Ancora sul nesso Caravaggio – Bernini: il San Girolamo scrivente & il Busto di Antonio Coppola.

di Claudia RENZI

1 Gian Lorenzo Bernini, Busto di Antonio Coppola, Roma, Museo di Arte Sacra di San Giovanni dei Fiorentini

È un ragazzino Gian Lorenzo Bernini quando, alla bottega del padre Pietro, arriva la commissione da parte dell’Arciconfraternita della Pietà di San Giovanni dei Fiorentini a Roma, chiesa “nazionale” e loro punto di riferimento nell’Urbe, per un busto ritratto di uno dei benefattori del vicino Ospedale della Pia Opera dei Fiorentini (demolito nel 1937), appena mancato: il chirurgo Antonio Coppola (Firenze, 1533 – Roma, 1612 – Fig. 1), che aveva lasciato all’istituzione tutti i suoi beni, motivo per cui i confratelli avevano stimato doveroso dedicargli un monumento commemorativo da porsi nell’ospedale consistente in un busto ritratto accompagnato da lastra marmorea.

È tanto ragazzino Gian Lorenzo che i documenti di pagamento conservati nell’archivio dell’Arciconfraternita non riportano il nome dello scultore, come solitamente avveniva nel caso egli fosse stato maggiorenne e regolarmente iscritto alla corporazione dei marmorari, ma uno spazio in bianco seguito dal solo cognome, Bernini. Il particolare, già di per sé indicativo dell’identità del vero autore del busto ritraente Coppola, ha dato adito a equivoci – persino in tempi recenti – sull’autografia dell’opera, venendo forzosamente interpretato da alcuni come presunta prova della paternità di essa di Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo.

Fu Irving Lavin a ritrovare, nel 1967, i busti di Antonio Coppola e Antonio Cepparelli [1] nello scantinato della chiesa di San Giovanni dei Fiorentini e a riconoscerli, su base stilistica e delle relative, pure rinvenute, fonti archivistiche quali perdute opere di Gian Lorenzo [2].

Un primo documento attestante la volontà dell’Arciconfraternita di

per far fare al Bernino scultore la testa di marmo del detto m [edico] Antonio Coppola da mettersi nel [sic] spedale

è datato 8 marzo 1612[3]: all’epoca Gian Lorenzo aveva 13 anni (ne avrebbe compiuti 14 a dicembre). Il 16 luglio

fu fatto un mandato di pagare a ……. Bernini scultore quello che deve havere per la testa di marmo di m. Antonio Coppola e fu fatto il mandato in bianco, e fu dato ordine al Signor Andrea Pasquali che sia con il Signor Francesco Ticci, che veda di pagar meno che si può[4].

infine, il 10 agosto (onomastico di Gian Lorenzo) fu registrato il pagamento – stavolta a “Pietro Bernini” – per il busto di Coppola[5].

La specifica “pagar meno che si può” dovrebbe essere già piuttosto esaustiva circa l’identità del vero autore del ritratto del dottor Coppola, eppure la scoperta di Lavin non fu accolta unanimemente. Nel 1967, prima che Lavin pubblicasse gli Atti della conferenza tenuta presso l’American Academy,  Cesare D’Onofrio – che era stato presente all’evento – tentò di confutare l’attribuzione di Coppola a Gian Lorenzo rimarcando che nel 1612 l’enfant prodige aveva soltanto 13 anni e dunque il busto andrebbe ascritto a Pietro Bernini[6]; per la verità D’Onofrio nega, incomprensibilmente, la precocità del suo talento tout court, cercando di attribuire a Pietro anche altre opere, sia precedenti che successive al busto di Coppola, palesemente di mano del figlio; eppure, persino nel 1612, Gian Lorenzo non era affatto nuovo ai ritratti: aveva infatti già eseguito nel 1610 (dunque dodicenne) il Bustino di Giambattista Santoni, maggiordomo di Clemente VIII – dal sapore ancora pienamente manierista e postumo, poiché Santoni era defunto dal 1592 – e anche, addirittura, la testa, il volto, il ritratto insomma, di Clemente VIII stesso nel grande rilievo dell’Incoronazione di Clemente VIII altrimenti di Pietro in Santa Maria Maggiore (1612 la prima versione non collocata; 1614 la seconda versione, in loco).

Secondo D’Onofrio nel 1612 il già celebre Pietro era l’unico “Bernini” al quale si potessero riferire i documenti per via dell’età; ma Lavin ha argomentato sin da subito, e convincentemente ribadito in seguito[7], come il Busto di Antonio Coppola non possa essere d’altri che Gian Lorenzo, seppur tredicenne[8].

Su cosa potrebbe basarsi, seriamente, l’attribuzione a Pietro Bernini del Busto di Antonio Coppola? A semplice domanda “Pietro Bernini faceva ritratti?” la risposta è: “No”.

Pietro Bernini non eseguiva ritratti; non esistono ritratti di sua mano e non è per le sue (inesistenti) capacità di ritrattista che Paolo V lo volle a Roma nel 1606. Sarebbe d’altro canto singolare che, se l’autore del Busto di Antonio Coppola fosse Pietro, quel tanto celebrato scultore del quale l’amico Giovanni Baglione scriveva che

Pietro con ogni franchezza maneggiava il marmo sì, che in ciò pochi pari egli hebbe. Et un giorno in Napoli, io stesso il vidi, che prendendo un carbone, e con esso sopra un marmo facendo alcuni segni, subito vi messe dentro i ferri, e senz’altro disegno vi cavò tre figure dal naturale, per formare un capriccio da fontana, e con tanta facilità il trattava, che era stupore il vederlo[9],

i committenti, che pure gli si erano rivolti, non ne ricordassero il nome di battesimo e lasciassero in bianco lo spazio per il nome in un documento così come che Baglione, come fece notare Lavin[10], non menzioni nessun ritratto di mano di Pietro, tantomeno eseguito a Roma, né che fosse capace di farne.

Invece di Gian Lorenzo si può affermare – senza tema di smentita – che il suo principale talento, la sua specialità fosse proprio il ritratto, e ha manifestato tanto presto questa sua particolare dote che ha cominciato a licenziare ritratti ben prima di diventare maggiorenne, tanto che la prassi della bottega, ad un certo punto, era quella di affidare a lui il ritratto del committente e al padre Pietro e al resto dei collaboratori il corollario della memoria funebre o del monumento[11]. Sarà nel dicembre 1618, al compimento dei vent’anni, che nei documenti apparirà soltanto il suo nome, Gio. Lorenzo.

L’attribuzione a Pietro Bernini del Coppola è insostenibile non soltanto perché Pietro, a differenza del figlio, non eseguiva ritratti, ma anche perché nel Coppola compare qualcosa che è assente nell’opera di Pietro e perfino nelle teste di Clemente VIII e Santoni: una svolta, una virata, verso il caravaggismo applicato alla ritrattistica scolpita che soltanto Gian Lorenzo avrebbe potuto concepire.

Documenti (tutti comunque convergenti verso l’autografia di Gian Lorenzo) a parte, è il busto di Coppola stesso a “parlare”: esso appare decisamente di altro stampo rispetto allo stile di Pietro Bernini; il ricercato manierismo del pur ottimo padre è soppiantato, spazzato via, dall’eccezionale, inquietante naturalismo del figlio (Fig. 2). “La vera cesura arriva nel 1612, con il busto di Antonio Coppola”[12], nel quale insomma è evidente come “La forma e il contenuto insieme annunciano una nuova era, in statu nascendi”[13]. Con Coppola, in altre parole, Bernini aggiorna la scultura al caravaggismo.

2 Gian Lorenzo Bernini, Busto di Antonio Coppola, Roma, Museo di Arte Sacra di San Giovanni dei Fiorentini (part.)
3 Gian Lorenzo Bernini, Busto di Antonio Coppola, Roma, Museo di Arte Sacra di San Giovanni dei Fiorentini (part.)

Il volto di Coppola è scavato, le orbite infossate, la bocca sigillata in una smorfia severa, la pelle aderente al cranio tanto da far sembrare che il teschio sotto stia per rivelarsi (Fig. 3): creato a partire dalla maschera funebre, la visione dovette colpire il giovanissimo Gian Lorenzo abbastanza da fargliela riprodurre con eccezionale puntualità, con la sola geniale “variante” degli occhi aperti: Gian Lorenzo ha perfino registrato la depressione sulla parte superiore della fronte (Fig. 4) – un dettaglio che Pietro Bernini non si sarebbe mai curato di riportare. Dal ferraiolo che avviluppa il dottore come una toga romana, se non come un sudario, spunta la mano ossuta (Fig. 5) –

4 Gian Lorenzo Bernini, Busto di Antonio Coppola, Roma, Museo di Arte Sacra di San Giovanni dei Fiorentini (part.)
5 Gian Lorenzo Bernini, Busto di Antonio Coppola, Roma, Museo di Arte Sacra di San Giovanni dei Fiorentini (part.)

soluzione che Gian Lorenzo riproporrà nel Busto di Giovanni Vigevano nel 1619 (Roma, Santa Maria sopra Minerva) e, con i guanti, nel Busto di Thomas Baker (1638, Londra, Victoria & Albert Museum) – permeata, come tutto il busto, da una certa ieraticità della posa, in quella che Lavin ebbe a definire “Senilità fragile ma eroica[14].

Da dove derivava una tale attenzione al naturale, una tale volontà di riprodurre il vero, un ragazzino di nemmeno 14 anni?

Bernini era un instancabile disegnatore e coroplasta, e dunque, sin da giovanissimo, ha praticato un costante esercizio nell’osservare e riprodurre la Natura. L’altro “modello” senz’altro presente nella sua formazione è la pittura di Caravaggio, il maestro adorato dal suo “padrino” Scipione Borghese. È nella collezione del cardinale che Bernini ebbe modo di vedere il San Girolamo scrivente (1603-4, Roma, Galleria Borghese – Fig. 6).

6 Caravaggio, San Girolamo scrivente, Roma, Galleria Borghese

Dalle parole di Giovanni Pietro Bellori sembrerebbe che Caravaggio abbia dipinto il San Girolamo scrivente per il cardinale Scipione Borghese:

Per lo medesimo Cardinale [Scipione Borghese, ndA] dipinse il San Girolamo, che scrivendo attentamente distende la mano, e la penna al calamaio[15],

e dunque generalmente datato per questo al 1605, data in cui Scipione si ritrova cardinal nipote dopo l’elezione (a maggio) dello zio Camillo al soglio pontificio come Paolo V e si stabilisce a Roma (dove peraltro era nato); ma va, a mio parere, anticipato al 1603, 1604 al massimo, epoca in cui il canuto modello che posa come San Girolamo compare in altri quadri, tutti databili tra 1600-1 e 1603, nei dipinti di Caravaggio (Crocifissione di San Pietro, 1600-1, Roma, Santa Maria del Popolo; Incredulità di San Tommaso, 1600-2, Postdam, Sanssouci, Bildergalerie; San Matteo e l’angelo, 1602, Roma, San Luigi dei Francesi; Sacrificio di Isacco già Barberini, 1602-3, Firenze, Galleria degli Uffizi; Cristo nell’orto dei Getsemani, 1603, già Berlino; San Girolamo scrivente, 1603-4, Roma, Galleria Borghese)[16].

In realtà è probabile che Scipione Borghese abbia acquistato il quadro in data imprecisata dopo il 1605; il che spiegherebbe perché Scipione Francucci, nel suo La Galleria dell’Illustrissimo e Reverendissimo Signor Scipione Cardinale Borghese cantata in versi, del 1613, non citi il San Girolamo scrivente tra le opere esposte della collezione del cardinale Borghese (il cardinale poteva tenerlo presso la sua residenza in effetti), cosa che invece fa Iacomo Manilli nel 1650: “Il San Girolamo che sta scrivendo è del Caravaggio[17].

Come nel San Girolamo in meditazione (1603-4, Montserrat, Pinacoteca del Monastero di Santa Maria)[18] il santo è immerso in ascetica solitudine; il capo nimbato è indagato alla stessa stregua del teschio poggiato sul libro a sx “Quale tragico contrapposto alla testa del santo e richiamo alla vanità delle cose[19]; nel Coppola, primo capolavoro naturalista di Gian Lorenzo, si può vedere lo stesso spirito attento a indagare il naturale, spirito che lo scultore non perderà mai e, soprattutto, i primi effetti della rivoluzione caravaggesca (Fig. 7).

Questo fanciullo sarà il Michelangelo del suo tempo” ebbe a dire, profeticamente, Paolo V Borghese[20], senza immaginare che l’associazione sarebbe stata calzante non soltanto al Michelangelo Buonarroti, ma pure al Merisi!

©Claudia RENZI  Roma, 6 ottobre 2024

NOTE

[1] Pure di mano di Gian Lorenzo, e del quale scriverò prossimamente.
[2] Nel gennaio 1967 Lavin tenne una conferenza presso la American Academy a Roma per annunciare il ritrovamento dei busti e dei relativi documenti; nel 1968 ne pubblicò gli Atti in Irving Lavin, Five New Youthful Sculptures by Gian Lorenzo Bernini and a Revised Chronology of His Early Works, in: «The Art Bulletin», L, 1968, pp. 223-48.
[3] Archivio della Confraternita di San Giovanni dei Fiorentini (d’ora in poi ASGF), Busta 651, Cong.ni 1612-1613, fol. 1v, in: I. Lavin, op. cit., p. 244, Docc. 1-3.
[4] ASGF, Busta 651, Cong.ni, 1612-1613, fol. 2v, in: I. Lavin, op. cit., p. 244, Docc. 1-3.
[5] ASGF, Busta 430, Libro Mastro 1630-1624, p. 49 destra, e Busta 369, Entrata e Uscita 1606-1624, parte 2, f. 19; in: I. Lavin, op. cit., p. 244, Docc. 4a e 4b.
[6] Cesare D’Onofrio, Roma vista da Roma, Roma, 1967, pp. 106-113
[7] Irving Lavin, Bernini giovane, in: Olivier Bonfait, Anna Coliva (a cura di), Bernini dai Borghese ai Barberini, Roma, 2004, pp. 135-7.
[8] Seguono D’Onofrio, tra i più recenti: Maurizio Fagiolo dell’Arco, L’immagine al potere: vita di Gian Lorenzo Bernini, Roma-Bari 2004, pp. 22 e 90, ma già prima in M. Fagiolo Dell’Arco, Gian Lorenzo Bernini, in: «Storia dell’Arte», nn. 1-2, 1969, pp. 195-200; Hans-Ulrich Kessler, Busto di Antonio Coppola (scheda), in: Maria Grazia Bernardini, Maurizio Fagiolo Dell’Arco, Gian Lorenzo Bernini. Regista del Barocco, Milano, 1999, pp. 318-319; e in H. Kessler, Pietro Bernini (1562-1629), München, 2005; Anne- Lise Desmas, Busto di Antonio Coppola (scheda), in: Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, Roma, 2017, pp. 104-7. Attribuiscono Coppola a entrambi padre e figlio, a quattro mani (quindi la testa ritratto a Gian Lorenzo e il busto a Pietro) Cesare Brandi, L’attività giovanile di Gian Lorenzo Bernini. Appunti tratti dalle lezioni del professor Cesare Brandi, a.a. 1968-1969 seguito da Catherine Hess, Ritratto di Antonio Coppola (scheda), in: Andrea Bacchi, Tomaso Montanari, Beatrice Paolozzi Strozzi, Dimitros Zikos (a cura di): I marmi vivi. Bernini e la nascita del ritratto Barocco, Firenze, 2009, pp. 208-11.
[9] Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642, p. 305 (Vita di Pietro Bernini scultore).
[10] I. Lavin, op. cit., 2004, p. 136.
[11] Così, ad esempio, nei casi delle memorie di Camilla Barbadori e Antonio Barberini genitori del futuro Urbano VIII; di Giovanni Vigevano; dei cardinali François Escoubleau de Sourdis, Giovanni Dolfin, Roberto Bellarmino o il summenzionato (precedente) Giambattista Santoni.
[12] Tomaso Montanari, Il colore del marmo. I busti di Bernini tra scultura e pittura, ritratto e storia, furore e stile (1610-1638), in: Andrea Bacchi, Tomaso Montanari, Beatrice Paolozzi Strozzi, Dimitros Zikos (a cura di): I marmi vivi. Bernini e la nascita del ritratto Barocco, Firenze, 2009, pp. 71-135, p. 75.
[13] I. Lavin, op. cit., 2004. p. 138.
[14] I. Lavin, op. cit., 2004, p. 138.
[15] Giovanni Pietro Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1672, p. 214.
[16] Per una datazione precoce, tra 1602 e 1604, propende Denis Mahon, Egregius in Urbe Pictor: Caravaggio Revised, in: «The Burlington Magazine», XCIII, 1951, pp. 223-234.
[17] Iacomo Manilli, Villa Borghese fuori porta Pinciana, Roma, 1650, p. 85. Nell’Inventario Borghese del 1700, cfr. Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, 2005, p. 504, si attribuiva il dipinto (che Marini data il dipinto al 1605) allo Spagnoletto, così fino ad Adolfo Venturi, ne Il Museo e la Galleria Borghese, Roma, 1893, p. 62. Lo restiuì a Caravaggio Lionello Venturi nel 1909, Note sulla Galleria Borghese, in: «L’Arte», XII, pp. 31-50.
[18] Per un cfr tra questo e un’altra opera berniniana si veda Claudia Renzi, https://www.aboutartonline.com/il-san-gerolamo-di-caravaggio-e-la-fuga-da-troia-di-bernini-analogie-e-convergenze/, in: «About Art online» del 08.09.2024.
[19] Mina Gregori, San Girolamo scrivente (scheda), in: Mina Gregori (a cura di), Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i capolavori, Milano, 1992, pp. 274-281, p. 274.
[20] Domenico Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernini, Roma, 1713, p. 9.

BIBLIOGRAFIA

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