di Nica FIORI
Nel Seicento Roma è per alcune decadi l’indiscussa capitale dell’arte, punto di convergenza di numerosi artisti italiani e stranieri (soprattutto fiamminghi e francesi), attirati dalle bellezze della città, dalle ricche collezioni di antichità e dalle numerose committenze che si potevano avere da parte di papi, cardinali e famiglie patrizie. Per un certo periodo vi soggiorna anche Michael Sweerts (1624 ca. – 1664 ca.), un pittore nato a Bruxelles, al quale è dedicata un’interessante mostra nell’Accademia Nazionale di San Luca (nelle tre sale a pianterreno), a cura di Andrea G. De Marchi e Claudio Seccaroni (dall’8 novembre 2024 al 18 gennaio 2025).
Il titolo dell’esposizione “Michael Sweerts. Realtà e misteri nella Roma del Seicento” fa ben intuire che Sweerts è un pittore enigmatico, che si muove in una città piena di contrasti senza lasciare quasi testimonianze del suo operato, se non in affascinanti dipinti che ci fanno immaginare una realtà spesso notturna. Ignorato dagli scrittori d’arte della sua epoca, è stato riscoperto dalla critica solo nel Novecento, anche se prima aveva ricevuto grandi riconoscimenti dal mercato. Le ricerche per questa mostra gettano nuova luce sulla sua biografia (a partire dalla data di nascita), che rimane tuttavia molto lacunosa, e sulla sua arte, grazie a importanti scoperte d’archivio e di restauro che hanno permesso di fare collegamenti fra opere e tracce documentali, nonché riesami di carattere filologico e diagnostico.
Diciotto sono le opere esposte: tredici dipinti di sua mano e, a corredo, due dipinti di stretti collaboratori e tre gessi antichi che accolgono il visitatore nella prima sala, accanto alla riproduzione del dipinto Studio di un pittore (conservato al Rijksmuseum di Amsterdam), a testimoniare l’interesse dell’artista per la scultura.
Oltre a quattro dipinti di proprietà dell’Accademia di San Luca, giunti grazie a un lascito del primo Novecento, figurano opere di collezioni private e pubbliche, fra cui l’Accademia di Francia, la Galleria Spada, le Gallerie Nazionali di Arte Antica, i Musei Capitolini (Roma); le Gallerie degli Uffizi e il Museo di Casa Martelli (Firenze); il Museo Nazionale d’Arte Medievale (Arezzo); il Worcester Art Museum, Worcester (MA).
Michael Sweerts, come ha commentato Claudio Strinati nel corso della presentazione alla stampa
“sembrerebbe un personaggio da romanzo, che viene descritto in un tragitto esistenziale sbalorditivo, che va dall’Europa all’Asia”.
In effetti Sweerts dalla natia Bruxelles si trasferisce a Roma dal 1643 al 1653, ritorna poi in patria ma, nel 1661, s’imbarca da Marsiglia alla volta dell’Oriente, al seguito di una missione francese di Lazzaristi e, forse impazzito, troverà la morte probabilmente a Goa, in India. Notizia questa che dobbiamo all’interessamento della nobildonna francese Marie Madeleine de Vignerot, duchessa d’Aiguillon (nipote del cardinale Richelieu), con la quale aveva avuto un rapporto di amicizia o (chissà) d’amore.
Strinati vede in questo artista ancora poco conosciuto, amato da un’élite di esperti
“una personalità sconcertante” e, riferendosi alle opere in mostra, le definisce “immerse nelle penombra, al limite dell’impercettibile, ma che contengono un mondo di clamore, di entusiasmo, di conflittualità e permettono ai visitatori della mostra di farsi un’idea più profonda della realtà artistica secentesca”.
Di origini aristocratiche, come dimostrato dai curatori della mostra, Sweerts non seguì le maggiori correnti artistiche del suo tempo, grazie anche alla sua indipendenza economica e intellettuale (tra l’altro parlava sette lingue), che lo faceva sentire intimamente libero.
Andrea De Marchi ha evidenziato che alcuni suoi dipinti hanno una vaga eco caravaggesca, perché Sweerts lavorò presso Camillo Pamphilj (probabilmente come artista, insegnante e intermediario) negli stessi giorni in cui il principe aveva acquisito tre tele di Caravaggio (una attualmente al Louvre e due ancora nella Galleria Doria Pamphilj): opere di un Caravaggio giovane, non tenebrose ma naturalistiche. Partendo da questo realismo, il nostro fiammingo ha realizzato a Roma opere pittoriche di piccolo formato con sfondi realmente esistenti, sia all’aperto sia in camere chiuse, e scene di vita che apparentemente richiamano i bamboccianti, il gruppo di bevitori indisciplinati, prevalentemente nordeuropei, che abitavano in via Margutta, dove anche Sweerts visse dal 1646 al 1651. Ricordiamo che i bamboccianti (nome derivato dall’olandese Peter van Laer, soprannominato Bamboccio, attivo a Roma tra il 1625 e il 1639), erano noti per le pitture di genere, ritenute da molti di cattivo gusto, perché ambientate in luoghi malfamati come i postriboli o le taverne.
Sweerts non ha niente del modo di vivere goliardico di quei personaggi e dà luogo semmai a una pittura che denota il suo atteggiamento di persona nata in un ambiente sociale elevato (al vertice della città di Bruxelles) e concettualmente diverso: non ha la smania di denaro di altri pittori e, quando si autoritrae, appare sempre elegante.
Come fa notare De Marchi
“negli autoritratti non esibisce i suoi titoli nobiliari, né il cavalierato dello Speron d’oro ottenuto da Innocenzo X nel 1650, però ci tiene ad averlo per non sottoporsi ai soffocanti regimi socioprofessionali che la Roma barocca esigeva”.
La Roma secentesca narrata dall’artista è quella delle classi popolari, con giovani prostitute, filatrici e vecchi bevitori, ma non mancano gli accostamenti tra miseria e nobiltà, come nel caso dei due dipinti quasi identici intitolati Coppia elegante in visita ai pastori, esposti nell’ultima sala: uno di collezione privata, e l’altro dell’Accademia di San Luca. Su quest’ultimo, nel corso del restauro, è apparsa la sigla antica P.F.N. (invisibile, se non con un’adeguata illuminazione). Si tratta presumibilmente delle iniziali di un suo collaboratore, pertanto i curatori pensano che l’opera, prima ritenuta un caposaldo di Sweerts, sia stata eseguita a quattro mani, con gli stessi colori dell’altra, come rilevato dalle analisi diagnostiche, e forse quasi contemporaneamente nella stessa bottega. E questo fatto offre, secondo De Marchi, indizi sul rapporto che instaurava con chi lavorava, cui dava spazio.
Un’altra opera che mostra personaggi agiati è La Famiglia Lodoli in un giardino autunnale (1653 olio su tela, cm 37,6 x 48,7 Worcester, Massachusetts, Worcester Art Museum), realizzata a Spoleto nell’ultimo anno italiano di Sweerts, ma venduta nel Settecento come “opera del Van Dyck italiano”, con il nome storpiato in Saucers e poi indicato come Michele Fiammingo, che in realtà è un altro pittore (Michele Desubleo). In questo dipinto è evidente l’interesse di Sweerts per le rappresentazioni del cielo, tema che svilupperà anche dopo il ritorno in patria.
Claudio Seccaroni, uno storico d’arte che nasce come ingegnere specializzato in diagnostica, ha chiarito alcuni aspetti d’autografia, come per le due opere apparentemente identiche, già citate. Circa la metà dei quadri esposti contiene una scoperta di lettura e in un caso una riscoperta importante: si tratta dell’Autoritratto nello studio (1650-1653, olio su rame, cm 21,5 x 16, Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini) che, dal tempo dell’acquisizione (circa 150 anni fa) ad oggi era stato dimenticato nei depositi di Palazzo Barberini.
Quello dell’artista nello studio fu un tema caro a Sweerts. La figura di scorticato in posa da combattente, visibile in secondo piano, è la stessa illustrata nella Scuola d’arte di Amsterdam (riprodotta in foto accanto allo Studio di anatomia ottocentesco, appartenente all’Accademia di San Luca); così come la Niobe degli Uffizi, al tempo accessibile a molti a Villa Medici a Roma (anche questa proposta in mostra in un calco secentesco dell’Accademia di Francia): nel dipinto si vede che è un gesso, non un materiale nobile come il marmo, perché è solo uno strumento didattico per apprendisti pittori e scultori, inserito da Sweerts in varie tele. Certamente Sweerts deve aver avuto interesse non solo per l’anatomia di spellati (eseguita personalmente su un cadavere), ma anche per la statuaria antica e moderna, la lui studiata nella raccolta Pamphilj e riprodotta in calco. In mostra troviamo pure L’amor divino che abbatte l’amor profano (1686), rilievo in stucco di François Duquesnoy, perché un analogo bassorilievo di Duquesnoy s’intravede sbucare da una cesta di gessi nello Studio d’artista con ricamatrice, opera di Sweerts recentemente comparsa sul mercato antiquario.
Sweerts è un pittore che si è ritratto più volte. Nella seconda sala troviamo l’Autoritratto proveniente dagli Uffizi, del 1645 ca., che mostra l’artista con la sua fresca faccia piuttosto massiccia.
Il cartiglio con il nome è sbagliato, evidentemente perché, quando è stato inserito nella cornice, non si ricordava più il nome di chi vi era raffigurato, ma è proprio questo ritratto che ci consente di riconoscerlo in varie scene di strada, come in quella intitolata Scena di adescamento, di proprietà dell’Accademia di San Luca (1644-45, olio su tela cm 67,2 x 50).
Come viene spiegato nella didascalia ragionata, un uomo contratta con una donna il prezzo di una prostituta, mentre intorno continua a svolgersi la normalità quotidiana, come dimostrano le vesti strappate della donna seduta che toglie i pidocchi a un ragazzino e i panni stesi ad asciugare sullo sfondo. Sweerts, riconoscibile nell’uomo sulla destra, non esprime giudizi moralistici: ritrae semplicemente quanto accade in una strada romana dell’epoca.
Sweerts non ha fatto opere pubbliche, ma sappiamo che a Bruxelles era molto pagato e insegnava la pittura a ragazzi poveri, perché capiva l’importanza dell’attività sociale dell’insegnamento (essendo molto concreto, insegnava anche il commercio dell’opera d’arte), ma senza avere una sua scuola, tanto che le copie delle sue opere sono pochissime e in mostra è esposta una sola opera di bottega (Filatrice e un bambino che si scaldano a un braciere, olio su tela, 1650 ca., Collezione privata), nella quale si riconosce una modella più volte raffigurata, in particolare nella Ragazza che si pettina (1650 ca. olio su tela, cm 48,5 x 37,5) dell’Accademia di San Luca e in quella del Museo di casa Martelli.
L’unica opera religiosa in mostra, pure del periodo romano, è un intenso San Bartolomeo (1650-53, olio su tela cm 76 x 61, Arezzo, Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna), raffigurato con il pugnale che richiama il suo martirio per scuoiamento (e qui il nostro pensiero va allo “scorticato” di gesso, che Sweerts aveva nel suo studio, più volte evocato in questa mostra). Il dipinto è stato scoperto da Seccaroni nel museo aretino, dove era catalogato come “Scuola napoletana”. Vi si può ravvisare una vicinanza allo stile di Rembrandt, che potrebbe essere spiegata con la presenza a Roma di un suo allievo in via Margutta, nella stessa casa dove abitava Sweerts.
Un dipinto inedito è la Testa di giovane cantore (1653-1655, olio su tela, cm 30,3 x 24,8, Collezione privata), uguale a una testa presente nel Concerto del Louvre (1654 ca.). La sua autografia è sostenuta dalla qualità del dipinto, soprattutto nella rappresentazione degli occhi.
La mostra, molto ben articolata e dal taglio rigoroso, è un’occasione da non perdere per scoprire un grande artista ancora poco noto al grande pubblico, del quale i curatori hanno approfondito l’assoluta singolarità, evidenziando in particolare il peso del suo soggiorno romano. Un periodo che la lettura critica nel passato aveva in prevalenza misconosciuto, facendone un eroe nordico del secolo d’oro olandese, una sorta di Vermeer di serie B, anche se un suo presunto soggiorno ad Amsterdam potrebbe essere stato molto breve, mentre i dieci anni romani sono stati certamente determinanti per la sua arte.
Il catalogo bilingue (italiano/inglese), edito dall’Accademia Nazionale di San Luca, presenta, oltre ai testi iniziali del Presidente Marco Tirelli e del Segretario Generale Claudio Strinati, i saggi dei curatori Andrea G. De Marchi e Claudio Seccaroni, e i contributi di Fabrizio Carinci, Rachel George e Stefania Girometti.
Nica FIORI Roma 17 Novembre 2024
Michael Sweerts. Realtà e misteri nella Roma del Seicento
Accademia Nazionale di San Luca, Palazzo Carpegna, piazza dell’Accademia di San Luca 77, Roma
8 novembre 2024 – 18 gennaio 2025
Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 15.00 alle ore 19.00 (ultimo ingresso ore 18.30). Il sabato dalle ore 10.00 alle ore 19.00 (ultimo ingresso ore 18.30).
Ingresso gratuito
Informazioni: www.accademiasanluca.it; tel. 06 6798848 – 06 6798850