“… alcune mie opere non sono che un canovaccio di mie poesie”; a Bologna Filippo de Pisis pittore / poeta (fino al 18 Gennaio).

di Beatrice BUSCAROLI

E cosa fa?”,

chiede il vecchio Giovanni Boldini a Filippo De Pisis, ventinovenne scrittore d’arte fresco di laurea in storia dell’arte all’Università di Bologna, e giornalista del Corriere Padano:

“ … delle ‘nature morte ?”. “Oh Dio, che tristezza … faccia ben delle cose vive …”.
“Dipingo di preferenza le ‘nature morte’ perché amo troppo quelle vive, non oso affrontarle … col pennello almeno”.
“Ah, ecco … si faccia coraggio”.

Il grande concittadino Giovanni Boldini aveva mezzo secolo in più, aveva raggiunto una fama e una fortuna straordinarie, a Parigi, aveva lavorato strenuamente, eppure, alla fine, anche lui si era fatto pervadere da una sorta di malinconico scetticismo.

Troppo bravo?

Tre anni dopo De Pisis torna su Boldini per recensire una mostra parigina e azzarda un giudizio.

“La bravura invece gli sorride ed è in forza di questa e della vitalità (si legga sensualità, ndA) prodigiosa che il nostro pittore, sia pure per via trasversa, trova la poesia”.

Invece De Pisis passa dall’una all’altra, coniugando l’una e l’altra con il “critico che in me lotta con il poeta…”.

Aveva incominciato scrivendo: “I Canti della Croara” è il primo volume pubblicato. Sono poèmes en prose visionari e sensibili nati nella piccola camera bianca di una smisurata villa settecentesca, ai piedi delle colline di Bologna, in cui affiorano le ombre di Leopardi e Pascoli, riferimenti continui, presenze mai allentate fino alla fine.

I “Canti” escono nel 1916, lo stesso anno della prima sua mostra, a Roma.

A Bologna frequenta il Caffè San Pietro dove, per anni, si vedranno passare poeti e scrittori, artisti e critici. De Pisis incontra un celebre letterato bolognese, Francesco Meriano, fondatore, con Bino Binazzi, della rivista intitolata “La Brigata”.

A loro si rivolge il giovanissimo letterato,“ ‘povero figliuolo’, molto innamorato dell’arte e del sapere, e di chi è artista e di chi sa”. La recensione che ne deriva è ancora più gelata del “si faccia coraggio” del vecchio Boldini.

“In un volumetto d’una ottantina di pagine”, si legge, “abbiamo contato 412dolce e 278 povero. (…) Per concludere “non lo nomineremo mai più; dacché egli non sa apprezzare l’alto onore che gli fa la nostra dolce rivista ad occuparsi della sua povera persona”.

Eppure Giovanni Boine su “Riviera ligure” giudica i “Canti” in tutt’altro modo.

“E’ tutto pieno di questa verginità casta. Dice le cose come se gli apparissero con meraviglia agli svolti, d’un tratto, mai viste prima…”.

Poesia e pittura sembrano fondersi non solo per chi le fa, ma anche per chi le vede. Le “cose” continueranno per decenni ad apparirgli con meraviglia, esattamente come se non le avesse mai viste prima.

Più di trent’anni più tardi ancora tenta di spiegare a sé stesso e agli altri questa sua natura complessa:

“In altre parole, alcune mie opere non sono che un canovaccio di mie poesie”.

De Chirico, in quegli anni, lo descrive a Soffici come “un giovane studioso e poeta pieno di buone intenzioni” che lui e suo fratello Alberto Savinio cercano di “redimere e condurre sulla via buona”.

Abitano di fronte i Tibertelli De Pisis e i De Chirico, giunti a Ferrara da “inabili” al servizio militare, come scritturali, accompagnati dalla madre Gemma, imponente e ingioiellata.

Filippo de Pisis in studio

Si scambiano visite, parlano, vanno in bicicletta, si fermano nelle osterie di campagna.

“Precursore” della metafisica, come si definiva, De Pisis appare da subito, in certi interni e in certe nature morte di quegli anni e nei successivi, quasi naturalmente metafisico. Per l’eccentrica riunione di oggetti disparati, per il segreto mistero che li unisce e dà loro senso e ragione, per le commistioni insolite: fiori, bottiglie, disegni, quadri, conchiglie, ventagli. Fino al capolavoro della Natura morta con il capriccio di Goya (1925), già notata da Francesco Arcangeli:

E’ Goya con il suo Capriccio, che presiede, storico e fantastico nume, al pieno, d’origine metafisica e crepuscolare, di cose nell’interno: il piumino, la clessidra, il libro, la lanterna”.

Dal 1924 De Pisis è a Roma. Superando tentazioni ottocentesche e allontanandosi dal mito della “bella pittura”, a Roma definisce la sua posizione accanto ai maggiori maestri della prima metà del secolo scorso, sempre memore delle influenze assorbite dai vecchi compagni di strada incontrati a Ferrara: De Chirico, Savinio, Giorgio Morandi, che aveva sperimentato la pittura metafisica in poche ma fondamentali opere.

Dopo Roma, Parigi. Si susseguono nature morte di assoluta efficacia, in cui lo sguardo s’incanta e rimanda una sorta di fissità innaturale, interrogativa, inquieta. Sono tele in cui l’autore inserisce, come scrive,

“un elemento metafisico, lirico, drammatico, di rêverie e di sogno, di ironia complicata e di mise en scène talora burlesco, talora doloroso”.
Filippo De Pisis Bottega del Rigattiere, 1938
Flippo De Pisis, Paesaggio, 1926, olio su tela, 27,5×19,5 cm @Pescatori

La raccolta ma raffinatissima scelta di lavori che compone la mostra aperta a Bologna (CUBO Unipol, fino al 18 gennaio 2025, a cura di I. Bignotti e M. Tibertelli de Pisis), intitolata Filippo de Pisis. Nascita di un quadro, nasce proprio intorno alla piccola tela che appartiene alle collezioni del museo d’impresa del gruppo Unipol, un Paesaggio del 1926, e prosegue mettendo in rapporto i dipinti e i pensieri dell’artista.

Tratti da pensieri sparsi, pagine di diario, scritti storico-artistici o letterari, i brani del “marchesino pittore” – questo il titolo del suo romanzo autobiografico – si accostano con disarmante naturalezza alle opere che sembrano rifletterne le ragioni prime.

L’inquietudine costante, l’anelito alla felicità “tanto cercata”, il passaggio del tempo e le cose,cose polverose che parevano riacquistare la loro pace durante la notte”, sono vere e proprie didascalie di alcune tele autobiografiche quanto le parole stesse.

A Parigi dipinge en plein air, ma continua a produrre imponenti nature morte, a cui si affiancano paesaggi, nudi maschili, ermafroditi. A Parigi, soprattutto, ricomincia a frequentare De Chirico e Savinio, col gruppo dei cosiddetti “italiens de Paris”: Campigli, Tozzi, Paresce, Severo Pozzati.

Filippo de Pisis, L’ anima delle cose, 1949

Dopo un soggiorno a Londra, De Pisis torna in Italia, Milano, Firenze e poi Venezia. La sua pittura afferra e sconcerta. Per la grazia veloce di cogliere il senso delle cose senza mai poterle possedere, per quella malinconia preannunciata che sembra proiettare su di esse l’ombra inesorabile della fine. Per il senso di sconfitta, sua e del mondo intorno, di rinuncia, di commiserazione.

Natura e vita sembrano confidargli il loro patetico desiderio di esistere. E quindi sfilano le “cose”, oggetti, profili, fiori, pesci, conchiglie … Nel suo cuore arde ancora l’idea, simbolista e romantica, che l’arte sia l’estrema scommessa per l’eternità.

E allora, come nella struggente sequenza che attraversa gli anni Cinquanta, brandelli di natura e umane tracce sopravvivono appena sulla tela riarsa, ruvida, quasi trascinate da una necessità che accelera il pennello, lo asciuga e concede soltanto il tempo di alcuni tratteggi essenziali.

Filippo de Pisis, La lettera azzurra, 1952, olio su tela cartonata, cm 23×30, courtesy P420, Bo, ph credit C. Favero
F. de Pisis, Rosa nella bottiglia, 1950, acquerello su carta, cm 48×31,5, courtesy collezione privata, Milano

I segni diventano graffi, cauti e silenziosi, manca tutto il repertorio dell’antica pittura, spessore, profondità, fondo.

La busta, le carte da gioco, l’inchiostro, sembrano ricordare forme inghiottite dal nulla, i fiori alzano ancora lo stelo (Rosa nella bottiglia, 1950) sopra uno sfondo bianco che sembra confondersi e fondersi con i petali.

Il “coraggio” del vecchio Boldini si riduce a questa sopravvivenza tenue, in cui realtà ed emozioni si confrontano vibrando insieme e la “stenografia” del delicato marchese azzarda appena i confini delle forme.

Era pittore, era poeta? Corrado Govoni, tanti anni prima gli aveva detto: “sei un poeta”. Ma De Pisis, uscendo dal famoso studio parigino di Boldini, rue Berthier 41, mormorava tra sé, “eppure anch’io sono pittore”.

Beatrice BUSCAROLI  Bologna 27 Ottobre 2024

Filippo de Pisis. Nascita di un quadro

A cura di Ilaria Bignotti e Maddalena Tibertelli de Pisis

Sedi CUBO in Torre Unipol – Via Larga, 8, Bologna, CUBO in Porta Europa – Piazza Sergio Vieira de Mello, 3/5, Bologna, fino  18 gennaio 2025. Ingresso libero

Info al pubblico http://www.cubounipol.it
Orari Lun, 14:00 – 19:00 | Mar, 9:30 – 23:30 | Mer – Gio – Ven, 9:30 – 20:00 Sab, 9:30 – 14:30 | Dom chiuso

Catalogo realizzato da CUBO, con testi di Ilaria Bignotti e Maddalena Tibertelli de  Pisis e una selezione di scritti di Filippo de Pisis.