di Nica FIORI
La Regione Marche, caratterizzata nel passato da una vocazione alla pluralità, come indica il nome, ha tra i suoi fattori unificanti il profondo legame con la Chiesa cattolica, che ha reso il suo territorio particolarmente ricco di testimonianze di spiritualità e di santità. Le figure dei suoi più illustri figli legati alla cristianità sono i protagonisti della mostra Papi e Santi marchigiani a Castel Sant’Angelo, che il pubblico può scoprire, inclusa nel biglietto d’ingresso al Castello, nella suggestiva cornice delle Sale dell’Armeria Superiore.
Come immagine guida è stata scelta quella di Sisto V, il papa forse più noto tra quelli marchigiani, perché ha letteralmente trasformato nei suoi cinque anni di pontificato (1585-1590) l’aspetto di Roma, coadiuvato dal suo architetto Domenico Fontana, tanto che è stata coniata l’espressione “Roma Sistina”, per indicare i rettifili, gli snodi viari a stella e a tridente, con le visuali sulle cupole e sugli obelischi da lui fatti innalzare e consacrati a Cristo, dopo l’abbandono in cui versavano durante il Medioevo.
L’esposizione, a cura di Marco Pizzo e Maria Cristina Bettini, è ricca di materiali, opere d’arte e documenti – alcuni dei quali inediti o poco noti – che testimoniano la connessione tra Roma e le Marche, già parte integrante dello Stato Pontificio. L’intento è quello di suscitare, nell’ambito delle iniziative per il Giubileo del 2025, la curiosità di turisti, amatori e devoti verso il patrimonio artistico, storico e culturale di questa regione.
Nel suo territorio meritano di essere visitate non solo le città di Ancona, Ascoli Piceno, Macerata, Pesaro e Urbino, che ha dato i natali al papa Clemente XI Albani, oltre a Raffaello e ad altri celebri artisti, ma anche diversi centri minori quali Cingoli, Fano, Jesi, Fermo, Osimo, Senigallia e altri, che conservano edifici sacri e memorie da riscoprire. I visitatori della mostra avranno allo stesso tempo modo di ammirare a Roma la fortezza papale per eccellenza, sorta sul Mausoleo di Adriano (II secolo d.C.) e collegata al Vaticano dal Passetto di Borgo, così che i pontefici potessero trasferirsi in caso di assedio dagli appartamenti vaticani a quelli del Castello, posto sotto la tutela dell’arcangelo Michele.
Come ha spiegato S.E.R. Mons. Nazzareno Marconi, presidente della Conferenza Episcopale Marchigiana, è attraverso le vie consolari Flaminia e Salaria che il seme del Vangelo è arrivato nelle Marche, che a loro volta hanno restituito a Roma una grande ricchezza di cultura e di spiritualità:
“È così che fin dal IV secolo dalle Marche cristiane sono sorti i primi santi la cui fama ha raggiunto Roma, come San Marcellino di Ancona citato da San Gregorio Magno. Ancora di più nel Medioevo, le Marche hanno restituito a Roma il dono della fede attraverso nuove vie di pellegrinaggio dove già dalla fine del 1200, sono giunti nell’Urbe i primi grandi papi marchigiani. Poi ‘dal cielo’ il 10 dicembre 1294 avveniva la ‘Venuta’ della Santa Casa a Loreto. Giunta dal cielo la Santa Casa darà origine ad una terza strada di legame tra Roma e le Marche, una via più celeste che terrestre, segnata dai passi dei pellegrini e sulla quale i papi ed i santi marchigiani prenderanno ad andare e venire da Roma: la Via Lauretana”.
Il racconto espositivo prende le mosse proprio dal santuario di Loreto, del quale è esposto un modello ottocentesco, insieme a un raro documento che attesta come, al tempo della Repubblica Romana del 1849, i beni della Santa Casa non furono incamerati dai repubblicani, ma rimasero a Loreto.
Secondo la tradizione la reliquia conservata nel santuario, consistente nella parte antistante dell’abitazione di Nazareth dove avvenne l’Annunciazione a Maria, sarebbe stata portata in volo dagli angeli, mentre una seconda interpretazione la vuole portata dai Crociati. La sua è “una presenza talmente densa di significati – affermano i due curatori in un saggio del catalogo (edito da Gangemi) – da contribuire a dare una fisionomia speciale all’intera regione”.
Loreto è diventata una sorta di Nazareth traslata e, al posto del pellegrinaggio in Terrasanta che era pericoloso per i cristiani, folle innumerevoli di pellegrini si sono avviati lungo quei cammini lauretani che ancora oggi attraversano il territorio italiano ed europeo. Troviamo in mostra, tra le altre cose, una fiaschetta del pellegrino settecentesca in ceramica smaltata e un altarino da viaggio, in legno, pure settecentesco. Una statua della Madonna, in legno colorato e intagliato, è opera di Sebastiano Sebastiani e risale probabilmente all’inizio del XVII secolo.
Forse non è casuale il fatto che la Madonna di Loreto prenda il nome da Lauretum, la verde collina di lauri, in territorio recanatese, dove la Santa Casa venne “posata” nel 1294. Una pianta, quella dell’alloro, che da simbolo di gloria (pensiamo alle corone della Vittoria e della Poesia) viene ad assumere in questo caso un’ulteriore valenza simbolica. Non dimentichiamo che la sua origine mitica è legata a Dafne, la ninfa che, volendo preservare la propria verginità insidiata dal dio Apollo, supplica il padre (il fiume Peneo) di concederle un altro aspetto e viene allora tramutata in lauro. Dalla vergine Dafne alla Vergine Maria questa pianta può richiamare, quindi, un’idea di purezza, allo stesso modo del giglio o della candida rosa dell’Empireo dantesco.
L’importanza della Vergine Lauretana, patrona delle Marche, è tale che anche a Roma le è stata dedicata la centralissima chiesa della Madonna di Loreto (nella piazzetta omonima accanto a piazza Venezia), la celeberrima tela di Caravaggio della Madonna dei Pellegrini, o di Loreto (nella chiesa di Sant’Agostino) e la chiesa del Pio Sodalizio dei Piceni. Quest’ultima, nota col nome romano di San Salvatore in Lauro, per via di un boschetto di alloro che sorgeva nei pressi (proprio come nel colle recanatese!), è intitolata già dal 1700 a Santa Maria di Loreto de’ Marchegiani.
La mostra è suddivisa in tre sezioni, evidenziate da colori diversi. La prima è dedicata ai nove papi marchigiani, a partire dall’età medievale che ha come unico rappresentante Niccolò IV (1288-1292) primo pontefice appartenente all’Ordine dei Francescani, quindi seguono i papi dell’età moderna Marcello II (eletto nel 1555 e morto dopo soli 22 giorni), Sisto V (1585-1590), Clemente VIII (1592-1605), Clemente XI (1700-1721), Clemente XIV (1769-1774), Leone XII (1823-1829), Pio VIII (1829-1830) e infine incontriamo Pio IX (1846-1878), che appartiene al periodo risorgimentale.
La loro conoscenza è proposta attraverso biografie ed elementi che li contraddistinguono, come ritratti, medaglie e altri documenti. Sono esposti anche diversi oggetti legati alla loro committenza, come nel caso del tabernacolo esagonale in legno intagliato e dorato, finemente dipinto nel 1570-1571 da El Greco, che proprio in quegli anni si trovava a Roma.
Questo manufatto è stato donato alla Parrocchia di San Pietro Apostolo a Castignano da Sisto V (Felice Peretti), un papa francescano dal carattere imperioso (Giuseppe Gioachino Belli lo definì “Er Papa tosto”), che, come abbiamo già evidenziato, figura tra i pontefici più attivi a Roma dal punto di vista urbanistico (cfr. https://www.aboutartonline.com/sisto-v-nel-cinquecentenario-della-nascita-il-pontefice-della-rinascita-architettonica-della-capitale/) e allo stesso tempo ha lasciato molte testimonianze del suo mecenatismo nelle Marche.
Nella stessa sala un oggetto di grande rilevanza artistica e devozionale è il Reliquiario di San Gualtiero (1403), raffinato esempio di oreficeria abruzzese-marchigiana proveniente dalla Parrocchia di San Marco Evangelista di Servigliano – Arcidiocesi di Fermo.
Tra i pontefici più noti ricordiamo anche Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), che è stato beatificato da Giovanni Paolo II. Certo il suo papato (il più lungo della storia) è stato particolarmente difficile, perché collocato in mezzo alle vicende che hanno portato all’unità d’Italia da un lato e alla fine del potere temporale dei papi dall’altro. Dal punto di vista religioso, si ricorda che l’8 dicembre 1854 proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione con la bolla Ineffabilis Deus. Prima di allora, pur essendo diffusa la convinzione che la Vergine Maria fosse stata concepita dai genitori Anna e Gioacchino senza il peccato originale (“piena di grazia”, cioè pura, così da poter accogliere il Figlio di Dio) ed esistesse già il culto per l’Immacolata, questa tesi non era accettata da tutti.
Tra i ritratti d’autore si segnala quello di Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini) eseguito dal Cavalier d’Arpino (1598 ca. Museo Diocesano di Senigallia), che lo ha raffigurato intento a scrivere, con accanto alcuni elementi simbolici, quali un teschio e una colomba. Questo papa ha legato il suo nome a due sale di Castel Sant’Angelo, cui si accede dal Cortile dell’Angelo, e a una nuova edizione della Vulgata (traduzione in latino della Bibbia), pubblicata nel 1592 e chiamata Clementina.
Di lui si ricorda anche che celebrò l’importante Giubileo del 1600, un anno storicamente noto anche per la condanna al rogo di Giordano Bruno.
Nella seconda parte della mostra i santi e i beati legati alle Marche (San Marcellino, San Nicola da Tolentino, il Beato Sante ovvero Giansante Brancorsini, San Giacomo della Marca, Santa Camilla Battista da Varano, San Giuseppe da Copertino, Santa Veronica Giuliani, Santa Maria Goretti) sono fatti conoscere attraverso incisioni, quadri, oggetti di culto e di grande valore spirituale come le preziose pagine dell’Evangelario di San Marcellino risalente al VI secolo. Ai loro profili biografici si aggiungono le suggestioni spirituali tratte dai loro scritti o da processi di santificazione. L’esempio più recente è quello di Santa Maria Goretti (1890-1902), divenuta espressione nel XX secolo della spiritualità dei padri passionisti di San Leonardo della Croce. Nata a Corinaldo, Maria Goretti si era trasferita con i genitori nel Lazio, nella zona delle Paludi Pontine. Di lei è presente la rara reliquia della veste che indossava quando, appena dodicenne, è stata uccisa a seguito di un tentativo di stupro, ragion per cui è stata equiparata alle vergini martiri del primo cristianesimo.
Un focus è dedicato alla scrittura femminile di sante poco note, come Camilla Battista da Varano (1458-1524) e Veronica Giuliani (1660-1727), entrambe in grado di scrivere diari o autobiografie con una sensibilità molto poetica. Di Camilla Battista, che era una vera umanista, ricordiamo, in particolare, questo aforisma:
“Cammina, corri, vola nella vita di Dio. I virtuosi camminano, i sapienti corrono, gli innamorati volano. Se puoi correre, non camminare, se puoi volare, non correre, perché il tempo è breve”.
Accanto alla sua immagine è esposto il “Bambinello della Beata Battista”: un’opera di “vitale compostezza” in legno policromo scolpito da Domenico Indivini (fine del XV secolo), rivestito di una preziosa veste settecentesca e proveniente dal Monastero delle Clarisse di Camerino. Altri oggetti che suscitano la nostra curiosità sono alcune tavole dipinte, umili ex voto di ringraziamento a San Nicola da Tolentino (1245-1305), il frate agostiniano taumaturgo, che è forse il più noto tra i santi marchigiani.
Un santo che, seppure nato in Puglia, ha legato il suo nome alle Marche e in particolare alla città di Osimo, dove è sepolto, è San Giuseppe da Copertino (1603-1663) Egli è conosciuto per la miracolosa capacità di levitare: quando veniva pronunciato il nome di Gesù o di Maria, egli “volava”, rimanendo sospeso in aria.
Non rientra tra i santi, ma è comunque un personaggio di grande spicco, il Servo di Dio Matteo Ricci, nato a Macerata nel 1552 e morto a Pechino nel 1610. Gesuita missionario, egli fu il primo occidentale a introdurre la cultura scientifica nella Cina degli imperatori Ming (scrisse opere di matematica, astronomia, di filosofia morale in cinese). Un libro del 1616 del gesuita Nicolas Trigault, intitolato Riccius Matthaeus, De Christiana Expeditione apud Sinas suscepta ab Societate Jesu, presenta una tavola interna indicante il luogo della sepoltura del celebre gesuita in Cina.
La terza sezione è dedicata agli itinerari sacri delle Marche: eremi, oratori, santuari, abbazie, rinomate chiese e cattedrali, splendide testimonianze dell’arte romanica e rinascimentale. Questa parte della mostra è illustrata da fotografie, mappe, piante e disegni antichi, spesso poco conosciuti o totalmente inediti. Come viene evidenziato in mostra, quella che a noi può apparire la meta di un viaggio era un tempo “la tappa di un più complesso itinerario dell’anima”, sulle orme di chi aveva vissuto in un certo luogo in santità, a volte in solitudine e altre volte in fratellanza spirituale.
Nica FIORI Roma 13 Ottobre 2024
“Papi e Santi Marchigiani a Castel Sant’Angelo”
Castel Sant’Angelo, Roma
Dal 3 ottobre 2024 al 2 marzo 2025
Orario: dal martedì alla domenica, dalle ore 9.00 alle ore 19.30, Chiuso il lunedì
Biglietti acquistabili in loco oppure online su gebart.it/musei/museo-nazionale-di-castel-santangelo