di Alessandra IMBELLONE
Luìs Serrano, Lares. La bellezza come antidoto a un mondo in disfacimento.
La nuova mostra di Luìs Serrano ha inaugurato il 6 novembre a Roma nella storica galleria di Carlo Virgilio in via della Lupa. Nell’antica Roma i Lares (in italiano lari) rappresentavano gli spiriti protettori degli antenati defunti, pronti a vegliare sul buon andamento della famiglia, della casa o proprietà e delle attività in generale. Luìs li propone oggi in trentacinque tele che presentano oggetti, arredi o parti di una vecchia, grande casa di famiglia all’estremo nord della Mancha. Libri, posate, scaffali, poltrone, un ventaglio, una casa di bambole, una lampadina appesa a un filo, una lampada a olio, il pianoforte, un vaso, il campanello, i bicchieri del collegio, pavimenti, giocattoli, bastoni da passeggio. Sono ritratti con esattezza, sapienza, nostalgia, in uno stile realista che si muove tra la poesia elegiaca di Morandi (maestro che eppure sente lontano da sé) e gli stranianti ingrandimenti di Domenico Gnoli.
A Madrid, sua città natale, Luìs Serrano ha frequentato per due anni lo studio del pittore Eduardo Peña per poi essere ammesso all’Escuela de Bellas Artes de San Fernando e laurearsi in Belle Arti presso l’Università Complutense.
Si è specializzato infine in Storia dell’Arte presso “La Sapienza” di Roma, dove vive tutt’oggi, lavorando dal 2009 in uno studio sulla Circonvallazione Gianicolense. La sua è una pittura figurativa che non rinuncia ad essere moderna e contemporanea, una pittura colta che nasce da un’attitudine contemplativa e recupera il simbolismo classico e cristiano, gli encausti pompeiani e tutto l’Ottocento, arrivando all’astrazione geometrica ma ripensando a Bonnard, all’incanto delle cose nella loro apparente semplicità. La poesia però non è insita nelle cose, negli oggetti, ma nella pittura in sé, com’è evidente ad esempio in Luce sacra, una piccola tela quadrata che ritrae una fiamma in una tazza d’olio.
Con rigoroso controllo formale ed emotivo la pittura dei Lares si muove in equilibrio fra realtà e astrazione sentimentale, fra la perentoria persistenza degli oggetti di un mondo perduto e il sentimento della fine delle cose.
“Ci sono cose che non possono essere dette, ma solo dipinte”,
scrive Ippolita di Majo nel catalogo, prendendo spunto da una definizione che Yannis Tsarouchis (1910-1989) riferiva a idee e sentimenti che non si prestano alla rappresentazione visuale: “Things That Cannot Be Said in Painting”. E a citare il pittore e costumista greco è proprio Luìs Serrano nel suo breve scritto introduttivo; un indizio importante del bagaglio culturale e umano di un pittore che normalmente non parla troppo di sé[1].
Lo stesso Luìs ci dà la chiave di lettura dei suoi Lares, del significato che hanno aldilà della loro bellezza e del sentimento che ha portato a dipingerli. “In This Grave Hour”, scrive il giorno seguente alla vittoria di Trump negli Stati Uniti, “di fronte al franare inesorabile della storia, questo mio tentativo di abbozzare un simulacro pittorico, anche se per sua natura ingannevole, consola un po’ anche me”.
Alessandra IMBELLONE Roma 10 novembre 2024
Lares, Luìs Serrano – Galleria Carlo Virgilio & C. – Roma, 6 novembre – 4 dicembre 2024