di Tommaso GRISTINA
Tommaso Gristina, che esordisce con questo articolo su About Art, è Dottorando di Ricerca del XL Ciclo in Heritage Science presso La Sapienza Università di Roma e presso l’Università degli Studi di Teramo in collaborazione con la Fondazione Luigi Spezzaferro. Si è formato presso La Sapienza Università di Roma dove ha conseguito i titoli di Studio di Laurea di I e II livello in Storia dell’Arte. I suoi studi vertono sulla storia del collezionismo romano e centro italico dei secoli XVI-XVII, valorizzando i rapporti fra le raccolte di antichità e la loro riproducibilità pittorica e grafica.
“La favola di Atalanta. Guido Reni e i poeti” (Bologna, Pinacoteca Nazionale di Bologna, 16 novembre 2024-16 febbraio 2025)
Guido Reni è pittore dalle plurali sfaccettature che offre più inclinazioni interpretative e piani di lettura di varia entità a seconda dello sguardo che si impiega o dell’indagine che viene intrapresa. Certo, è corretto associare il nome del pittore felsineo a una fase di grande maturazione pittorica per Bologna avente come apice espressivo Annibale, Agostino e Ludovico Carracci, ma anche Guido Reni, Domenichino, Lanfranco e diversi altri ancora, ma non è l’associazione ai maestri pittorici della grande Scuola Emiliana che esaurisce l’incredibile apporto di Reni alla cultura seicentesca bolognese e del territorio italico centro settentrionale. Il milieu culturale in cui Reni si forma a Bologna gode di una stratificazione che in maniera osmotica collega, per mezzo dello Studio universitario e delle realtà accademiche, tutte le illustri figure della città: scienziati, universitari di tutte le branche, uomini di lettere, poeti e, fuor dubbio centrali, artisti.
Lo sfondo di questo racconto espositivo è la connessione fra la narrazione poetica-letteraria e il suo corrispettivo pittorico in una Bologna in cui i maggiori sodalizi culturali-Accademia Dei Gelati, il Viridario, l’Hermatena, l’Accademia degli Indifferenti e degli Incamminati-si orientavano verso un profondo apprezzamento nei confronti della letteratura poetica ekfrastica che rappresenta la possibilità di connettere senza soluzione di continuità il testo scritto all’immagine, unendo così due media differenti ma al contempo uniti da un substrato comune. A tal proposito, di chiaro riferimento alla cultura delle lettere “rese ad immagine” è il quadro rappresentante la corsa di Ippomene e Atalanta (Fig.2, Ippomene e Atalanta Reni) del 1620-1625 della Favola di Atalanta ripresa da Guido dalle “Metamorfosi” ovidiane:
potrebbe sembrare che il nesso con il mondo letterario si concluda con l’iconografia desunta dall’Ovidio, ma ciò costituirebbe una lettura limitante. Nell’esposizione in Pinacoteca, fra le due versioni del Reni compare una stanza di un componimento poetico di Giovan Battista Marino (Fig. 3, curatrici e versi di Marino) che, seppur con non documentato riferimento alle tele del Reni ma con probabile aggancio a queste, esalta il dinamismo dei due giovani, specialmente di Atalanta che con “anima pellegrina, e semplicetta, corre veloce, e con pianta spedita del gran viaggio al termine s’affretta”.
Al criterio di lettura opera pittorica-cultura letteraria, si aggiungono inedite interpretazioni scientifiche che vedono le due Ippomene e Atalanta esposte-la prima proveniente dal Museo e Real Bosco di Capodimonte (Fig. 4, Ippomene e Atalanta Capodimonte), la seconda dal Museo del Prado di Madrid (Fig. 5, Ippomene e Atalanta Madrid)-parte di un gruppo di quattro tele di uguale iconografia e composizione le cui commissioni, secondo gli studi effettuati per la presente mostra, sarebbero da circoscrivere al florido contesto delle accademie bolognesi.
Ciò consente di proiettare un cono di luce sull’intrecciato rapporto fra la discettazione filosofica delle accademie felsinee e la realtà collezionistica molto attiva nei cenacoli culturali della prima metà del XVII secolo. Poco si conosce della storia collezionistica delle due Ippomene e Atalanta attribuite a Reni – Museo provinciale francese e collezione privata- ma appare suggestivo immergersi nel contesto secentesco di Bologna in cui il Reni lavorò replicando il suo celebre soggetto che negli stessi anni era fortemente bramato dall’inteligentia della città come richiamo all’Antico che nel Seicento si concretizzava tramite la cultura poetica oltre che visiva.
L’esposizione fornisce un continuo gioco di rimandi fra pittura e poesia, non unicamente nella già tracciata dimensione propriamente ekfrastica, ma anche in una più specificatamente storica connessa alla ritrattistica di esponenti del mondo culturale letterario. Una proposta avanzata attraverso gli studi alla base della mostra consiste nell’ipotesi di un nuovo riconoscimento del Ritratto di Cavaliere (fig. 6, Ritratto di Cavaliere, Artemisia Gentileschi) delle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna realizzato da Artemisia Gentileschi nel 1622. L’opera, di provenienza della Collezione Sieri Pepoli e dal 1926 nelle raccolte civiche bolognesi, non ha mai trovato parere univoco sull’identificazione del soggetto ritrattato nonostante due importanti dettagli quali la fascia verde e la croce argentata che consentono di identificare il cavaliere come appartenente all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
La lettura di una poesia riesce ad aprire una nuova strada interpretativa: Il sonetto ritrovato nelle Poesie del poeta bolognese Andrea Barbazza viene dedicato al “Ritratto dell’Autore” -ovvero di Barbazza stesso- “di mano di Artemisia Romana”. La novità a riguardo consisterebbe nella valutazione di una prima committenza bolognese conferita alla pittrice bolognese che nel 1620 aveva già dichiarato “me ne volio andare in Bologna” e “vado in Bolonia” probabilmente per via di una committenza che proveniva proprio dallo stesso Barbazza che nei suoi versi asserisce di essersi fatto ritrarre dalla Gentileschi.
L’esposizione, dunque, offre anche innovativi spunti di riflessione su tele che per decenni sono state caratterizzate da un’incertezza interpretativa e che trovano spiragli di innovative interpretazioni sulla base di fonti poetiche che si intrecciano con la storia collezionistica e con documentazione inventariale che, per mezzo di una lettura su più registri, forniscono possibili snodi a problematiche di ricerca e studio.
L’esposizione è valorizzata da un allestimento con cromia parietale di tonalità verde sottobosco (Fig. 7, Allestimento Verde) il cui fine è esaltare le dorature e gli intagli delle cornici lignee e connettersi visivamente con alcune tele di grande pregio che hanno costituito l’ispirazione cromatica ambientale.
È il caso della tela recante come soggetto Giuditta e Oloferne (Fig. 8, Giuditta e Oloferne Lavinia Fontana), di Lavinia Fontana del 1590-1600 di provenienza dal Museo Civico Davia Bargellini di Bologna. Lo scuro fondo verde, poi ripreso per le pareti delle sale, esalta la preziosità finissima di una Giuditta abbigliata da gran dama le cui vesti appaiono valorizzate da un fine pizzo ricamato e da importanti gioielli cuciti sull’orlo della scollatura. L’opera rappresenta non unicamente l’inserimento della Fontana all’interno dello scacchiere artistico del suo tempo come dimostra la riproduzione di un soggetto ricorrente e di grande fama, ma consente di introdurre la pittrice bolognese nel fil rouge espositivo quale arte e poesia.
La fama poetica di Lavinia si avvia con il poeta Cesare Rinaldi (Fig. 9, Ritratto di Cesare Rinaldi) che nelle sue Rime del 1598 in lode a un Amore così tratta della pittrice:
“Lavinia Fontana Pittrice/ Chi mai non vide Amore/ E’l desia pur veder, che parli e spiri/al tuo pennello il chieggia/ al tuo colore/Tosto sia, ch’egli il miri,/ ne già di senso privo/ Che se tu piangi Amore, Amore è vivo”.
I versi di Rinaldi connetto immediatamente la pittrice ai cenacoli culturali di cui, come è stato espresso a riguardo del Reni, gli artisti erano parte integrante e spesso centrale. Il poeta frequentava, contemporaneamente a Fontana, l’Accademia dei Gelati che a partire dalla sua fondazione nel 1588 costituì un fulcro felsineo in contatto con la realtà universitaria e che rappresentava un sodalizio culturale lontano dalle ufficiali dinamiche statali all’epoca legate alla dimensione pontificia. Altro elemento che consente di associare la cultura poetica a quella pittorica di Lavinia è da riscontrare nei versi di Ottavio Rabasco, medico e accademico Gelato, che dedicò un poemetto alla Pallade ignuda della Fontana (1605) oggi in collezione Pavirani. La ricchezza di fonti su Lavinia è anche esterna ai cenacoli accademici e tocca la dimensione della cultura letteraria popolare il cui massimo interprete nella Bologna della metà del Seicento fu Giulio Cesare Croce, celebre autore delle “ventarole” che con toni meno aulici rispetto i poeti accademici- ma con un’inclinazione sofisticata da autodidatta e conoscitore- tracciava un’immagine chiara della pittrice dimostrando l’affermazione pubblica e la fama socialmente trasversale.
La Mostra si configura come occasione singolare per affinare la conoscenza su un pittore, Guido Reni, che consente di sottoporre lo sguardo a continue, innovative ed eterogenee letture in linea con la complessità intellettuale dell’artista pronto a colpire attraverso una cromia brillante ma al contempo tenue, di delicatezza classicheggiante, che cela all’occhio dell’osservatore un microcosmo culturale fatto di committenti e del loro gusto, di legami con sofisticati contesti accademici, di affinità con la produzione letteraria e poetica e di contatti continui fra la comunità di artisti. Dal Reni, secondo un principio di consequenzialità di grande intuizione, seguono innumerevoli suggestioni che coinvolgono un mondo, quello bolognese seicentesco, fatto di pittrici, poeti, scienziati e letterati e dei loro contesti dall’indubbio fascino.
Tommaso GRISTINA Roma, 24 Novembre, 2024