di Claudio LISTANTI
L’edizione 2024 del Festival Verdi di Parma è partita con una apprezzabile edizione del Macbeth di Giuseppe Verdi rappresentato nell’edizione francese. La recita di apertura del 26 settembre si è conclusa con un buon successo di pubblico convenuto presso il Teatro Regio al limite della capienza.
Il Macbeth di Giuseppe Verdi è oggi una delle opere più rappresentate del nostro grande musicista e l’occasione di assistere ad una esecuzione dell’edizione francese di questo capolavoro si è rivelata ghiotta non solo per tutti gli appassionati d’opera ma anche per gli addetti ai lavori.
La composizione di Macbeth nell’ambito della produzione verdiana è piuttosto significativa per l’arte teatrale del musicista. Ispirata all’omonima tragedia di William Shakespeare, autore del quale Verdi era profondo conoscitore fin dalla giovinezza, ne stimolò la vena creativa a metà degli anni ’40 dell’800 grazie ad un libretto predisposto da Francesco Maria Piave, musicato per essere rappresentato al Teatro della Pergola di Firenze dove andò in scena il 14 marzo 1847, ottenendo un deciso successo di pubblico e di critica. È la decima opera del catalogo verdiano e può essere considerata la prima di quelle che guardano al futuro, a quel modo di concepire l’opera come una entità compatta dove musica, canto e movimenti scenici si fondono per offrire all’ascoltatore/spettatore una rappresentazione intensa e coinvolgente. Quello che contiene Macbeth, già nel 1847, precorre il Verdi della maturità che vedrà opere di grande respiro scenico drammaturgico come Don Carlos, Aida, Otello e Falstaff.
Tutto ciò non sfuggì certamente al pubblico fiorentino della prima assoluta che ne decretò il successo evidenziando così la validità di questa nuova idea di opera che superava gli stilemi del primo Verdi per proporre una nuova teatralità in musica. Macbeth rimase in repertorio anche dopo la cosiddetta Trilogia Popolare e dopo l’esperienza de Les vêpres siciliennes e di Un ballo in maschera.
Verdi, inoltre, era anche molto stimato sulla particolare piazza operistica di Parigi, presso la quale rappresentò alcune sue opere adattandole per le necessità formali di quel palcoscenico rispettando le regole del Grand Opéra. Per Parigi trasformò I Lombardi alla Prima Crociata che attraverso una completa revisione dell’azione, nel 1847, divenne Jérusalem e, nel 1857, Il trovatore che, con una operazione di modifica più semplice divenne Le trouvère mentre nel 1855 compose una nuova opera prodotta esclusivamente per l’Operà, la già citata Les vêpres siciliennes.
Per quanto riguarda Macbeth, Verdi, fedele anche al suo innato senso del perfezionismo, desiderava procedere ad un ammodernamento di un’opera il cui soggetto era senza dubbio nel suo cuore. Approfittò della richiesta del teatro parigino per mettere in atto queste sue volontà. Nel 1864 Léon Carvalho, direttore del Théâtre-Lyrique Impérial e Léon Escudier, editore francese di Verdi, proposero al musicista di rappresentare Macbeth con una traduzione francese aggiungendo il tradizionale ‘ballo’ e la modifica del finale. Verdi approfittò dell’occasione ma volle procedere ad una revisione più approfondita che soddisfacesse quel desiderio di modernizzazione della partitura.
Dalla prima assoluta del 1847 al 1865, anno in cui andò in scena il nuovo Macbeth, sono trascorsi circa 18 anni, un lasso di tempo piuttosto importante durante il quale l’arte compositiva del musicista si era senza dubbio evoluta. I cambiamenti che in primo tempo era pensati ‘minimi’ furono ampliati assumendo i connotati di un vero e proprio rifacimento.
Oltre alla necessaria introduzione del balletto, fu ritoccato il duetto del primo atto, nel secondo atto l’aria di Lady Macbeth ‘Trionfai! securi alfine’ fu sostituita da ‘La luce langue, il faro spegnesi’ forse più affine al contesto drammatico del momento. Nel terzo atto il balletto diventa parte integrante della scena delle streghe mentre nel finale l’originale aria di Macbeth ‘Vada in fiamme,e in polve cada’ è sostituita dall’efficace duetto Macbeth-Lady ‘Ora di morte e di vendetta’. Nel quarto atto il coro ‘Patria oppressa’ assume una veste più risorgimentale rispetto all’originale scritta sullo stile del coro del Nabucco, poi dopo il rafforzamento del momento della battaglia e la morte di Macbeth è sostituita da un coro di vittoria che sublima la sconfitta del tiranno.
Comunque, durante il corso dell’opera, diversi sono gli interventi sulla strumentazione e sull’armonizzazione. Tali modifiche comportarono anche una revisione del libretto originale affidata allo stesso Francesco Maria Piave. Una volta ultimato, per il testo fu approntata una versione ritmica in francese affidata a Charles-Louis Étienne Nuitter ed Alexandre Beaumont.
Il Macbeth, nella nuova veste approntata da Verdi rappresentata al Théâtre-Lyrique Impérial il 21 aprile 1865, ebbe come primo effetto quello di far cadere nel dimenticatoio la versione 1847 (come accadde per altri rifacimenti) che solo a partire dagli ultimi anni del ‘900 è stata alcune volte riproposta. Ma, allo stesso tempo, la versione 1865 non ebbe grande successo e, seppur rappresentata nella versione italiana, uscì dal repertorio anch’essa per essere poi riproposta a ‘900 inoltrato grazie a quella famosa ‘Verdi-Renaissance’ che a partire dagli anni ’30 del secolo scorso ebbe come protagonisti lo scrittore Franz Werfel e il direttore d’orchestra Fritz Busch la cui attività consentì di arrivare al progressivo e pieno recupero della produzione verdiana, oggi diffusa in tutto il mondo.
Da lodare l’iniziativa del Festival Verdi di Parma per la riproposta dell’edizione francese di Macbeth che ci ha consentito di approfondire le vicende storiche-musicologiche del capolavoro, una iniziativa che contribuisce ad arricchire le conoscenze dell’arte verdiana e del rapporto parole-musica-azione, tre elementi che nell’evoluzione del musicista acquisiscono sempre di più gli straordinari caratteri simbiotici.
L’edizione 1865 di Macbeth è quella usualmente adottata nel mondo mentre la versione francese, come indicato da Candida Mantica nelle note all’edizione utilizzata per questa recita parmense:
“Non fu sostanzialmente mai più ripresa in favore della sua più rappresentata traduzione italiana, andata in scena per la prima volta alla Scala…”.
Questa rappresentazione del Teatro Regio di Parma è stata utile per due aspetti dell’opera.
In primis l’esecuzione in lingua francese. Nella più gran parte delle produzioni che Verdi approntò per Parigi il musicista partiva da un testo francese, non solo nel caso de Les vêpres siciliennes e Don Carlos opere nate proprio per essere rappresentate a Parigi ma, anche, nel caso di Jérusalem che seppur essendo un rifacimento de I Lombardi ebbe numerose parti nuove e, quindi, un nuovo testo in francese. Per Macbeth il caso è inverso. Tutta l’opera, nelle due stesure, è stata scritta per il testo italiano con una musica completamente aderente ad esso.
Nello scrivere il testo francese Nuitter e Beaumont hanno dovuto adattare i versi alla musica già scritta creando, inevitabilmente, uno scompenso tra i contenuti del testo originale e la traduzione, elemento comune a tutte le versioni ritmiche, anche quelle più vicine ai nostri tempi. Si verifica così una interruzione nel rapporto testo/musica che va inevitabilmente ad influire sull’efficacia drammatica di vari momenti dell’opera. Un esempio su tutti: nel finale, quando Macbeth apprende della morte della Lady dice: “La vita! … Che importa?… È il racconto d’un povero idiota! Vento e suon che nulla dinota!”. Nella versione francese Macbeth dice: “Qu’est donc cette vie? Un vain bruit qu’un léger souffle emporte. Triste rêve! Il cesse… qu’importe!…” (Cos’è allora questa vita? Un vano rumore portato da un soffio leggero. Sogno triste! È finito… che importa!…). Questo momento dell’opera rispecchia fedelmente l’originale di Shakespeare autore del quale Verdi, come si è detto, era fervente studioso e grande ammiratore: “it is a tale told by un idiot. Full of sound and fury. Signifying nothing”. (È un racconto narrato da un idiota, pieno di strèpito e di furore, e senza alcun significato.Traduzione di Gabriele Baldini).
Di questi scompensi se ne notano molti dimostrando compiutamente la distanza dal completo intento verdiano per la sua realizzazione.
Altro punto di interesse dello spettacolo è stato l’inserimento dei balletti. Com’è noto, nella quasi totalità delle odierne esecuzioni dal vivo di Macbeth (ricordiamo che si basano tutte sulla versione 1865, quindi comprensiva dei balletti!) tali parti vengono irrimediabilmente tagliate da registi poco accorti che considerano le danze interruzione dell’azione pensiero, purtroppo, con l’avallo, dietro la scusa di scarso valore musicale, dei direttori d’orchestra che sono i responsabili musicali delle esecuzioni, procedendo così ad una operazione che somiglia in tutto e per tutto ad una amputazione di una parte vitale.
Verdi nella sua attività teatrale ha sempre dimostrato grande abilità nel comporre musiche destinate alla Danza. Basti pensare ad Aida con i suoi tre interventi coreutici di grande peso specifico, ma anche nelle sue due opere prodotte per Grand Opéra come Les vêpres e Don Carlos o come La traviata, dove si affacciano con efficacia all’interno della festa del secondo atto. Tali valori si possono riscontrare anche nei rifacimenti ‘parigini’ famosi per i corposi ed eleganti divertissements di Jérusalem e de Le trouvère, senza dimenticare gli echi orientaleggianti dello straordinario intervento coreutico dell’edizione parigina di Otello. Tutti interventi destinati alla Danza che Verdi, da grande drammaturgo e uomo di teatro, ha sempre introdotto rispettando l’evoluzione dell’azione e della trama.
Non potevano fare eccezione i balletti da Macbeth convintamente voluti da Verdi ed inseriti per aumentare notevolmente il peso specifico della scena nella quale sono stati introdotti. Le convenzioni pagine dell’epoca dettavano la collocazione all’interno del terzo atto dell’opera. Nel Macbeth il terzo atto rappresenta la seconda Scena delle Streghe quando il protagonista si reca da loro per avere anticipazioni sul futuro. Qui c’è un ambiente magico, soprannaturale, nel quale le streghe posseggono ruolo di protagoniste. Entra in scena Ecate, la dea della notte, che avverte le streghe della venuta di Macbeth esortandole a soddisfare quanto desidera sapere. Verdi era ben consciò dell’importanza teatrale del momento e concepì una musica del tutto funzionale all’insieme soprattutto perché valorizzava la portata drammatica di quelle (le streghe) che considerava in assoluto uno dei tre protagonisti dell’opera, oltre a Macbeth e alla Lady.
Sono circa 10 minuti di musica (cinque numeri) per i quali Verdi appunta in partitura (esclusivamente in italiano) alcune note chiarificatrici, praticamente una coreografia, dove misura per misura sottolinea ciò che deve avvenire in scena, entrate, uscite e movimenti dei personaggi. Le sue note chiariscono che non si tratta di un vero e proprio divertissement, che per il momento scenico sarebbe stato anacronistico, ma entità prevalentemente mimica. Tutto questo dimostra l’abilità di Verdi di comporre per il teatro del quale mette in luce ogni momento, la peculiarità di ogni personaggio e la specificità dell’azione, il tutto amalgamato da una musica rispettosa dell’insieme.
La realizzazione scenico musicale di Macbeth per il Festival Verdi.
Macbeth è andato in scena al Teatro Regio di Parma il 26 settembre con esito del tutto positivo in quanto a gradimento del pubblico. Iniziamo ad analizzare le diverse componenti dello spettacolo.
La regia è stata affidata a Pierre Audi, regista teatrale libanese naturalizzato francese. È un artista molto apprezzato soprattutto per la sua esperienza sia in campo shakesperiano sia in quello dell’opera lirica. Attualmente è direttore del Festival d’Aix-en-Provence. Una personalità, quindi, adatta per uno spettacolo come questo. Infatti, l’impostazione scenica ci è parsa nell’insieme del tutto rispettosa di un’opera di ispirata a Shakespeare, utilizzando un impianto scenico basato sulla semplicità, senza troppi orpelli e sicuramente orientato alla valorizzazione dei contenuti del dramma. Questo grazie alle scene di Michele Taborelli, ai costumi di Robby Duiveman e alla realizzazione delle luci, elemento essenziale per uno spettacolo come questo, di Jean Kalman e Marco Filibeck. Nel contempo, però, Audi, ci è sembrato che abbia trascurato il già accennato pensiero di Verdi, che per l’opera giudicava protagonisti principali Macbeth, la Lady e le Streghe. Se i primi due erano scenicamente centrati le Streghe non avevano quell’aspetto magico, soprannaturale, a nostro giudizio fondamentale. Spesso comparivano immobili, statiche, non mostrando di essere demoniache come ci aspettavamo.
Per quanto riguarda la parte coreografica, curata da Pin Veulings, risultava orientata verso la mimica cosa che l’ha resa nel complesso efficace. Lo spettacolo che evidenziava elementi ormai abusati come la visione speculare sul fondo della scena della sala teatrale, nel complesso (fortunatamente) non ci siamo trovati di fronte alle solite, astruse, realizzazioni sceniche che oggi costellano il mondo dell’opera lirica a livello internazionale ed abbiamo potuto godere di uno spettacolo, visivamente, tutto sommato piuttosto accettabile.
La compagnia di canto è risultata valida nell’insieme. Nella parte del protagonista, il baritono Ernesto Petti ha offerto una prova del tutto apprezzabile, ben bilanciata, grazie alla sua pregevole vocalità alla quale si abbina una vigorosa interpretazione scenica regalandoci un Macbeth intenso e coinvolgente. Al suo fianco la Lady del soprano Lidia Fridman, cantante in possesso di una emissione sicura ed incisiva, offrendo al pubblico un personaggio diverso da come spesso lo vediamo nei teatri d’opera, gelido e distaccato, solo apparentemente impassibile perché lascia intravedere la ferocia e la spietatezza della Lady, esibendo un valido fraseggio e una facilità nel realizzare la non facile linea vocale concepita da Verdi. Banquo era il basso Michele Pertusi, beniamino di casa, che ha esibito la sua consueta nobiltà di vocale, peraltro adatta al personaggio che ha interpretato, realizzata scenicamente con intensità e senso drammatico. Macduff era il sorprendente Luciano Ganci, tenore dalla voce chiara e corposa che esibisce sempre con facilità di emissione, elementi che lo rendono uno dei cantanti italiani più apprezzati ed interessanti del momento.
Per quanto riguarda il resto della compagnia tutti i cantanti hanno offerto una prova decisamente accettabile ad iniziare dal tenore David Astorga Malcolm per proseguire con il mezzosoprano Natalia Gavrilan La Comtesse, il basso Rocco Cavalluzzi Un Médecin, il baritono Eugenio Maria Degiacomi Un serviteur/Un sicaire/Premiere fantôme, e con Agata Pelosi e Alice Pellegrini, rispettivamente Deuxième e Troisième fantome.
Menzione speciale per il Coro del Teatro Regio di Parma che ha offerto una prova molto applaudita grazie anche alla direzione di Martino Faggiani.
Infine la direzione musicale di Roberto Abbado, risultata attenta e curata in ogni punto. Una prova del tutto valida soprattutto perché rivolta a mettere in evidenza la magnificenza di questa opera, la sua teatralità e la sua drammaticità, grazie ad una conduzione del tutto funzionale ed orientata alla resa d’insieme ben coadiuvato dalla Filarmonica Arturo Toscanini e dai componenti dell’Orchestra giovanile della Via Emilia.
Al termine della recita (26 settembre) una ovazione ha salutato tutti gli artisti indistintamente, convenuti tutti sul palcoscenico per un successo che ha certificato la validità della proposta musicale.
Claudio LISTANTI Roma 6 Ottobre 2024