guerra Civile spagnola perché Picasso lo ha dipinto. Lo stesso è accaduto con Goya e le esecuzioni del 2 maggio”,
si legge in un focus dedicato alla violenza, dove ci colpisce, tra gli altri, il dipinto Madre e figlio del 2004, per la raffigurazione di una madre dolente, così diversa dalle donne a volte sensuali e altre volte romantiche, particolarmente presenti nei suoi dipinti e sculture.
Il fatto che Botero abbia rappresentato più spesso le donne, rispetto agli uomini, può essere interpretato come un omaggio alla figura femminile e al suo ruolo nella cultura e nella società. Le sue donne, anche quando sono raffigurate in contesti domestici, trasmettono una forza interiore e sfidano con la loro imponente presenza gli stereotipi di una femminilità debole e passiva.
Come nelle altre mostre di Palazzo Bonaparte, anche questa volta viene proposta ai visitatori l’immersione nella “sala degli specchi”, le cui illusioni ottiche permettono di far vivere un’esperienza unica, capace di moltiplicare la visione senza tempo delle opere di Botero, amplificandone ulteriormente la sensualità e vitalità.
La mostra, certamente consigliabile per la quantità e varietà delle opere esposte (in ben due piani), ha il pregio di farci conoscere il pensiero di Botero con numerosissime citazioni, e perfino con la sua voce in alcuni filmati. Ricordiamo, in particolare, queste sue parole:
“La mia ambizione era di essere un pittore, e soltanto un pittore. Ho cominciato a dipingere a quattordici anni e da allora non c’è stato nulla che sia riuscito a farmi smettere. Vivo con una costante fame d’arte. […] Non ho mai trovato altro nella vita che mi causi altrettanto piacere.”
Nica FIORI Roma 22 Settembre 2024
“Fernando Botero. La grande mostra”
Palazzo Bonaparte, Piazza Venezia, 5 (angolo Via del Corso), Roma
Dal 17 settembre 2024 al 19 gennaio 2025
Orario: dal lunedì al giovedì 9.00 – 19.30; venerdì, sabato e domenica 9.00 – 21.00
Biglietto: € 16 (ridotto € 15)
L’accesso alla mostra è contingentato e la prenotazione, tramite il preacquisto del biglietto, è fortemente consigliata.
Info: 06 87 15 111; www.mostrepalazzobonaparte.it