L’epopea dei Barberini; presentato il volume di F. Solinas e M.C. Cola e gli Inventari inediti dei beni della celebre famiglia.

di Maria Grazia BERNARDINI

Il 7 novembre sorso sono state presentate presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini due importanti pubblicazioni dedicate alla casata dei Barberini: la prima è la pubblicazione degli “Inventari artistici di Casa Barberini”, a cura di Lorenza Mochi Onori su questa rivista (Cfr, https://www.aboutartonline.com/pitture-e-arazzi-sculture-e-mobili-dagli-archivi-barberini-gliinventari-completi-inediti-dei-beni-della-nobile-famiglia/ ).

Questi inventari risalenti al secolo XX, che si aggiungono a quelli pubblicati solo qualche mese fa dalla stessa studiosa (Archivio segreto dei Barberini, in  https://www.aboutartonline.com/larchivio-segreto-dei-barberini-documenti-e-studi-inediti-di-lorenza-mochi-onori-prefazione-introduzione-e-inventario-in-pdf/ ) e a quelli editi nel 1975 da Marylin Aronberg Lavin risalenti al sec. XVII, offrono un panorama completo delle vicende storiche della collezione barberiniana, notizie di grande rilevanza anche per la conoscenza dei vari artisti, della storia conservativa delle opere e del gusto che si evolve nel corso degli anni, e per l’approfondimento delle dinamiche familiari.

La seconda è una raccolta di saggi che approfondiscono alcuni aspetti dell’attività artistica nell’era barberiniana, intitolata Barberiniana, a cura di Francesco Solinas e di Maria Celeste Cola ed edita da De Luca Editori d’Arte.

Queste ricerche, inedite e di grande spessore tale da costituire un tassello imprescindibile per i futuri studi sull’argomento, vanno ad arricchire una già cospicua bibliografia. Vasta è la letteratura dedicata ai Barberini e a papa Urbano VIII, a iniziare da Sebastian Schütze, che scrisse nel 1994 “Urbano inalza Pietro, e Pietro Urbano”, studio basilare che aprì la strada a successivi approfondimenti su Urbano VIII quale mecenate, a Irene Fosi (All’ombra dei Barberini, 1997), dal voluminoso e fondamentale convegno organizzato da Lorenza Mochi Onori, Francesco Solinas e Sebastian Schütze Barberini e la cultura europea del Seicento, tenutosi a Roma nel 2007 alla mostra Barocco. Le arti della meraviglia del 2015 a cura di M.G. Bernardini e M. Bussagli, alle mostre La città del sole a cura di Ferdinando Abbri del 2023, all’ultima mostra L’immagine sovrana. Urbano VIII e i Barberini. Ancora recentemente si è tenuta presso l’Archivio Capitolino una conferenza sulle “Maestranze artistiche nella Roma di Urbano VIII”. Questi studi sono la punta dell’iceberg di una cospicua mole di ricerche, che gettano luce sulla straordinaria figura di Urbano VIII e su quegli anni che costituiscono l’apice dell’era barocca.

1. Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), Ritratto di Urbano VIII. 1628-1630, olio su tela. Collezione privata dalla collezione Barberini

In effetti il pontefice fu una personalità prorompente e protagonista di un’era felice, sebbene l’Europa fosse attraversata da guerre funeste, fosse sempre più aspra la lotta per la supremazia tra Francia e Spagna, ma soprattutto vi fossero già i segnali per un ridimensionamento della Chiesa come potenza influente nello scacchiere europeo.

Urbano VIII era stato eletto il 6 agosto del 1623, grazie ad una congiuntura a lui favorevole. Lo scontro tra le varie fazioni, Ludovisi, Aldobrandini, Borghese, per fare qualche nome, era aspro ma l’afa insopportabile di quei giorni spinse i cardinali a prendere una decisione rapida, e la scelta cadde sul cardinale Maffeo Barberini, che aveva avuto l’abilità di non schierarsi. Già anni addietro era stato baciato dalla fortuna: lo zio, Francesco Barberini, morì nel 1600 e Maffeo divenne l’unico erede dei suoi beni. La ricca eredità gli permise di intraprendere una brillante carriera spostandosi in varie città italiane ed europee. Era brillante, colto, intelligente, appassionato ma anche irascibile e insofferente. Pur appoggiando i suoi familiari, era solito dire

“di avere quattro parenti, che a nulla valevano. Uno era santo e non faceva miracoli, ed era il cardinale Francesco Barberini; uno era frate e non aveva pazienza, ed era il cardinale Antonio; uno era oratore, e non sapeva parlare, ed era il cardinale Antonio juniore. Ed uno era generale e non sapeva metter mano allo spada, ed era Taddeo, principe di Palestrina(G.B. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S.Pietro ai nostri giorni, Venezia 1840-1879 ).

Tra le tante attività portate avanti dal pontefice, la committenza artistica fu senza dubbio uno dei suoi principali interessi. Seguendo la strada già tracciata dai suoi predecessori, Urbano VIII si dedicò con una passione straordinaria, con interesse, capacità, intuito, a realizzare opere che dessero lustro alla sua casata e alla bellezza di Roma e del suo aspetto sacro, coinvolgendo architetti, artisti, scultori.

A questo tema sono dedicati alcuni interessanti saggi della miscellanea Barberiniana: Sulla genesi progettuale di palazzo Barberini di Marisa Tabarrini, che indaga, attraverso numerosi documenti archivistici e disegni originali, la progettazione del palazzo di famiglia e il ruolo del pontefice; Fiat lux: il disegno della luce nella Reggia del Sole di Alessandro Spila, che si sofferma sull’importanza dell’elemento luce sia fisico che allegorico nella progettazione delle sale. Il palazzo alle Quattro Fontane fu di fatto una reggia, di cui oggi è impossibile avere un’idea della maestosità, dopo i rimaneggiamenti e le costruzioni nella piazza.

L’ex piazza Grimani divenne la platea barberiniana, con il Palazzo di famiglia, la chiesa dei Cappuccini, voluta dal cardinale Antonio, e la Fontana del Tritone, che annunciava la barberiniana Reggia del Sole e alludeva al papato di Urbano VIII come splendida età dell’oro e della pace (la fontana si riferisce ad un verso di Ovidio secondo il quale tritone con la sua buccina cerca di calmare le acque e il diluvio voluto da Giove).

L’influenza che Urbano VIII e la famiglia Barberini ebbero sulla determinazione di un nuovo lessico artistico viene analizzata da Francesco Solinas e da Dario Iacolina. Solinas, partendo dal ritrovamento di un grande dipinto raffigurante Trionfo di Flora dipinto da Mario de’ Fiori e Raffaello Vanni per la committenza di Giulio Rospigliosi, riprende e approfondisce una riflessione che aveva già espresso nel suo intervento al convegno del 2007: con la salita al soglio pontificio di Maffei Barberini, si sviluppa una nuova estetica, un’arte magniloquente, grandiosa, spettacolare e cambiano soprattutto i protagonisti della scena romana.

Mario de’ Fiori, Raffaello Vanni, Trionfo di Flora, 1660 ca., olio su tela, cm 183 x 286. Collezione privata.

Fino ad allora dominavano a Roma gli allievi dei Carracci: Guido Reni, Domenichino, Lanfranco; il papa invece chiama Giovan Lorenzo Bernini, Pietro da Cortona, Simon Vouet, Nicolas Poussin. Nel 1624 Urbano VIII affida a Bernini il compito di definire l’altare maggiore della Basilica di San Pietro e l’artista realizzerà un’opera straordinaria, il Baldacchino, definito da Argan l’archetipo dell’arte barocca.

In questi giorni si può apprezzare la bellezza, la forza impressionante, la complessità e l’arditezza di questa struttura perché è stata appena restaurata e dunque riscoperto il contrasto tra il bronzo e le parti dorate, che mettono in evidenza le sue forme.

La spettacolarità dell’opera suscita un’emozione fortissima, come quando fu svelato il Giudizio Universale. Il blu profondo del lapislazzuli del fondo, sul quale volteggiano i beati e i dannati, una volta pulito ritrovava la sua intensità frastornando i visitatori, così oggi il Baldacchino sfolgorante abbaglia i fedeli con i suoi colpi di luce. Quando fu realizzato, l’interno della Basilica era spoglio, non esisteva ancora la Cattedra ed era in corso di realizzazione il Monumento funebre di Urbano VIII. Nel 1630 era stata realizzata la statua del pontefice che faceva bella mostra di sé nella tribuna, non ancora posta sul sarcofago.

La statua del papa con il suo gesto avvolgente e nello stesso tempo imperioso e con il solenne piviale e il Baldacchino mostravano la nuova sensibilità artistica, espressione grandiosa del pensiero barocco.

Dario Iacolina, nel suo Tra Roma e Parigi, la carriera di Giovanni Francesco Romanelli pittore del Cardinal Nepote si sofferma sulla diffusione dello “stile barberini” in Francia attraverso uno dei più acclamati pittori di allora, allievo di Pietro da Cortona e sensibile al fascino di Bernini.

Giustamente Stefano Pierguidi, nel suo interessantissimo saggio (I Barberini e Bellori), in cui esplora il pensiero del Bellori in rapporto all’arte promossa dai Barberini, ricorda che il gusto della famiglia non era univoco: in una lettera molto significativa datata 6 giugno 1635, il cardinale Francesco Barberini indicava a Gregorio Panzani, agente papale presso la corte inglese, il nome degli artisti più rinomati e ricercati in Italia, e accanto al nome di Pietro da Cortona indicava i nomi di Domenichino, Giovanni Lanfranco e Nicola Poussin, dimostrando così di essere ancora legato all’arte della scuola bolognese.

Messa di San Gregorio Magno e il miracolo del corporale, Basilica di San Pietro

D’altronde Taddeo Barberini aveva una preferenza per Andrea Camassei, Giovan Francesco Romanelli (sull’artista si veda anche il saggio di Dario Iacolina) era il favorito del cardinale Francesco, Andrea Sacchi era il protetto del cardinale Antonio. Una preferenza dunque che tradisce una inclinazione verso un’arte più moderata e misurata, ma non per questo meno innovativa. Ad esempio nel dipinto la Messa di San Gregorio Magno e il miracolo del corporale, Andrea Sacchi crea una composizione sobria, contenuta, ma studiatissima, in particolare nel contrasto tra la zona inferiore di un acceso cromatismo, e la parte superiore giocata sui toni del bianco e su colori tenuti, e nello studio dei gesti e delle espressioni. Lo studio attento degli “affetti”, la resa emotiva e drammatica dei sentimenti, la semplicità compositiva concentrata su pochi personaggi si  coniugano con un assetto spaziale diagonale e dinamico e con una sensibilità cromatica ricca, vìbrante, calda, che rivelano la modernità del linguaggio.

Il primo saggio, dopo l’introduzione di Francesco Solinas, La corrispondenza di Nicolas-Claude Fabri de Peiresc con i Barberini (1618-1637) di Veronica Carpita, affronta uno dei temi più affascinanti della società europea di quel tempo: il rapporto tra le corti, la corrispondenza tra gli agenti, gli intellettuali, gli artisti, i diplomatici. Sono impressionanti e sorprendenti il continuo contatto tenuto tra i vari personaggi della scena europea, e l’importanza e il ruolo dell’arte: gli artisti erano a volte veri e propri diplomatici come nel caso di Rubens, le opere acquistavano un significato diplomatico, come nel caso dei ritratti di Bernini o di Van Dyck. La studiosa ci presenta Peiresc e la sua cospicua corrispondenza con la corte dei Barberini e sono illuminanti i passi riguardanti letterati, scienziati, teologi, artisti.

Altrettanto interessanti sono gli altri studi inseriti nel volume Barberiniana: come indica il sottotitolo “Tributo alla fioritura delle arti romane nella prima metà del XVII secolo” , gli studiosi che vi hanno partecipato, Laura Bartoni, Loredana Lorizzo Maria Celeste Cola, Miriam di Penta, Saverio Sturm, Maria Cristina Paoluzzi, offrono nuovi spunti sugli anni fecondi del papato barberiniano, “aggiornano temi, riprendono dibattiti, scoprono nuove interpretazioni e materiali” (Francesco Solinas), e illustrano anche aspetti curiosi come il naturalismo e l’osservazione scientifica nell’allestimento di Palazzo Barberini sotto il cardinale Antonio o il sentimento per gli animali del cardinale Francesco.

M. Grazia BERNARDINI  Roma 10 Novembre 2024