di Nica FIORI
“Che nobile cuore ha avuto la gloriosa Penelope, / la figlia di Icario! Come è rimasta fedele a Odisseo, / il suo legittimo sposo! Perciò la fama della sua virtù / non si spegnerà mai, gli immortali insegneranno / agli uomini un dolce canto per la saggia Penelope”.
Già Omero sembra preannunciare in questi versi dell’Odissea (XXIV, 194-198) l’immortalità del personaggio che il suo poema presenta come fedele sposa di Ulisse, regina di Itaca e madre di Telemaco. Figlia dello spartano Icario, che l’aveva fatta gettare in mare poco dopo la nascita, in seguito al vaticinio che lei da adulta avrebbe tessuto il suo sudario, la neonata era stata salvata da uno stormo di anatre che l’avevano tenuta a galla e depositata sulla riva. Dopo il prodigioso evento, i genitori l’avevano ripresa e le avevano cambiato il nome iniziale di Arnea in quello di Penelope, che vuol dire anatra.
La mostra “Penelope”, promossa dal Parco Archeologico del Colosseo e curata da Alessandra Sarchi e Claudio Franzoni, con l’organizzazione di Electa, si propone di ripercorrere la fortuna artistica di questa mitica figura attraverso dipinti, sculture, rilievi, incunaboli e libri a stampa.
Alfonsina Russo, direttrice del PArCo, ha ricordato che Penelope
“ha attraversato i millenni, dall’arte classica a quella rinascimentale sino a essere ancora ispiratrice di poesie e di romanzi nella letteratura contemporanea. (…) Penelope protagonista del proprio destino, non semplice figura ancillare rispetto a uno degli eroi identitari dell’èpos omerico, Ulisse, ma posta in una condizione quasi di supremazia o, comunque, di assoluto controllo dell’universo maschile che la circonda: un’eccezione rispetto alla condizione femminile nell’antichità e per le donne di ieri e di oggi un archetipo cui riferirsi”.
La curatrice Alessandra Sarchi ha a sua volta evidenziato che Penelope è molto lontana da “quella borghesuccia che aspira solo alla tranquillità domestica”, secondo il pensiero di Gabriele D’Annunzio, ed è semmai una figura poliedrica, di estrema complessità psicologica, e addirittura “sfidante”. Proprio per questa sua eccezionalità, è stata scelta per inaugurare il primo atto di una trilogia espositiva dedicata alle figure femminili “più moderne” dell’antichità, che proseguirà con Antigone e Saffo.
Il percorso espositivo si sviluppa tra il Tempio di Romolo (nel Foro Romano), nel cui interno circolare sono collocati i pezzi più antichi, e le Uccelliere Farnesiane sul Palatino, con opere che vanno dal tardo Rinascimento all’età moderna. In entrambe le sedi sono esposte delle opere dell’artista Maria Lai (1919-2013), che per il suo lavoro incentrato sui fili è avvicinabile al topos della “tela di Penelope”, evocata in mostra dalla presenza di un telaio della calcoteca di Monaco.
La sposa di Ulisse, secondo quanto narrato nell’Odissea, era riuscita a tener testa per più di tre anni ai Proci, gli avidi pretendenti alla sua mano che durante la lunga assenza del marito si erano insediati nella sua reggia, con la scusa che doveva finire di tessere il sudario per il suocero Laerte, ma astutamente disfaceva di notte ciò che aveva tessuto di giorno, finché l’inganno non venne svelato da una serva. A quel punto Penelope ricorse a un nuovo stratagemma: dichiarò che avrebbe sposato il vincitore di una gara di tiro con l’arco di Ulisse, ben sapendo che nessuno dei pretendenti avrebbe potuto tendere quell’arma. Intanto il marito era giunto segretamente a Itaca e, alla fine della gara, imbracciò a sua volta l’arco e sterminò tutti i Proci.
“Il telaio e la tela” è il primo tema affrontato nella mostra, ma non dobbiamo dimenticare che Penelope non è una semplice tessitrice, ma è anche una “filatrice di inganni”, in quanto usa la capacità di pensiero e l’astuzia, proprio come avrebbe fatto il marito. L’iconografia più antica (a partire dal V secolo a.C., quindi posteriore rispetto al poema omerico che si data all’VIII a.C.) la raffigura dolente con un cesto accanto, che richiama il lavoro della tessitura, oppure con il telaio alle spalle, come nello skyphos attico (ceramica a figure rosse 440 a.C.) del Museo Nazionale Etrusco di Chiusi, e lo stesso atteggiamento è ripreso in dipinti e incisioni di epoca moderna, esposti nelle Uccelliere.
La tessitura, che viene fatta risalire al neolitico, segnò un salto di civiltà per l’uso di utensili e strumenti raffinati come telai, fusi e conocchie; trattandosi di un’attività da svolgere in un ambiente domestico, divenne prerogativa delle donne, anche se la sua invenzione viene attribuita da Pausania al re Arkàs. Nel mondo greco la tessitura, come altre attività artigianali, è posta sotto la tutela di Atena, protettrice di Penelope. Un pannello didattico fa notare l’associazione fra tessitura e canto, fra tessitura e ripetizione mnemonica di versi, che ci porta all’origine stessa dei poemi e rivela come il connubio fra il rapsodo, letteralmente “cucitore di canti”, e quest’arte tipicamente femminile sia ben più che una metafora.
Gli altri temi che vengono proposti nella mostra sono “Il gesto e la postura”, “Il mondo del sogno e del talamo” e “Il velo e il pudore”.
Generalmente solenne e malinconica, Penelope ha una postura caratterizzata dalle gambe accavallate e il volto appoggiato a una mano, come nella lastra “Campana” (Penelope dolente tra le serve, I secolo d.C., terracotta, Museo Nazionale Romano), esposta accanto a un altro rilievo coevo in terracotta raffigurante Il riconoscimento di Ulisse da parte di Euriclea.
Penelope dolente è raffigurata in un altorilievo frammentario in marmo di età imperiale (proveniente dalla Villa di San Sebastiano sulla via Appia e prestato dai Musei Vaticani), che si rifà a un prototipo del V secolo a.C. Per avere un’idea del tipo statuario antico è esposto un gesso del 2005-2006, proveniente da Monaco di Baviera.
Una testa in marmo pario, purtroppo molto rovinata, raffigura Penelope con il velo (copia del I secolo da un originale del V a.C., dal Tevere, Museo Nazionale Romano). L’aidós, che in greco significa pudore, modestia, vergogna, dal punto di vista iconografico si manifesta proprio nel velo, come è evidenziato anche nell’acquaforte settecentesca incisa da Tommaso Piroli dai disegni di John Flaxman. Il velo è un attributo che le donne usano per schermare la propria bellezza, e quindi difendersi dalle avances degli uomini, e allo stesso tempo è un modo per nascondere i propri pensieri.
Certamente più felice appare la figura di Penelope nel sonno, come sembra suggerire la frase “Il mio cuore gioiva, perché non credevo che fosse un sogno, ma già realtà” (Odissea XX, 89-90), che introduce la sezione dedicata al mondo del sogno, in mostra abbinato al talamo. Il sogno accompagna spesso la presenza di Penelope nel poema e le consente di entrare in contatto con le parti più profonde e autentiche del proprio sé, con il desiderio di riabbracciare il marito e di liberarsi dall’assedio dei Proci. A lei si deve la nota distinzione dei sogni in due tipi, quelli fallaci che escono dalla porta di candido avorio e quelli veritieri che escono dai battenti di lucido corno (Odissea XIX, 562-67).
Era questa una credenza abbastanza diffusa in Grecia, che avrà poi una lunghissima fortuna fino all’analisi da parte di Freud. Per gli antichi il sogno era anche una manifestazione del divino, e per questo il sonno di Penelope è sempre accompagnato da Atena che una volta le fa apparire la sorella Iftime, oppure la conforta, o addirittura la rende più bella. Tra le opere in mostra ci sono un’illustrazione di W. Russell Flint, intitolata “Atena induce Penelope al sonno”, in un volume a stampa dell’Odissea del 1930 e una fototipia colorata a mano del 1897 con “Penelope abbellita da Minerva” da originale del 1826 della Mitologia illustrata di Bartolomeo Pinelli, entrambe provenienti dalla Collezione Nunzio Giustozzi a Monte Urano.
Sul celebre talamo, costruito da Ulisse su un tronco d’ulivo e pertanto inamovibile, si svolge una delle scene più note dell’intero poema, una volta che Odisseo è rientrato a Itaca, come è raffigurato in una delle incisioni seicentesche di Theodoor van Thulden, derivate dagli affreschi perduti del Primaticcio nella Galleria d’Ulisse a Fontainebleau. E su quel talamo i due ritroveranno l’amore solo dopo il riconoscimento finale da parte della donna: “Quando quei due si saziarono con l’amore desiderato, godettero ai loro racconti…” (Odissea XXIII, 300-301).
In diverse rappresentazioni appare la figura del marito sotto l’aspetto di mendicante con cui si presenta alla reggia, cosa che provoca la resistenza di Penelope nel riconoscerlo, dopo vent’anni di assenza, mentre il cane Argo e la nutrice Euriclea lo avevano riconosciuto, come mostrato in un affresco da Pompei della metà del I secolo a.C. raffigurante Euriclea lava i piedi di Ulisse travestito da mendicante.
La cristallizzazione del personaggio di Penelope come donna fedele allo sposo lontano, tramandato dal poema omerico, ha messo in ombra altre versioni del mito (riferite da Pausania, Apollodoro e altri) che la descrivono in maniera diversa, ovvero come traditrice (non diversamente dalla cugina Elena, che aveva tradito il marito Menelao, scatenando così la guerra di Troia, o l’altra cugina Clitennestra, che aveva fatto uccidere il marito Agamennone dal suo amante), tanto che Ulisse, al suo ritorno, l’avrebbe ripudiata, ma questo la mostra non lo accenna minimamente, come non ci racconta che Penelope avrebbe sposato, alla morte del marito, Telegono, il figlio che Ulisse aveva avuto da Circe e che inconsapevolmente aveva ucciso lo stesso Ulisse.
Si fa riferimento, invece, al personaggio di Penelope nelle Heroides di Ovidio, in particolare all’accorata lettera che avrebbe scritto al marito, anche se all’epoca le donne non usavano certo carta e inchiostro. Gli illustratori rinascimentali delle Heroides hanno addirittura inserito un “postino”, ovvero un servitore incaricato di consegnare la lettera, magari sotto le mura di Troia (ovviamente dopo aver viaggiato per mare da Itaca fino alla costa anatolica).
“Penelope tra Ulisse e il padre Icario” è un disegno di Louis Gauffier della seconda metà del XVIII secolo (dagli Uffizi di Firenze), che ricorda un mito relativo al matrimonio di Penelope con Ulisse, quando il padre Icario aveva organizzato una gara di corsa, il cui premio doveva essere proprio la fanciulla, Il mito racconta anche che subito dopo Penelope, in seguito a un contrasto tra Icario e Ulisse, sceglie il marito. Non c’è da meravigliarsi, visto che il padre aveva cercato di sopprimerla appena nata.
La mostra tratta indubbiamente un tema molto affascinante, ma non sempre è di facile lettura e si rischia di perdere il filo del racconto per via della dislocazione di opere con lo stesso tema in due sedi distanti tra loro. Alcuni aspetti della protagonista non vengono evidenziati, come pure gli intrecci con altri personaggi che ci saremmo aspettati di trovare (probabilmente per avere una visione più completa bisognerebbe leggere il catalogo, edito da Electa). Mentre l’allestimento nel Tempio di Romolo è abbastanza gradevole, nelle Uccelliere appare cupo, un po’ per la scarsa illuminazione, un po’ perché prevalgono nettamente le stampe e i disegni – per quanto notevoli – rispetto ai dipinti.
A parte una tela di Leandro Bassano e un piccolo quadro di Angelika Kauffmann (Penelope piange sull’arco di Ulisse, olio su rame, 1779 circa, Wolverhampton Art Gallery), non sono presenti dipinti memorabili di famosi artisti che hanno raffigurato Penelope a partire dal Rinascimento in poi. Pensiamo in particolare al suo successo iconografico, insieme a quello di altri personaggi omerici come Calipso, Nausicaa, Circe e le Sirene, nell’Ottocento e nel primo Novecento, quando si diffonde, soprattutto nel mondo anglosassone, il mito di un’ideale Grecia perduta.
Va meglio agli amanti dell’arte contemporanea, che avranno modo di apprezzare una sorta di scultura-telaio dal titolo “Oggetto paesaggio” e i “libri di stoffa” di Maria Lai. Come dichiarò l’artista sarda a proposito della sua arte, fu la scrittura a suggerirle “un rapporto tra l’inchiostro e il filo e la possibilità di dare corpo a un fatto astratto”. È così che sono nati i libri cuciti di questa moderna Penelope.
Certo restano altre Penelopi da indagare, soprattutto in questo momento di grande attenzione al mondo artistico femminile. Giustamente Alfonsina Russo ha ricordato la mostra appena conclusa alla Galleria Borghese dedicata alla scultrice Louise Bourgeois (cfr https://www.aboutartonline.com/non-e-unimmagine-che-cerco-e-unemozione-che-voglio-ricreare-lemozione-di-volere-di-dare-e-distruggere-louise-bourgeois-perfettamente-rappresentata-alla-gal/ ), che pure si è cimentata in particolari tessiture ed è nota per i suoi giganteschi ragni.
E proprio dalla mostra della Borghese il PArCo ha raccolto il testimone per portare avanti il programma di incontri “Esistere come donna”, che si terranno nella Curia Iulia con ingresso gratuito (prenotazione obbligatoria su eventbrite.it).
Nica FIORI Roma 29 Settembre 2024
“PENELOPE”, Tempio di Romolo e Uccelliere Farnesiane
Dal 19 settembre 2024 al 21 gennaio 2025
Orari: 9-19.15. Dal 1° ottobre 9-18.30. Dal 27 ottobre 9-16.30. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Chiuso 25 dicembre e 1° gennaio
Info: +39 06 21115843 http://www.colosseo.it